nativo digitale, amante delle stilografiche

Chi mi conosce sa che se vuole farmi un regalo apprezzato può andare in un negozio di stilografiche; con la stilografica prendo appunti e firmo (non avete idea di quante firme al giorno fa un DS). E me ne sono regalata una anche il giorno del superamento del concorso.

Sa anche che scrivo prevalentemente con il PC anche perché è dagli anni 70 che mi diletto di  giornalismo ed ho imparato quasi subito a scrivere con davanti la tastiera. Anzi le mie prime cose di un certo impegno le ho scritte di getto con la macchina da scrivere. Ricordo nel 73 un saggio di un centinaio di cartelle su questione cattolica e questione democristiana.

Fa parte della mia formazione scientifica l'abitudine a pensare molto e poi scrivere di getto come se quello che esce fosse flusso di coscienza. In realtà è un flusso di coscienza prestrutturato nel cervello, nel quale la creatività opera sul piano prevalentemente linguistico. Ho già deciso cosa dire e mi lascio andare sul come.

Per queste ragioni mi ha stupito e intrigato un servizio sul Gazzettino dal titolo I figli del “copia e incolla” non sanno più scrivere a mano: via ai progetti di recupero. L'avevo linkato ma non è più disponibile in archivio. Peccato.

Sostiene l'articolo che la peggiore punizione che si possa dare oggi ad un bimbo delle elementari è qella di fargli fare una ricerca scritta a mano. Non a caso nelle scuole primarie si sta tornando al passato, con progetti dedicati alla cura della scrittura in cui protagonista è la penna stilografica, strumento che impone concentrazione e una buona impugnatura.

Ci si lamenta poi della manualità di una volta che non ci sarebbe più tra i nativi digitali. A me pare invece che di manualità ce ne sia ancora molta, ma che sia una manualità diversa. Io non riuscirò mai a scrivere un SMS o un messaggio WhatsApp nemmeno a un quarto della velocità di un quattordicenne; e questa è manualità. Infatti utilizzo con lo smartphone una potenzialità della tecnologia; parlo e lascio che sia lui a scrivere, poi correggo gli inevitabili errori.

Il problema è un altro: c'è un dislivello nelle competenze di grafo scrittura e nelle competenze digitali di un giovane e di un docente. Lavorano e pensano in maniera di versa e così alla fine interagiscono male.

Esemplifico: qualunque programma di trattamento testi (stiamo su word che è noto) ha al suo interno strumenti di formattazione del testo e la cosiddetta modalità struttura che consentirebbero di alzare di molto le capacità di scrittura di studenti e professori. Ma nessuno dei due le conosce e così i due continuano a non comunicare.

Con la modalità struttura si scrive la scaletta, con i diversi livelli gerarcchici,  si spostano e connettono le diverse parti, si può leggere e scrivere a livelli diversi di dettaglio. Insomma si impara a scrivere.

Cara vecchia stilografica, ti amo quando carico l'inchiostro, quando sento l'odore dei solventi, quando cambio il tipo di pennino a seconda di ciò che sto per fare. Cara vecchia tastiera continuo a ritenerti un progresso decisivo.

 

 

 

Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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7 risposte a nativo digitale, amante delle stilografiche

  1. Bruno Petrucci scrive:

    Bisognerebbe imparare dalla destra, due obiettivi: flat tax e opere pubbliche … che so, sburocratizzazione e opere pubbliche …

    • Claudio Cereda scrive:

      Il senso del mio post non era quello di sollecitare una riduzione delle cose da fare e quelle farle ma piuttosto ironizzare su questa mania degli Stati Generali che se fossimo in un regime di dittatura del proletariato si chiamerebbero grande consultazione Popolare.
      I militanti del partito vanno tra le masse e li invitano ad esprimere il loro punto di vista, i militanti riporteranno le proposte raccolte nei comitati di territorio a livello cittadino provinciale regionale e poi nazionale… buffonate

      • Bruno Petrucci scrive:

        Non volevo dire che bisogna fare solo due interventi, certo che ci sono tante cose su cui intervenire e scuola e ricerca sono sicuramente una priorità.
        Ne potrei elencare molte altre. Però se ti metti a elencare tutto ciò che non è stato fatto nell'ultimo ventennio e si potrebbe fare oggi non ne esci più.
        A me hanno insegnato qualcosa che potremmo chiamare, non so, priorità. Per quanto riguarda la terminologia (ed il modo di realizzarlo) mi viene in mente solo una parola: fuffa.

