1956-1960: in Collegio dai Salesiani a Varazze

Nell'anno scolastico 1955/1956 mio fratello Sandro faceva la quinta elementare e durante l'inverno si beccò una brutta broncopolmonite; da piccolo è sempre stato molto gracile e così, su suggerimento dei medici, si decise che avrebbe dovuto passare gli inverni al mare e ciò voleva dire andare in Collegio.

Ci sarebbero dovuti andare sia lui, a fare la prima media, sia mio cugino Enzo (l'ultimo figlio della zia Giovanna) a fare la seconda. Ma io, che ero molto legato a Sandro, decisi di essere della partita. Così, nell'ottobre del 56 partimmo in tre per il Collegio Salesiano di Varazze: io in quinta elementare,e loro due alle medie.

Furono scelti i Salesiani perché la zia Giovanna conosceva bene quelli di via Copernico a Milano dove mio cugino Franco aveva frequentato le scuole professionali.

In Collegio eravamo poco più di un centinaio di interni (convittori) ma le medie erano frequentate anche da esterni (i semiconvittori) anche se in classi separate.

Il mio maestro era don Ariatti, un prete moro, abbastanza rude sui cinquant'anni che aveva la passione di costruire aeroplanini in legno che poi metteva sui pali angolari della alta rete che delimitava il campo di calcio verso valle. Gli aeroplanini non volavano, ma si orientavano e le eliche giravano messe in moto dal vento che dal mare risaliva verso la collina. Della parte scolastica di quel primo anno non ho ricordi tranne che facemmo gli esami di quinta in Collegio e quelli di ammissione alla I media presso la scuola statale di Varazze (un tema, un problema di matematica e l'orale). Andò tutto bene ed ottenni la media dell'8.

L'edificio

Il Collegio era messo all'inizio della collina prima della frazione di Cantalupo ed era stato acquistato direttamente da don Bosco intorno al 1870. Era stato appena realizzato dal Comune e poi venduto ai Salesiani, ad un prezzo di favore. La famiglia salesiana era in grande espansione ed essi acquisirono l'edificio per farci una scuola (elementari e ginnasio con 150 convittori e almeno il triplo di esterni)  e, secondo il modello salesiano, gli affiancarono l'apertura di un oratorio.

Come si vede dalla foto di apertura all'articolo, il Collegio aveva 4 piani oltre a un piano terra con il colonnato; sul davanti c'era un grande cortile adibito a campo da calcio lastricato con un pavè a mattonelle piccole nel quale, durante la ricreazione, facevamo più partite contemporaneamente. Il gioco era parte integrante della pedagogia di don Bosco. Ogni tanto vi si svolgevano partite a tamburello organizzate da don Ariatti.

A sinistra c'erano l'oratorio con il cinema-teatro e, più in basso, verso il mare, una struttura dismessa che sino all'anno prima, aveva ospitato il noviziato e che negli anni 60 venne poi ristrutturata per ospitare il tentativo di attuare una scuola superiore. C'erano anche, nel passaggio verso l'oratorio, un campo di pallavolo e nella parte a sinistra del cortile un porticato con i servizi igienici e una serie di tavoli stretti e lunghi, con le sponde di legno, dove si giocava a boccette usando delle piastre cilindriche d'acciaio di 4 cm di diametro per 1 di altezza.

Le camerate erano al III e IV piano e portavano i nomi dei santi (con gli immancabili san Luigi e Domenico Savio). Erano dei corridoi lunghi e stretti con i letti messi l'uno dopo l'altro e, all'inizio e alla fine della camerata, un letto con tenda scorrevole su una struttura ad anelli dove dormivano i custodi, dei laici detti coadiutori o cooperatori. Erano ler stesse persone che ci accompagnavano nelle uscite del giovedì e non me li sono mai filati. Non mi sembravano particolarmente svegli e trovavo che fossero anche ambigui.

Al secondo piano c'era la parte scuola (aule per le classi e aula studio) mentre il primo piano era nella disponibilità dei preti (ma forse era il contrario, scherzi della memoria). Al  piano terra c'erano gli uffici del consigliere (l'addetto alla disciplina e al controllo del rispetto delle regole), del prefetto (un incrocio tra l'economo e il vicedirettore), del direttore, il parlatorio (con le poltrone e i divani di velluto) e il refettorio.

