La lezione di questo secolo – K. R. Popper

Per la vigilia e il giorno di Natale mi sono regalato la lettura di una delle ultime interviste di Popper (1902 – 1994) rilasciata al curatore di molte sue opere Giancarlo Bosetti nel 1992. Il libro costa poco e potete procurarvelo via Internet tra i 6 e gli 8 € (spesi bene). Se non conoscete Popper vi consiglio di associare in sequenza la sua autobiografia intellettuale "la ricerca non ha fine" (Armando editore) e una delle sue più importanti raccolte di saggi "Congetture e confutazioni"  (Il Mulino).

Popper è considerato da molti il più grande filosofo del 900 e, partendo da una originale critica epistemologica al neopositivismo sul fatto che non si può dare la verifica delle teorie scientifiche ma semmai la corroborazione determinata dal sottoporsi (uscendone indenni) ai tentativi di falsificazione, ha poi esteso i suoi lavori epistemologici all'intero mondo diventando uno dei più strenui difensori del liberalismo in politica, nell'etica e in economia.

Nell'intervista Popper non tratta del falsificazionismo e si concentra su un bilancio della sua vita guardando ai problemi aperti di fine novecento dopo che i due grandi totalitarismi (il nazifascismo e il comunismo) sono stati sconfitti; ma non per questo non esistono problemi aperti e di uno spessore notevole.

I temi affrontati attraverso le domande di Bosetti sono cinque.


L'Austria del primo dopoguerra e il rapporto di Popper con il comunismo prima e con il socialismo poi.


Popper, che ne aveva già accennato nella autobiografia, ci racconta di come nel 1919, studente diciassettenne abbia aderito per pochi mesi al partito comunista spintovi da ideal pacifisti  e se ne sia allontanato dopo essersi reso conto che la morale comunista prevedeva di mettere sempre e comunque al primo posto l'interesse del partito visto come portatore dell'interesse della rivoluzione.

Dice di essersi trovato entro una sorta di trappola per topi e ci racconta della morte di 6 operai uccisi dalla polizia durante una manifestazione di protesta nella quale era stato il partito a mandarli allo sbaraglio. Noi che chiamavamo la gente alla lotta, che avevamo letto Marx, avevamo il dovere di sottoporne ad esame critico le posizioni. Inizia da qui il suo distacco dal marxismo che avviene attraverso l'analisi critica delle posizioni e previsioni marxiane.

Ma presto mi resi conto che bastava un telegramma da Mosca perché quei tre capovolgessero la loro posizione e fossero pronti a sostenere il contrario di quello che avevano sostenuto il giorno prima. E anche nei confronti delle persone cambiavano completamente atteggiamento dall'oggi al domani. In altre parole, avevano un solo principio:' il sostegno assoluto di
Mosca, in lungo e in largo, col caldo e col freddo, senza la minima esitazione. Erano disposti a contraddirsi da un momento all' altro. Quando mi resi conto di questo, il mio atteggiamento verso il comunismo entrò in crisi.

…. Parlando di Marx

Il capitalismo è una forma di società inaccettabile, che, deve cessare, che deve essere abbattuta dai comunisti. Questo è quanto deve accadere. Dopo il suo avvento ci sarà una società meravigliosa, completamente nuova in cui gli esseri umani si ameranno l'un l'altro e regnerà la pace sulla terra. Questo era il nucleo della dottrina e la sua previsione poteva essere stabilita con scientifica certezza. Questo è il punto essenziale ed è la ragione per cui io definisco la dottrina comunista una trappola, una specie di trappola per topi. Ed io ero il topo.

Già la trappola per topi quella che ha trasformato molti militanti comunisti persino in carnefici di sestessi (con Tito o con Stalin) pur di tener fede ad un principio superiore. In piccolo o in grande chiunque abbia militato in una organizzazione comunista, rivoluzionaria o gradualista, sa che le cose andavano così.

E allora cominciai a pensare. I dirigenti comunisti assunsero una linea di condotta pèr cui tanto peggiori e più terribili erano le cose che accadevano, tanto meglio. Tutto questo aiutava
a scatenare la rabbia che era necessaria per la grande rivoluzione. Perdò essi non si rammaricarono dell' accaduto, mentre io sentivo una responsabilità per quei giovani uccisi.