  2. ex maestra "Fiorella" scrive:

    Allora rimango vecchio stile……
    Con la mia professione ho insegnato a tutti i miei alunni il corsivo…… Ero una patita del corsivo nell'apprendimento della scrittura, a Natale i miei bambini già cominciavano a scriverlo.
    Negli ultimi cicli, per aiutare i bambini più in difficoltà, che cominciavano ad essere parecchi, facevo comprare i quaderni Erickson, a seconda della classe. Questi quaderni permettevano loro di superare le difficoltà spaziali.
    Mi sono comunque divertita insieme a loro in questo sviluppo della manualità. Poi però ho capito che le priorità negli apprendimenti si sono modificate, con l'avvento delle nuove tecnologie……. allora ho deciso di andare in pensione

  3. Dario Crippa scrive:

    Diavolerie della tecnica, ucciderete la parola titolava un vecchio numero di Cuore prendendo in giro Indro Montanelli, simbolo di vecchiume.
    Io scrivo tanto con la biro: appunti per lo piu' indecifrabili, con l'intervistato di turno che trasecolando mi chiede: "ma riesce a leggere?" sbirciando il taccuino. e io che replico: "non si preoccupi, tanto invento".
    Poi computer tantissimo per lavoro, anche se il primissimo articolo e l'esame di giornalismo lo feci con la macchina da scrivere. Ma la pigrizia, la scarsa manualità e i font trovati per fare la tesi in greco antico mi hanno definitivamente rovinato. E solo gli appunti restano manuali.
    Ah, magari fossi un po' come Montanelli, giornalisticamente parlando…

  4. Nicola Polverino scrive:

    Come quasi sempre condivido le tue riflessioni. Del resto siamo quasi coetanei, ci dividono pochi anni, stessa professione e studi scientifici per entrambi.
    Anche io ho usato la stilografica fino a tutto il liceo e con la stilografica ho scritto i compiti di italiano e di matematica alla maturità. Una stilografica non preziosa come le tue che funzionava con cartucce di inchiostro, che per risparmiare ricaricavo io stesso (a proposito di manualità).
    Con l'università ho tradito e sono passato alla biro, mantenendo un vezzo ignoto alle nuove generazioni, esaurire tutto l'inchiostro di una penna prima di passare alla successiva.
    In quanto agli editor informatici ciò che dici è vero perché vengono di fatto utilizzati come la vecchia macchina da scrivere con in più la comodità del copia/taglia-incolla e di qualche altra funzionalità grafica.
    Quanti anche tra insegnanti saprebbero dirti la differenza, al di là del layout grafico, tra la versione 2003 e l'ultima di word ?

  5. Lorenzo Baldi scrive:

    Ho sempre avuto problemi con la bella calligrafia, alle scuole elementari rischiava sempre di rovinarmi la media, ma a fine anno la maestra faceva finta di niente e, magari, si veniva anche premiati dal Direttore Didattico (al tempo si chiamava così e, forse, un po’, pure lo era). Ho provato tutte le forme di pennino (che migliorare l’attrezzatura serva ad attenuare i tuoi difetti è l’illusione di molti, dai fotografi ai motociclisti), varie penne stilografiche (col pennino flessibile, all’europea, e con quello a beccuccio, all’americana), finché mia mamma non chiese alla maestra il permesso per fare la ricerca di 5a elementare (sul Po, tema premonitore della storia a venire) con la macchina da scrivere: così, a 10 anni, mi trasformai in provetto dattilografo, cosa che mi fu utile al Quotidiano dei lavoratori (dove passai da 2 dita a 10 dita), a militare, e poi dal mio primo Atari 800 in poi, con una lunga serie di computer che penso di concludere con l’autocostruzione di un PC.
    Sempre al tempo della scuola elementare, mi appassionai alle biro con i “refil” di molti colori diversi. Io, al tempo, stavo a Lodi e le conobbi alla Fiera di Milano, dove le vendevano, dopo una lunga fila, alla “Torre Lus”, stand dell’omonima azienda produttrice. Fu un segno del destino, perché un paio di anni dopo la mia famiglia si trasferì da Lodi a Saronno, patria dell’azienda, ormai chiusa.
    Da giovane scrivevo anch’io di getto, normalmente subito in “bella copia”. Ma la professione mi ha portato a scrivere per le aziende e lì devi pesare le parole, confrontarti con tanti interlocutori diversi, verificare congruenze con normative e procedure: così, la scrittura ha cominciato a richiedere un procedimento più strutturato.
    Quanto alle funzioni “nascoste” del software, nella mia vita da “one man band” ho usato molte decine di programmi diversi, dalla triade da lavoro d’ufficio, alla grafica 2D e 3D, al montaggio video e audio ed ho sempre invidiato chi ne usava uno solo per dieci anni (come i tecnici delle fotolito, o quelli che il video lo montano e basta) e conosceva ogni funzione nascosta ed ogni abbreviazione da tastiera.
    Comunque, tranquillo, gli SMS li batto con un dito, perché non riesco nemmeno ad abituarmi agli assistenti vocali.

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