Un locale molto particolare era l'aula studio: un lungo corridoio con i banchi disposti a destra e a sinistra contro le pareti. I banchi erano individuali, verniciati di nero e con un piano d'appoggio incernierato che chiudeva uno scomparto in cui tenevamo i libri. Il piano incernierato consentiva di nasconderci la testa e farci un po' gli affari nostri nelle lunghe e interminabili ore dello studio pomeridiano. Io ci tenevo anche i flaconcini vuoti degli antibiotici (recuperati in infermeria) e, dopo aver tolto l'etichetta e liberato il tappo in gomma, ci mettevo le mosche che catturavo al volo e mi divertivo ad osservarne il comportamento, un po' per sadismo, un po' per spirito sperimentale.

Il refettorio era arredato con panche e lunghi tavoli che avevano degli scomparti al posto dei cassetti. Ci tenevamo i viveri di scorta (le arance, i salamini e la pasta d'acciughe nel mio caso) e il tovagliolo. Su uno dei due lati lunghi c'erano i banconi di collegamento con le cucine da cui ci servivano e, al centro del locale, un piedistallo rialzato dove, durante il pasto, uno di noi, a turno, leggeva qualche libro di avventura o di edificazione (tipo la  vita di San Domenico Savio). Domenico Savio e San Luigi erano i due modelli di gioventù proposti con tutti gli annessi e connessi sulla castità che non capivo molto bene, del tipo loro non guardavano il pisello neanche quando facevano la pipì e a me sfuggivano le ragioni. C'era, seguendo l'insegnamento di don Bosco, una autentica ossessione per il sesso che aleggiava come problema ma non veniva mai nominato. Il mangiare non era entusiasmante, ma si sopravviveva.

La fissa della massoneria e le molestie sessuali di inizio novecento

Delle letture mi è rimasto impresso il romanzo Piccoli martiri una storia scritta negli anni 40 da un salesiano fissato con la massoneria. Due bambini venivano rapiti dai massoni per educarli alla lotta contro Dio, …

Questa della massoneria era una idea fissa che si ritrovava anche nei libri di preghiere, insieme alla pericolosità dei protestanti (!?!) e credo si trattasse di un retaggio delle difficoltà di don Bosco a Torino nei rapporti con lo stato liberale. A distanza di anni mi sono chiesto come mai avessero questa fissa, visto che eravamo in piena guerra fredda e dunque c'erano tanti altri esempi di senzadio ben più importanti nella Italia del dopoguerra di quanto non fossero i massoni.

Ho cercato di capire e ho trovato in rete due episodi in cui il collegio venne coinvolto, uno a fine 800 e l'altro nel primo decennio del 900. In entrambi i casi si trattava di atti di libidine verso minori in cui erano coinvolti preti e laici; entrambi si conclusero con delle condanne ed entrambi finirono nel dimenticatoio, ma evidentemente rimase una netta ostilità nei confronti dello stato laico-liberale anticlericale e massone. In particolare nelle reazioni clericali di allora si sottolineava come lo scandalo del 1907 fosse stato ordito dalla massoneria francese.

A proposito della lettura dei libri di edificazione durante il pranzo capitò un episodio curioso a un mio compagno di classe. Avevamo deciso di imparare a fischiare con le dita e così, invece di ascoltare le vite dei santi eravamo impegnatissimi a soffiare con le dita in bocca sopra la lingua o con la lingua piegata. Ci riuscì per primo Gerbi a cui partì all'improvviso un fischio poderoso. Lui fu punito e io non ho mai imparato a fischiare con le dita, anche se in collegio imparai tutti gli altri rumori che simulano i peti e le pernacchie: quelli fatti con il palmo della mano e quelli con la mano sotto l'ascella.

La cappella non era tanto grande, molto decorata e con una balconata sul lato corto all'ingresso: messa tutte le mattine e messa doppia (normale e cantata) la domenica. Ho imparato molto bene a fare il chierichetto con tanto di incenso, turibolo e aspersorio e in occasione delle feste importanti si facevano le prove perché tutto doveva funzionare perfettamente (noi in abito rosso con una cotta bianca). Mi ero fatto regalare per Natale anche due messalini tascabili rilegati e in carta india. Uno aveva le pagine dorate sul bordo, l'altro le aveva rosse. Ripetuti per 365 volte c'erano un breve riepilogo della vita del santo del giorno, i salmi e le letture per la messa (l'epistola e il vangelo). Li ho ancora in qualche scatolone in garage e mi ricordo che, con un po' di sadismo, leggevo e rileggevo delle torture inflitte ai martiri cristiani.