Le critiche principali al marxismo


E Popper a partire dai primi anni 20, non più comunista ma ancora socialista inizia a fare i conti con Marx. L'esito sarà la sua opera più importante dopo La Logica della scoperta scientifica: La società aperta e i suoi nemici uscita nel 1945 e dedicata ad una critica a fondo del totalitarismo che lui vede come figlio di tutti gli storicismi, quelli di Platone, di Hegel e di Marx.
Il capitalismo, come Marx lo descrive, non è mai esistito. È soltanto un'invenzione, una diabolica escogitazione. Certo, ci sono sempre stati ricchi e poveri; e sempre i poveri hanno sofferto, sempre si è posta l'esigenza morale di aiutare i poveri, di aiutare i più sfavoriti (underdogs). E tuttora, anche oggi, sento che· noi abbiamo questo problema, che è necessario intervenire a sostegno dei più sfavotiti. Ma non mi pare che oggi questi siano gli operai. Ci sono sì, anche oggi, i poveri – e vedremo più avanti chi sono gli underdogs dei nostri tempi -, ma il problema della fame e quello della condizione degli operai non si pone certo come all'epoca di Marx. La società di quel tempo era per molti aspettI dIsastrosa, non sI tratta dI negare questo, ma non era ciò che Marx descrive come il capitalismo che non si può riformare. Quella società poteva essere riformata, mentre la tesi principale di Marx era che si poteva soltanto distr.uggerla.

Popper riconosce a Marx di aver marcato l'importanza della sfera economica ma di avere ecceduto e di non aver colto la complessità dei rapporti sociali in cui operano altre sfere accanto a quella economica.

Egli credeva che l'economia avesse una rilevanza onnicomprensiva, e questo e certamente un errore perché nella società, che è una realtà altamente complessa, ci sono altri fattori molto
influenti come la. religione, la nazionalità, i legami di amIciza, l'avere In comune le scuole. …


Il 1962, Sacharov , Kruscev e il declino sovietico


E' interessante, nei giorni in cui si sta chiudendo, con l'accordo tra Obama e Raoul Castro, l'ultima appendice della guerra fredda, leggere la ricostruzione della crisi dei missili a Cuba e quello che ci stava dietro in termini di strategia dell'URSS.

Popper utilizza i diari di Kruscev e quelli di Sacharov e, senza peli sulla lingua, attacca molto pesantemente il ruolo del futuro Nobel per la pace cui attribuisce, in piena logica di "trappola per topi" un coerente impegno nel tentativo di distruggere il capitalismo "Arriva a dargli del criminale. «La liquidazione del sistema capitalistico è la questione cruciale nello sviluppo della società» (Kruscev) e Kruscev quando scrive queste cose sta preparando le basi a Cuba.

Sacharov  lavora con Beria, sotto Stalin alla realizzazione della bomba H e pensa alla costruzione di una supertorpedo (prima che sui presenti l'occasione di Cuba) per far arrivare le sue bombe al posto giusto; di fronte agli scrupoli da scienziato che vede il follow up radioattivo durante le sperimentazioni sii limita ad obbedire (farò il mio dovere) ed è così che si arriva alla crisi di Cuba da cui l'URSS esce sconfitta ed inizia il suo declino.

Una novità è nella reale dimensione della potenza nucleare sovietica in quel momento. Un anno dopo che era stata sperimentata la bomba, Kruscev procede nella realizzazione di quell'idea. Le bombe vengono portate di nascosto a Cuba. Trentotto testate (pari a 114 mila bombe di Hiroshima) furono collocate, anche se non ancora pronte al fuoco, prima che gli americani le scoprissero. Lo stesso Kruscev scrive a questo proposito: «Non abbiamo avuto il tempo di far giungere tutte le nostre navi a Cuba», ma, aggiunge, «avevamo installato già abbastanza missili per distruggere New Y ork, Chicago e le altre immense città industriali, per non parlare di un piccolo villaggio come Washington». Anche se poi parlerà in altri termini, il leader sovietico fa ancora questa ammissione: «lo penso che l'America non si sia mai, come in quel momento, trovata di fronte a una simile reale minaccia di distruzione»'.

Gli ultimi due capitoli della intervista sono i più interessanti perché il novantenne Popper che non vedrà il fondamentalismo islamico, le difficoltà della Russia di Putin o il rincoglionimento di massa prodotto dalla TV dimostra di vedere lontano.


L'agenda politica di oggi, lo Stato di diritto e i bambini


Popper è perplesso sulle azioni intraprese da Gorbacev perché, dice, non si tratta di inventare sul piano formale il mercato quando  il problema centrale è quello dello stato di diritto un punto nodale che fatica ad affermarsi persino in occidente.

