1974-1976: la parabola di AO

Il periodo che mi vide operare dentro il gruppo dirigente di una organizzazione della sinistra rivoluzionaria è il più difficile da raccontare perché, da allora, sono cambiato molto ed è stata la riflessione su quella esperienza a determinare la radicalità del mio cambiamento: non più rivoluzionario, non più comunista, non più fiducioso (come una volta) nella possibilità che le cose si possano cambiare attraverso l'impegno nella lotta politica.

Mi sono ritrovato ad essere più attento ai cambiamenti che vengono da lontano, che procedono lentamente e che determinano certe scelte di vita nelle persone, come quelli che si determinano nella scuola. Ma sono sempre appassionato e disposto a giocarmi per le cose per cui vale la pena di vivere.


Non sapevo qual'era il tuo nome
neanche il mio potevo dir
il tuo nome di battaglia era Pinin
ed io ero Sandokan.

Eravam tutti pronti a morire
ma della morte noi mai parlavam
parlavamo del futuro
se il destino ci allontana
il ricordo di quei giorni
sempre uniti ci terrà

...


Sono due strofe della canzone di Armando Trovajoli che fa da tormentone a c'eravamo tanto amati di Ettore Scola. Il film me lo sono rivisto e mi ha dato la forza per terminare il pezzo della autobiografia più difficile da scrivere (insieme a quello sulla storia di mio padre), quello del c'eravamo tanto amati. Chi siamo stati:  Gianni, Antonio o Nicola? Il marpione, il proletario dalla fede indistruttibile o l'intellettuale sognatore, o forse tutti e tre insieme? Sentiamo cosa dicono:


Gianni: Certo che la nostra generazione ha fatto proprio schifo.
Nicola: Piuttosto che inseguire un'improbabile felicità è meglio preparare qualche piacevole ricordo per il futuro.
Antonio: Quando si rischia la vita con qualcuno ci rimani sempre attaccato come se il pericolo non fosse passato mai.
Nicola: Credevamo di cambiare il mondo invece il mondo ha cambiato a noi.
Antonio: 306 seggi [della DC], e chi se lo poteva immaginare?
Gianni: Ti devo dire una cosa.
Antonio: E che me vòi di', lo so! Abbiamo sottovalutato un sacco di fattori che hanno concorso a mettercelo nel chiccherone: i soldi americani, la paura di Stalin, i preti, le monache, le madonne piangenti, la paura dell'inferno...
Gianni: Io e Luciana ci vogliamo bene. È questo che ti volevo dire.
Antonio: Ci vogliamo bene... in... che senso?
Gianni: Ci amiamo

Il giudizio positivo che dò su quel periodo non riguarda la sola Avanguardia Operaia, ma tutti i movimenti e le organizzazioni che, dal 68 al 75, riuscirono a determinare innovazioni e trasformazioni sul piano del costume, un riassestamento dei rapporti sociali.a favore dei meno agiati, mutamenti nella legislazione e nelle istituzioni, cambiamenti nella Chiesa Cattolica e un generale spostamento a sinistra nel paese.

Penso alla fine dell'autoritarismo che governava le piccole e grandi istituzioni (dalla famiglia all'esercito), al contratto dei metalmeccanici del 69 cui seguirono, in rapida successione, quelli delle altre categorie, alla affermazione dei diritti nelle fabbriche e nelle scuole, alle trasformazioni nella magistratura, alla abolizione dei manicomi, alla trasformazione delle carceri, alla democratizzazione nell'esercito e nei corpi di polizia, alla crisi del sindacalismo autonomo a favore di quello confederale, alla forte spinta verso l'unità sindacale. Tutte queste trasformazioni sono state opera nostra anche se, ovviamente, non solo nostra.

C'è stato un processo generale e generazionale che ha riguardato tutto il mondo occidentale e i paesi dell'est; poi c'è stata una particolarità italiana dentro la quale abbiamo operato noi che, dopo il 68, facemmo la scelta di andare nei gruppi.