Ogni convittore riceveva anche un suo libretto di edificazione Il giovane provveduto, scritto da don Bosco e il cui testo, se la cosa vi incuriosisce, potete trovare qui; una cosa che trovo particolarmente aberrante. Inoltre eravamo pieni di santini-reliquia ottenuti con microscopici pezzettini di stoffa, pezzetti di pelle o di ossa (quelli più pregiati) che, teoricamente, erano appartenuti a don Bosco, Domenico Savio o a qualche Beato o Servo di Dio della grande famiglia salesiana (forse quei pezzettini avevano semplicemente strusciato l'urna prima di essere messi in produzione a fini devozionali).

Il colonnato del cortile era importante perché lì si scontavano le punizioni: in piedi alla colonna a guardare i compagni che giocavano, in ginocchio alla colonna e, nei casi più gravi qualche vergata sulle mani da parte del prete consigliere (addetto alla disciplina) che era anche un grande distributore di perini (i colpi in testa dati con le nocche). C'erano le regole e c'erano le punizioni ben calibrate secondo una casistica di gravità.

La giornata tipo e le regole

Sveglia intorno alle 6:30 – 7:00; abluzioni e messa (per poter fare la comunione a digiuno come prevedeva il diritto canonico "essere digiuni dalla mezzanotte"); prima colazione (con pane e caffelatte o cioccolata); mezz'ora di ricreazione e alle 8:30 inizio della scuola sino alle 12:30; pranzo; ricreazione per un'ora e dalle 14 alle 16 studio; merenda e ricreazione di un'ora; dalle 17:30 alle 19 studio; cena; ricreazione; preghiera della sera nel colonnato o sotto la statua di Maria Ausiliatrice a poi tutti a nanna.

In uno dei giorni della settimana la merenda consisteva in un panino con dentro una fetta di salame di cioccolato bicolore a riquadri bianchi e marroni della Ferrero. Il signor Ferrero era un ex allievo salesiano e trattava bene, in termini di beneficienza, la grande famiglia salesiana. Aspettavamo con ansia quel giorno, invece del solito parallelepipedo di cotognata della Zuegg, della fetta di formaggio, del surrogato di cioccolato o della mortadella. Un paio di volte, in tutto l'anno, c'era la focaccia, la buonissima focaccia ligure.

Rispetto all'orario standard c'erano due varianti:

  • il giovedì non c'era scuola e si andava a fare lunghe passeggiate su per le colline (al bricco don Bosco, alla Guardia, al Deserto) o nelle calette lungo la costa est ai piani di Invrea (verso Cogoleto) od ovest (verso Celle e Albisola) nelle spiagge non utilizzate delle colonie estive o del Cottolengo. Se la passeggiata era lunga si pranzava al sacco. Il Collegio era posto all'inizio della collina verso la frazione Cantalupo e le escursioni in collina incominciavano sempre da lì con la salita verso i piani di Cantalupo: uliveti e poi bosco misto di pini. Passavamo sotto i cantieri dell'autostrada Genova Ventimiglia, che era in costruzione, e ricordo quei piloni grandi e altissimi, visti da sotto.
  • L'altra variante riguardava la domenica: non c'era scuola; la mattina c'erano due messe intervallate dalla ricreazione e dopo pranzo, arrivati in sala studio, venivano letti ad alta voce (dal consigliere) i voti di condotta settimanale. Chi prendeva 7 meno, o peggio, rimaneva in sala studio mentre gli altri andavano al cinema. Non ho mai preso 7 meno, ma neanche 10. Comunque, per i più discoli, il rito aveva la sua suspence e una funzione deterrente. Dei film della domenica ricordo di avere visto Fantasia di Walt Disney e Sono un agente FBI con James Stewart che mi aveva colpito molto.

Le ore di lezione era poche (giustamente si puntava molto sullo studio personale con un numero di ore pari a quelle di lezione) ed erano poche anche le materie (lettere, incluso il latino), matematica, francese, religione, ginnastica.

I compagni di classe venivano dalle diverse località del nord Italia ed erano di classi sociali diverse. Estrazione popolare in quelli dalle province di Savona e di Genova, di solito con la presenza di casi sociali che noi intuivamo dalla scarsa o inesistente presenza dei genitori, piccola borghesia e borghesia dall'Emilia e dalla Lombardia. Ricordo qualche cognome: Bortolotti, Canepa, Cabrini, Cortesi, Gerbi, Quaglia, Resnati, Rossi, Simonitti.