Finora i giudici nell'Unione Sovietica sono stati essenzialmente strumenti della dittatura, e non c'è stato un codice che potesse essere alla base di processi regolari, che garantisse il diritto di tutti e cosÌ via. Da qui bisognava cominciare, non dalla Borsa valori. Persino Napoleone sapeva che doveva istituire un codice se volevà instaurare una società in cui ci fosse il libero mercato. Nessuno ha detto chiaramente questo, nemmeno qui in Gran Bretagna, dove c'è una lunga tradizione di Stato di diritto. E pensare che anche qui questa necessità dovrebbe risultare chiara, dal momento che c'è molta corruzione che interferisce con il libero mercato. In Inghilterra la polizia deve costantemente occuparsi di quanto accade nel mondo della Borsa. Perciò la lotta per lo Stato di diritto non è conclusa neppure per noi nelle società occidentali. Ebbene, in Russia avrebbe dovuto essere la prima e unica cosa che il governo doveva fare. E invece di occuparsi di questo hanno tentato ogni mezzo per instaurare qualche nuovo sistema nell'economia. Ma un sistema economico non si può instaurare dall' alto, perché un mercato libero non può esistere dove non c'è gente con idee economiche, con idee per l'uno o l'altro tipo di affari, gente che deve affermarsi nella società offrendo un prodotto che nessun altro offre,
pane migliore, mele più belle, fagioli più buoni e così via. I beni che la gente vuole e di cui ha bisogno devono poterle essere offerti, ma perché ciò sia possibile bisogna prima di tutto che ci sia un meccanismo in cui la gente che vende e che compra – il mercato – sia protetta.

Popper sostiene che deve essere lo Stato a farsi garante del libero mercato, uno stato che non operi sul terreno economico se non per garantire legalità e pari condizioni per chi opera.

Penso che ci vorranno anni per instaurare un sistema legale nell'ex Unione Sovietica, anni prima che si possa stabilire qualcosa di simile a un mercato 'libero. E prima di allora vedremo ogni sorta di avventure. La gente andrà in Russia e poi se ne andrà via con un sacco di soldi, lasciandosi alle spalle debiti e disordini finanziari. Non c'è dubbio su questo. Senza un sistema
legale si può sviluppare soltanto il caos, questa è fondamentalmente la mia tesi. E ritengo che tutto questo viene trascurato, perché la gente è ancora influenzata dal marxismo, nel senso che continua a pensare che l'economia sia tutto e continua a sottovalutare il sistema legale dal momento che, secondo Marx, la legalità'è un travestimento del furto. Perciò si sta commettendo un errore molto grave.

Popper è morto prima del sorgere dell'era Putin ma le sue parole appaiono profetiche: il capitalismo senza la libertà e la legalità non ha funzionato e si spiega così il tentativo di Putin di riscoprire l'Orso russo con la politica del controllo militare e della massa critica (per annessione) nella speranza di riuscire a competere in mezzo alla corruzione. Un discorso a parte è quello sulla Cina e si tratta di vedere cosa accadrà ai suoi tassi di sviluppo quando si dovrà incominciare a fare i conti con i redditi e consumi interni oltre che con la cura dell'ambiente.

Nella intervista vengono indicate tre priorità dopo la fine del comunismo:

  1. La politica per la pace e l'impegno per la messa in sicurezza degli arsenali nucleari. Ma oggi abbiamo anche altri e nuovi problemi legati al fondamentalismo islamico.
  2. Fermare la esplosione demografica. Tutto questo parlare del problema dell' ambiente non serve a nulla se non si affronta la questione reale, la crescita spaventosa della popolazione. È questa la causa della distruzione dell'ambiente, che deriva soltanto dal fatto che c'è troppa gente.
  3. L'educazione/istruzione. Noi stiamo oggi educando i nostri bambini alla violenza attraverso la televisione e gli altri mezzi di comunicazione. Dissi allora, e penso tuttora, che  purtroppo noi abbiamo bisogno della censura… Se tutti fossero pienamente responsabili per il modo in cui vivono in cui dovrebbero vivere -' e considerassero gli effetti delle
    loro azioni sui bambini, non avremmo bisogno della censura. Ma purtroppo le cose non stanno così e la situazione è andata sempre peggiorando: la gente vuole sempre più violenza, chiede alla televisione di mostrare più violenza. Non possiamo accettare che si vada avanti cosÌ.
    La prima regola dello Stato di diritto è la lotta alla violenza e bisogna essere particolarmente attenti quando ci sono di mezzo i bambini. Se ce ne dimentichiamo avremo meno libertà. Lo Stato di diritto esige la non-violenza, che ne 'è il nucleo fondamentale. Quanto più trascureremo questo compito dell' educazione alla non-violenza, tanto più dovremo estendere lo Stato di diritto, cioè le norme delle leggi nei campi dell'editoria, della televisione, della comunicazione di massa. È un principio molto semplice. E l'idea è sempre la stessa: massimizzare la libertà di ciascuno nei limiti imposti dalla libertà degli altri. Se invece andiamo avanti come stiamo facendo ora, ci troveremo presto a vivere in una società in cui l'assassinio sarà pane quotidiano