Ho provato a rileggere alcuni dei documenti di allora e mi riesce difficile farlo perché rimango subito colpito sfavorevolmente dalla astrattezza di certe problematiche, del volersi ad ogni costo ritagliare un ruolo che in realtà non avevamo. Ho riletto con attenzione I senzaMao del mio direttore al Quotidiano dei Lavoratori, Silverio Corvisieri, soffermandomi in particolare sul suo intervento al IV congresso di Avanguardia Operaia, quello della trasformazione di AO in un partito, anche se allora era vietato chiamarlo così.

Silverio ha il pregio della brillantezza giornalistica anche quando tratta di cose pesanti come le disquisizioni intorno al centralismo democratico, al rapporto tra il partito e le masse, alla definizione di proletariato nel contesto dell'Italia degli anni 70. Ma non mi ci ritrovo.

Mi ha fatto tornare alla mente il tema della lotta rivoluzionaria per le riforme, una definizione di comodo che avevamo inventato per spiegare che eravamo per la rivoluzione socialista ma che, nel contesto dato, non era pensabile ragionare in termini di insurrezione. Avevamo il doppio problema di smarcarci dagli spontaneisti del tutto e subito e contemporaneamente dire che non ci piacevano, perché troppo istituzionali e codiste, le posizioni di quelli del giro del Manifesto-PDUP, i togliattiani di sinistra impegnati nel tentare di spostare a sinistra il partito comunista.

Mi pare interessante che si tratti di una questione che non interessa più a nessuno, a differenza dell'ottenimento di risultati di trasformazione degli assetti istituzionali. Anche io rimasi affascinato dalla idea di fare la rivoluzione attraverso riforme leggendo nell'estate del 68 un libro di Andreè Gorz, il socialismo difficile. Gorz era il vicedirettore di Les Temps Modernes, la rivista di Sartre. Ne ho parlato nel capitolo 12 e ci ritorno sopra.

Era la corrente dei riformisti rivoluzionari che rifiutavano l'esperienza del socialismo reale e vedevano in un movimento di massa in grado di imporre riforme strutturali il nuovo modo di arrivare al socialismo. In Italia, il maggiore esponente di questa linea di pensiero era Bruno Trentin (insieme a Lelio Basso) e si trattava di una delle tante correnti di pensiero di matrice luxembourghiana che giravano per l'Europa.

Quel libro lo discussi passo dopo passo con Oskian e Claudia che ne criticavano la insufficienza in nome del leninismo e, alla fine di quelle discussioni, decisi di entrare in AO: belle persone, alcune con una storia antica dentro il PCI, altre emergenti come Oskian o Randazzo, tutte decise a rifondare il comunismo passando da Lenin ma senza fare sconti all'URSS.

la crisi nel gruppo dirigente

Il mio impegno in AO con una serie progressiva di promozioni e crescenti assunzioni di responsabilità fu caratterizzato da due elementi:

  • bisognava crescere e rafforzarci perché i tempi della rivoluzione non dipendevano da noi, ma dipendeva da noi, arrivarci avendo risolto il problema della guida del processo rivoluzionario facendo emergere il partito attraverso un processo di scomposizione e ricomposizione nel quale, comunque, AO doveva giocare un ruolo principale
  • stavamo trasformandoci da gruppo semilocale, a Organizzazione Nazionale, a partito e ciò comportava un rafforzamento dell'impegno, il non farsi troppe domande, stringere i denti e puntare adallargarci; accettare di essere inviati in giro per l'Italia a gettare il seme, cedere i propri beni materiali alla organizzazione, rinunciare alla professione post laurea per i quadri del movimento di scienze.

E' questa la ragione per la quale, comportandomi come uno stronzo, lasciai passare un episodio come la radiazione/espulsione di Maurizio Bertasi, Flavio Crippa e Pietro Spotti e, subìto dopo, l'auto-allontanamento dal giornale di Silverio Corvisieri.