Cortesi, che aveva un porro sul naso, lo chiamavamo NASA e mi viene da dire che eravamo proprio cretini. Guardavamo con un particolare rispetto Cabrini, che veniva dal lodigiano, perché una sua prozia, con lo stesso cognome, aveva in corso la causa di beatificazione.

In questa foto dell'anno 57/58 c'è la seconda media di mio fratello Sandro (il secondo da destra della prima fila) e, come si vede dalla statura dei marcantoni che stanno a fianco di don Goffredo Moroncelli non si può dire che avessero tutti la stessa età (e anche questo era un aspetto tipico di un collegio).

Per degli adolescenti, lontani da casa, le regole erano eccessivamente rigide. Quando la domenica venivano a trovarti i genitori, comunque non si poteva uscire dal Collegio. O si stava in parlatorio (un locale subito a sinistra dell'ingresso) o, al più, si poteva stare in cortile e camminare sotto il portico. L'uscita all'esterno era consentita solo nel giorno di San Giuseppe (il 19 marzo) per assistere al passaggio della Milano Sanremo lungo l'Aurelia.

La mamma veniva a trovarci in treno ogni due o tre settimane, qualche volta in macchina con il papà e si comunicava per lettera. In famiglia, negli anni successivi, si scherzava sulle mie lettere eccessivamente laconiche: qui tutto bene, portami le arance, il salamino e la pasta d'acciughe. Sembra che, allora, la sintesi fosse il mio forte.

Si tornava a casa solo per le vacanze (incluse quelle di Natale e Pasqua). Ci fu una eccezione per l'epidemia di influenza asiatica nel novembre del 57. L'intero collegio era ko e dunque fu consentito alle famiglie di portarsi i figli a casa. Venne a prenderci l'autista della ditta, Stefano Mariani, con la mamma sulla 1100 famigliare. Fu abbassato il sedile posteriore, messo un materasso e delle coperte e così, con la febbre alta, ce ne tornammo a casa per qualche giorno.

Avevamo a disposizione qualche soldo lasciato dai genitori presso il Consigliere che teneva la contabilità di ognuno e anticipava i contanti. Li usavamo per acquistare, durante la ricreazione, le caramelle della Elah vendute da uno dei coadiutori che girava nel porticato con una specie di banchetto in legno tenuto a tracolla. In quel periodo ho mangiato una quantità enorme di mou latte-menta e cremliquerizia.

Quando volevamo risparmiare andavamo in infermeria, da Celestino, e ci facevamo dare il Formitrol, delle pasticche acidule e disinfettanti abbastanza gradevoli. Se il mal di gola era vero ti davano anche le pastigliette di clorato di potassio da lasciar sciogliere in gola, ma noi le mettavamo da parte e quando ce n'erano a sufficienza le macinavamo. Qualcuno dei genovesi si faceva portare lo zolfo; si mischiava e bastava mettere un po' di quella polverina tra due cubetti di porfido, metterci un piede sopra e con l'altro dare una bella botta laterale. Venivano esplosioni molto più potenti di quelle fatte con i petardi.

Le figure di riferimento

Al primo posto ci metto don Arturo Morello. Era il prefetto del Collegio (cioè una delle due autorità insieme al direttore) e fu il mio professore di lettere  per tre anni. L'ultima notizia che ho trovato su di lui è del 98 e riguarda la celebrazione di 60 anni di presenza tra i salesiani; ed era ancora a Varazze.

Era originario di Ivrea, una persona pacata e con un bel sorriso. Con lui abbiamo studiato l'Iliade e l'Odissea in maniera assolutamente piacevole e lo stesso si può dire per il latino: in prima analisi logica e le declinazioni, in seconda grammatica e sintassi e in terza autori (Giulio Cesare, Ovidio e Catullo) compresa un po' di lettura metrica della poesia. Grazie a lui ho iniziato a leggere romanzi con una certa sistematicità; a quei tempi prevalentemente cose di cappa e spada.

Il professore di Matematica era un laico, probabilmente un terziario salesiano oltre che scout, l'ingegner Nocelli, una persona mitica tra gli ex alunni del Collegio; Varazze gli ha intitolato una via. Mi ha dato una buona preparazione sino alle equazioni di primo grado ma ci ha anche insegnato ad applicarle alla risoluzione di problemi. Non ricordo con chi facessimo francese e religione.

Poi c'era don Goffredo Moroncelli, con quel faccione pacioso e sorridente, assomigliava un po' ad Oliver Hardy. Era così, un uomo buono che teneva nelle sue mani tutta la baracca del Collegio che diresse per qualche decina d'anni sino alla morte nel 71. Oltre che fare il direttore insegnava lettere ed è stato il professore di mio fratello.