Secondo Popper quelle priorità dovrebbero prendere il posto della tradizionale distinzione tra destra e sinistra insieme alla ridefinizione degli underdogs (gli sfavoriti), la gente cioè che vive davvero in pessime condizioni e che ha bisogno di essere aiutata e che per lui sono in primo luogo i bambini.

Tra tutti i modelli istituzionali si dichiara nettamente a favore del superamento del sistema dei partiti:

in base al quale la gente che sta in questo momento, nel nostro Parlamento è prima di tutto dipendente da un partito e solo in seconda istanza sta lì per usare il proprio cervello per il bene della popolazione che rappresenta. La mia opinione è che questo sistema deve essere sostituito e che noi dobbiamo tornare, se possibile, a uno Stato in cui gli eletti vadano in Parlamento e dicano: io sono il vostro rappresentante e non appartengo a nessun partito. Bisogna ristabilire questo tipo di rappresentanza, che esisteva un tempo in questo e in altri paesi. Credo che il crollo del marxismo offra una opportunità di procedere in questa direzione.

Popper si è occupato di questo punto in diversi scritti. Il suo modello è quello del collegio uninominale che rimette al suo posto la partitocrazia, favorisce il bipartitismo senza escludere la nascita di terze forze come è accaduto in Inghilterra, ma ciò che lo preoccupa più di tutto è il predominio della TV e la propaganda sistematica della violenza:

Ma il nostro mondo è minacciato da un'educazione folle. Su di essa credo che dobbiamo davvero agire e, una volta che avremo proceduto a realizzare un'educazione molto responsabile,
potremo tornare ai giorni in cui la violenza era un fatto raro. Invece per come stanno le cose oggi la violenza diventa sempre di più pane quotidiano, e troppa gente non è praticamente interessata a nient' altro che alla violenza.

Accanto alla diffusione della violenza c'è poi la crescita dei nazionalismi e su questo punto Popper non fa sconti: non è possibile pensare che ogni minoranza organizzi il proprio stato ma d'altra parte non si corre questo rischio se lo stato democratico fa politiche attive di protezione delle minoranze in tema di lingua, educazione e religione.


Ancora contro lo storicismo, l'avvenire è aperto


Lo storicismo è tutto un errore. Lo storicista vede la storia come una specie di correhte d'acqua, come un fiume che scende, e crede per questo di poter prevedere dove passerà l'acqua a partire da quel momento. Lo storicista pensa di essere molto intelligente, vede l'acqua scendere e pensa di poter anticipare il futuro, Questo atteggiamento è moralmente del tutto sbagliato.
Si può studiare la storia quanto si vuole, ma quella del fiume rimane niente più che una metafora e non contiene alcuna realtà, Si può studiare quello che è stato, ma quello che è stato è finito e da adesso in avanti non siamo in condizione di anticipare un bel niente, non siamo in grado di seguire la corrente dobbiamo semplicemente agire e cercare di rendere le cose
migliori.

Guardare indietro per capire come è andata ma soprattutto guardare avanti. Alla intervista segue il testo di due conferenze tradotte dal tedesco 1) Osservazioni sulla teoria e sulla prassi dello Stato democratico  2) Libertà e responsabilità intellettuale.

Buona lettura


La lezione di questo secolo. Intervista di Giancarlo Bosetti

K. R. Popper Marsilio 127 pag. da 5 a 7 € ordinabile via internet


 

Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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3 risposte a La lezione di questo secolo – K. R. Popper