Dopo la pubblicazione della prima versione di questa autobiografia ho ricevuto numerose testimonianze relatve al Comitato Centrale della espulsione-radiazione cui non partecipai perchè c'era da confezonare il Quotidiano. Molti compagni che c'erano descrivono un clima pesante, il non trovarsi d'accordo e la paura di parlare, per finire con le richieste di autocritica a quei pochi che osarono dire qualcosa.

Non c'era tempo, bisognava fare e così si finiva per non fare domande e nemmeno farsele. Per esempio dalla lettura dei senzaMao vedo che nella decisione di Silverio di lasciare il giornale e tornare a Roma c'erano sia elementi di logoramento personale, sia l'emergere di preoccupazioni politiche per il processo che ci stava facendo avvicinare al PDUP e allontanare da Lotta Continua. Probabilmente il pezzo su Gioia di Vivere e Lotta di Classe fu il suo modo di lanciare un sasso.

Apparentemente tutto filava liscio ma il fuoco covava sotto la cenere e un pomeriggio, in una riunione di segreteria nazionale, Luigi Vinci richiese a freddo le dimissioni del segretario nazionale Aurelio Campi accusandolo di gestione padronale del partito. Non ricordo se fosse la fine del 75 o l'inizio del 76 ma il fatto è di poco successivo all'allontanamento di Silverio dal Quotidiano. Era l'inizio di una storia durata all'incirca un anno in cui i due principali contendenti alternarono bordate, punture di spillo e giravolte strumentali.

Ho vissuto l'attacco ad Oskian come una autentica pugnalata e mi sono poi reso conto, dalle successive dinamiche in Ufficio Politico, che si trattava di un atto premeditato e preparato con cura da Luigi Vinci che controllava l'apparato e l'organizzazione, in accordo con molti segretari regionali. Così Avanguardia Operaia, in un momento in cui sarebbe servito il massimo di iniziativa politica e di unità interna, sia prima, sia dopo le elezioni del 76, fu invece vittima di una crisi al vertice tenuta lungamente segreta, ma che non le fece certamente bene.

Mi resi conto frequentando i gruppi dirigenti di AO e PDUP di quanto pesassero le miserie personali e quello fu il primo disvelamento del fatto che non basta credere nel comunismo e appellarsi ad esso per essere all'altezza del compito.

Con il IV congresso dell'ottobre 74 Avanguardia Operaia fece uno sforzo per guardare lontano, stare dentro i movimenti sociali ma, contemporaneamente, cercare di costruire una analisi della società italiana che facesse i conti con le caratteristiche dei due blocchi sociali che riscuotevano il consenso della gran massa degli italiani: il blocco intorno alla DC e quello intorno al Partito Comunista. Ma una parte del gruppo dirigente storico guardò a quel tentativo con sospetto come una forma di liquidazionismo.

Il Comitato Centrale, con oltre 100 compagni, tutti con una storia di militanza importante, tutti dotati di esperienza politica, faticava a capire, anche perchè le divergenze reali non venivano palesate; Vinci e Campi un giorno si davano ragione, ma appena temevano che dietro l'unità ci fosse lo zampino del diavolo, rovesciavano il tavolo. Fu così che, dopo il risultato delle elezioni del giugno 76, si produsse lo sgretolamento, dapprima lento e poi clamoroso delle tre organizzazioni principali della sinistra rivoluzionaria; AO, LC e il PDUP seguite subito dopo dal MLS. 

Nessuna di esse era riuscita ad essere una alternativa a quei blocchi di consenso politico ed ora crollavano stritolate da un lato dal PCI e dall'altro lato dai movimenti della autonomia e dal terrorismo.

la mia reazione

Disgustato da come si svolse la discussione intrecciata tra il risultato deludente delle elezioni politiche e la prospettiva di unire o meno Avanguardia Operaia e il Pdup, decisi di andarmene e preparai anche un poderoso documento politico di dimissioni dalla organizzazione a cui avevo dato tanto.