 Mio cugino Enzo ha avuto come docente di riferimento don Pier Luigi Ricciarelli (don Gigi) un toscano, biondo e giovane che seguiva l'oratorio. Poi, nel 62, se ne andò a fare il missionario nelle Filippine. Non era contento di dove l'avessero mandato; ebbe dei ripensamenti, si spretò, si sposò e tornò nelle Filippine per opporsi alla dittatura di Marcos. Venne imprigionato e ha scritto una autobiografia.

I nostri riferimenti erano gli uomini in carne ed ossa, e cioè questi preti che amavano stare a contatto con i giovani, ma i salesiani tendevano a farti assimilare il punto di vista di don Bosco: importanza della scuola, attenzione ai giovani e disponibilità nei loro confronti, diffidenza nei confronti dello stato. Ho già detto della fissa della massoneria; aggiungo le cose che ci dissero contro Garibaldi, Mazzini e gli eroi del risorgimento, assimilati a dei banditi in quanto nemici del Papa. Queste cose le dicevano a voce ma, ovviamente, trattandosi di una scuola parificata, non stavano scritte sul libro di storia che pure era edito dalla SEI la loro casa editrice.

A fine anno venivano premiati con medaglia e diploma il I, II e III classificato per profitto, religione e condotta. Ne ho prese un bel po' (anche d'oro) sui primi due fronti, mai per la condotta perchè, senza strafare, sembra che fossi piuttosto vivace. L'equivalente della Azione Cattolica tra i Salesiani erano le compagnie (ricordo quella di San Luigi e quella dell'Immacolata). Erano una cosa ad adesione volontaria e mi è capitato di dirigerne qualcuna. Una esperienza utile per apprendere come si organizza qualcosa o come si prepara una riunione tra persone.

Una cosa che ho fatto regolarmente per 4 anni e che poi mi è servita nella vita sono stati gli esercizi spirituali (della durata di tre giorni) che prevedevano ogni giorno due prediche (la meditazione e la contemplazione, ma forse la seconda aveva un altro nome) intervallate da periodi di silenzio in cui si doveva riflettere sugli spunti che erano stati forniti. Erano strutturati sul modello di Ignazio di Loyola, che li aveva inventati. Le prediche erano tenute da preti venuti da fuori. Buttavi giù qualche idea, prendevi qualche appunto, ma soprattutto imparavi a riflettere e in questo lavoro era fondamentale il ruolo del silenzio. Ci ho ripensato scrivendo queste note: il silenzio mi piace, aiuta a pensare e, dopo che negli esercizi spirituali, da grande l'ho praticato facendo sci da fondo, escursionismo in alta quota e ora nelle lunghe uscite in Mountain bike tra i boschi della Toscana.

La parentesi del noviziato di Novi Ligure

Alla fine della seconda media ho avuto una crisi mistica. In uno slancio di generosità e di adesione allo spirito salesiano decisi che volevo diventare salesiano. Ero influenzato dalla lettura del bollettino salesiano che parlava delle missioni in America Latina (in particolare in Patagonia e nella foresta amazzonica).e dallo spirito di aiuto verso i giovani che si traduceva nella miriade di scuole professionali e di mestiere inaugurate da don Bosco e sviluppate dai successori. Si vede che la storia di fare il professore da grande ce l'avevo nel DNA.

Ne parlai alla mamma in una delle visite e poi con don Morello e don Moroncelli. Si decise che avrei provato. All'inizio della terza sarei andato a Novi Ligure dove c'era un preseminario salesiano. Negli anni 50 era molto diffusa, anche per il clero secolare, l'abitudine, da parte delle famiglie contadine e povere, di mandare i propri figli in seminario. O la va … e ci ritroviamo un figlio prete o se non va, torna che ha studiato e comunque non è stato di peso a casa.

Il preseminario di Novi era pensato per scoraggiare quella pratica; era pieno di figli di povera gente che facevano le medie gratis; si stava molto meno bene che a Varazze, si mangiava male, il trattamento era piuttosto rude e poichè bisognava abituarsi al distacco, era previsto il ritorno in famiglia solo per pochi giorni a Natale e per un mese d'estate.