  1. Valerio Grassi scrive:

    Hi Claudio,
    complimenti per aver letto Pera. Ai tempi di Filosofia della Scienza mi avevano consigliato di leggere Agazzi. Non capivo praticamente niente di quello che scriveva. Allora mi dirottarono su Bridgman, che non ha preso il Nobel per l'operazionismo, bensì per la sua fisica sperimentale. Bridgman mi era molto più chiaro, naturalmente. Senonché all'esame mi hanno fatto parlare solo di Einstein. Mi hanno dato trenta di stima, altri filosofi quel giorno andavano dal ventuno al ventitrè: ho concluso che applicavano metri diversi di giudizio. Vorrei aggiungere che un trombone di Chimica (PSIUP, per intenderci, poi PCI-CGIL, poi fuoriuscito, quando il perito chimico Cofferati riscosse più credibilità di lui) che parlava alle assemblee (per me le assemblee erano come il GS, le seguivo, ma mi sembrava di non avere niente di originale da dire) andò a spiegare agli assistenti di Geymonat cosa fosse la scienza e rimediò un ventidue. Di norma, mai stuzzicare un professionista (mi sono rivisto "Palombella rossa" ed è incredibile come Michele Piccolo l'abbia saccheggiata e abbia vinto lo Strega, lì c'è una critica feroce alla Moretti a "professionale" e "ma lei come parla?"). Dovrei trovare la voglia di leggere quello che Popper ha scritto in tedesco. Chissà in che lingua pensava alla fine. Non ho mai letto "il Foglio" e non m pronuncio su Ferrara. Mi fa piacere che ti piaccia, non è che piaccia a molti in Italia, ma a te piaceva anche Giannino, che invece ascolto qualche volta alla Radio di Squinzi. Diciamo che l'Italia è terra di figli di papà e che i professori universitari sono praticamente cooptati dai loro mentori cattedratici. In Nord America vige una legge ferrea a livello accademico: nessun Ph.D. entra nella Facoltà dove si è laureato. Proprio come da noi, ma è anche vero che un Ph.D. con tesi originale (penso alla tesi di Feynman) non è un Dottorato di Ricerca. L'Italia, unica nazione sviluppata senza un Ph.D. fino a poco tempo fa. Come vedi sono alla disperata ricerca dei motivi del nostro declino nazionale.
    Grazie della tua pazienza, valerio
     
     

  2. Valerio Grassi scrive:

    Caro Claudio,
    sono stato in apprensione quando non hai più scritto qui a partire da aprile 2014. Mi piace leggerti. Eri "il genietto" all'Hensemberger e giustificatamente. Io andavo al Frisi. In questi anni ho riflettuto spesso sull'effetto che fa non studiare storia della filosofia alle superiori. Ho o avevo tutta una serie di amici arrivati alla dirigenza partendo dall'Hensemberger, il caso più clamoroso Roberto Crippa (non l'omonimo prof. di Matematica, ora preside, il tuo compagno di classe) che in Nord America è stato accettato come Electrical Engineer e ha fatto una splendida carriera (vive a Rio). Poi ho conosciuto tanti laureati partiti dagli ITIS. A Chimica Industriale i periti erano nettamente più bravi di noi liceali. Non so se anche Giorgetto Squinzi sia un perito. I miei due ragazzi li ho mandati all'Hensemberger e al Mosè Bianchi, quindi non sono tacciabile di snobismo.
    Vorrei dire solo questo: agli studenti degli ITIS mancherà sempre quella sensazione di ammirazione e coinvolgimento che comportava l'introduzione sommaria (lo ammetto) di filosofi sempre nuovi durante tre anni di lezione (se ricordo bene, potrei sbagliarmi, parlo del 1961-66 al Liceo Scientifico). Mentre i più motivati studenti degli ITIS li ho visti polarizzarsi abbastanza precocemente in filosofia. Poi ci sono state anche le parabole e i ripensamenti, di cui tu sei un esempio. Ma io alle riunioni GS non andai più da subito e penso che sia stato perché studiavo filosofia a scuola.
    Un mio idolo (non come Rivera e Villeneuve, lo devo ammettere) è George Soros, allievo DIRETTO di Popper che ha dimostrato coi fatti di aver capito tutto. Poi ci sono i popperiani come Marcello Pera che si beccò questo sferzante commento da Scalfari "allievo di un allievo di un allievo di Popper". Anche Popper i suoi errori li ha commessi, come quando pretendeva di commentare Platone senza testo greco a fronte (aveva la scusante di essere scappato dai nazisti). Insomma Claudio, spero che tu parteggia per Soros e legga le sue analisi e non per Pera. C'è in giro un dialogo fra Pera e il Papa in cui a volte non si capisce proprio chi parli, il Papa sembra un popperiano e Pera un fondamentalista.
    Stammi bene, tuo affezionato valerio grassi

    • Claudio Cereda scrive:

      Di Pera ho molti libri e ne ho letti alcuni del periodo precedente la parabola politica (sia di storia della scienza – la rana ambigua – sia di filosofia). Poi è stato folgorato ed è diventato un ateo devoto, ma non alla Ferrara, di cui ho stima.

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