Da qualche mese avevo iniziato a studiare le parti di teoria politica dei Quaderni dal carcere di Gramsci e mi rendevo conto che c'era un vuoto da colmare tra le intuizioni di Gramsci sulla democrazia, sul socialismo, sulla politica, sul blocco storico, sul ruolo della chiesa cattolica e il nostro appello al leninismo. Il leninismo si era inverato in una realtà profondamente diversa da quella italiana e poi aveva avuto una deriva fallimentare.

Nel mese di luglio (mentre ero in ferie dal giornale) mi incontrai con Oskian e Claudia Sorlini per informarli della mia decisione di andarmene da una organizzazione che non aveva il coraggio di discutere. Oskian, che in quel momento non era più segretario politico, ma coordinatore di una segreteria collegiale che aveva il compito di preparare le tesi per il V congresso mi convinse a rimanere promettendomi che si sarebbe aperta la battaglia politica e non quella personale.

Misi da parte il documento di dimissioni (che è rimasto chissa dove in una agenda) e in agosto pubblicai in tre puntate, sul quotidiano, un lungo articolo dedicato alle prospettive che ci stavano di fronte e a quella che secondo me poteva essere la strada per uscirne. Li ho finalmente recuperati e li trovate qui "perché ho votato contro al Comitato Centrale".

Di questioni politiche ce ne sono dentro molte e ciò che mi ha colpito è l'insistenza sulla necessità di una riflessione teorico politica di grande respiro, insieme a problematiche di tipo minore che, con gli occhi di oggi, mi fanno sorridere.

A settembre mi aspettavo una discussione politica (e come si vede dalla D di dibattito nella manchette, pensavamo di farlo sul giornale); invece fui processato in Ufficio Politico per aver infranto il Centralismo Democratico e mi venne messo al fianco, in funzione di controllo, Vittorio Borelli, trasferito da Verona e del tutto digiuno di giornalismo.

In redazione non la prendemmo bene, anche perché, come si vede dai testi, si trattava di un contributo politico del tutto legittimo nell'ambito della discussione su come arrivare al V congresso di AO. Le congiure di palazzo e le manovre di corridoio continuavano da entrambe le parti. Non me la sentii di continuare con l'ottimismo della volontà e decisi che era meglio tornare al lavoro minuto, ma importante, di docente. Rimisi il naso in redazione una volta sola quando ci fu lo scontro a fuoco (di cui ho parlato nel pezzo dedicato agli anni del QdL) in cui morirono Walter Alasia e due funzionari di polizia.

L'esplosione del terrorismo e la violenza dei movimenti della autonomia mi convinsero della necessità di seguire altre strade e lavorare più in profondità. Non abbandonai la passione politica, ma abbandonai l'idea della politica al primo posto, quella del rivoluzionario di professione che sarebbe meglio chiamare uomo ad una dimensione.

Non fu una decisione immediata, ma progressiva. Ricordo che, nei primi mesi del 77, alla assemblea in cui la destra di AO decise di andarsene e aderire al PDUP partecipai, ma mi sentivo ormai un osservatore e non un protagonista al punto di non ricordare nulla dell'incontro residenziale che si tenne a Rocca di Papa. Mi ritrovai con tante persone a cui volevo bene ma che stavano per intraprendere un ennesimo tentativo volontaristico. E lo stesso valeva per gli altri.

La parabola di AO si era chiusa; altri tentarono di fare DP e in quel periodo mi resi conto della drammaticità della situazione. Il terrorismo cresceva, uccideva e i compagni continuavano a fare i distinguo nè con lo stato nè con le BR, come se lo stato, le BR e prima Linea, si potessero mettere sullo stesso piano.

Tutti quei tentativi, per quanto generosi, per quanto animati da persone appassionate, sul piano della soggettività, finirono nel nulla. Non fu così, come ho detto all'inizio, per le trasformazioni che determinarono nella società e negli assetti istituzionali. L'Italia era cambiata in meglio e noi avevamo fatto la nostra parte.