Non ricordo quasi nulla di quel periodo, tranne la progressiva sensazione che la cosa non fosse per me e così, tornato a casa per Natale ne parlai con la mamma che, dopo aver chiamato al telefono don Moroncelli organizzò le cose per farmi rientrare a Varazze. Fu la fine del mio desiderio di farmi salesiano. Ma mi è rimasta in mente la canzone di don Bosco e ogni tanto la canticchio.


|Giù dai colli un dì lontano | con la sola madre accanto |

|sei venuto a questo piano | dei tuoi sogni al dolce incanto|

|Ora, o Padre, non più solo | giù dai colli scendi ancora|

|di tuoi figli immenso stuolo | t'accompagna a tua dimora.|

|Don Bosco ritorna tra i giovani ancor, | ti chiaman frementi di gioia e d'amor.|


Nel mettere mano a questo racconto ho cercato di capire come siamo messi oggi partendo dalla visione tridimensionale che si ottiene grazie a Google Maps.

Tristezza. La via san Francesco, una via stretta con accciottolato da cui si saliva verso Cantalupo per arrivare al Collegio e poi al convento dei Capuccini c'è ancora nel senso che una via porta il suo nome e lì sotto, con andamento parallelo alla costa c'è persino una via intitolata all'ingegner Nocelli. Ma la collina è una sequela di residence, condomini, scuole, case e l'edificio del Collegio ha cambiato aspetto.

E' riconoscibile la zona dell'oratorio, ma i Salesiani non ci sono più, se ne sono andati da qualche anno, e per Varazze è finito un pezzo della sua storia, mentre il grande edificio di quattro piani è diventato una residenza per anziani.


La pagina con l'indice della mia autobiografia da cui potete scegliere i capitoli da leggere


In rete, grazie al lavoro della associazione Varagine.it potete trovare un immenso archivio storico sulla citta di Varazze e al suo interno molte foto relative alla storia del Collegio e dell'Oratorio.

Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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3 risposte a 1956-1960: in Collegio dai Salesiani a Varazze

  1. angelo soldo scrive:

    Egregio Professore
    ho letto con nostalgia e commozione la storia del collegio Salesiano di Varazze. Ho frequentato il collegio fra il 1967 e 1970 (le tre medie) e molte cose non erano cambiate rispetto ai racconti da lei descritti per il decennio precedente. Ho trovato anche alcuni riferimenti a personaggio del Collegio (fra tutti l'Ingegner Nocelli) molto toccanti. La ringrazio per aver lasciato la Sua testimonianza, assolutamente condivisibile. I migliori saluti. Angelo

  2. Carola Maria Besana scrive:

    Ho passato tutte le mie vacanze estive a Varazze fino a quando mi sono sposata. Anzi poi anche per un paio d'anni dopo. Mio nonno aveva preso una casa a fianco della sede delle suore domenicane sulla stradina che parte da Santa Caterina e arriva a mezza costa per poi scendere prima della strada romana. Una volta era lastricata di sassi aguzzi ed infatti ci ho lasciato un tallone.
    Ricordo il collegio. Se non erro aveva anche un campetto da calcio che utilizzavamo per le immancabili sfide bagni Rosso vs bagni Perù . Una volta feci anche parte della squadra femminile. Credo di avere commesso una cinquantina di falli di mano.
    In quanto alla gita alla Guardia era l'avventura estiva per eccellenza. Si andava anche alla diga nel tentativo di trovare qualche mora , oppure molto più agevolmente ai Tre Pini. I Tre Pini poi rimasero sotto un ponte della autostrada e persero il loro fascino. Ricordo che durante la costruzione del viadotto facevano saltare della roccia con le mine e prima dello scoppio si sentiva il suono acuto di una trombetta che avvertiva del pericolo.
    C'era ancora il Teiro scoperto e nei giorni in cui macellavano (ho sempre odiato la carne di Varazze) l'acqua si tingeva di rosso.
    C'erani ancora tutti i passaggi a livello. Con gli anni veramente le costruzioni sono aumentate tantissimo credo anche in maniera abusiva o semi abusiva. Tutte le villette con balcone a poco a poco diventavano villette con veranda e venivano riciclate come piccole pensioni. Non credo ci sia bisogno di dire che le verande dopo qualche anno diventavano cameretta in muratura. È stato proprio un po' uno scempio. Ma tutto ciò fa parte dei miei ricordi.

    • Claudio Cereda scrive:

      Il Teiro ogni tanto lo risalivamo durante le passeggiate e me lo ricordo abbastanza pulito nella parte alta. Poiché c'erano le concerie sei sicura che il rosso non venisse da lì piuttosto che dai macelli?

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