Ultima modifica di Claudio Cereda il 27 maggio 2020


La pagina con l'indice della mia autobiografia da cui potete scegliere i capitoli da leggere


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Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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9 risposte a 1974-1976: la parabola di AO

  1. Giancarlo Villa scrive:

    Un po’ troppo autoassolutorio. Centinaia di compagne/i di AO restarono in DP e continuarono a lavorare nei vari settori, personalmente in fabbrica, sindacato chimici e nei territori, zona Gorgonzola, nei comuni dove avevamo eletto fin dal 1974 diversi consiglieri comunali. A fare la vendita militante del QdL….fino alla scissione manovrata dei Verdi Arcobaleno.
    Bah, storie del secolo scorso.

  2. Enrico Seta scrive:

    Dimenticavo di dire: senza alcun moralismo, sia chiaro, ma credo che AO sia anche stata una scuola di onestà personale superiore a quelle degli altri gruppi. Il rigore intellettuale e teorico verso cui (con tanti difetti) eravamo comunque tesi, alla fine produce e rafforza anche comportamenti personali migliori. Ho trovato lavoro fuori dalla politica, fuori dal mondo della sinistra. Ho potuto conservare un’idea della militanza sganciata da ogni interferenza personale. Ricordo tanti compagni (più nell’ambiente milanese e fiorentino che in quello calabrese, in verità) che mi trasmettevano questo senso di sicura onestà personale. Fui ospite una volta anche di Luigi Vinci (ero a Milano per una riunione). Non mi fu simpatico (giudicai, forse ingiustamente, un po’ caricaturale la sua identificazione con Lenin, problema psicologico allora abbastanza diffuso). Ma ebbi anche un’impressione forte di pulizia, onestà e anche calore da quella casa frequentata da tanto compagni e compagne, molti operai, di quella Milano civile e lavoratrice che io (giovane calabrese emigrato a Firenze) imparai in quegli anni ad amare con tutto il cuore

  3. Daniele Marini scrive:

    La mia militanza in AO si è svolta ai margini dei gruppi dirigenti. Seguivo soprattutto la vita sindacale nel settore dei chimici, cosa che a volte mi provocava imbarazzo perché mio padre dirigeva appunto una azienda farmaceutica, poco toccata dalle lotte, ma i cui dipendenti erano comunque in contatto con colleghi di aziende come Recordati o Farmitalia e a volte dicevano al mio babbo che mi avevano visto o incontrato. Con grande eleganza il babbo si limitava ad accennarmene. 
    A parte questi rari episodi personali, le discussioni e la crisi che racconta Claudio mi hanno sfiorato e solo alla fine mi hanno colpito emotivamente in modo diretto. Nel '76 era da poco nato il mio primo figlio e dovevo spesso stare a casa soprattutto la sera per non abbandonare mia moglie. A un certo punto alcuni compagni mi proposero di riunirsi in casa mia e manifestarono nelle settimane successive affetto e vicinanza. Eravamo in prossimotà dell'evento finale che portò allo scioglimento di AO e con loro ci schieravamo nettamente da una parte precisa che, se non ricordo male, era quella che si riferiva a Campi come leader. Questo era certamente coerente con il fatto che conoscevo bene sia lui, entrambi a Fisica, sia Claudia che anche era vicino a mia moglie visto che entrambe rimasero incinte nello stesso periodo.
    Dopo qualche anno una delle compagne si confidò con me dicendo che si erano avvicinati manifestandomi amicizia per cercare di portarmi verso le loro posizioni. Lo considerai un tradimento e lasciai l'attività poitica pesantemente amareggiato. Solo dopo parecchi anni feci pace con me stesso e in qualche modo perdonai questi compagni con i quali mantenni comunque un rapporto di lontana amicizia.
    Per quanto riguarda la trasformazione sociale e politica dell'Italia che anch'io penso di aver contribuito a fare, penso però che questo avvenne forse prima che AO si costituisse a partito. Il maggior ruolo lo ebbe a mio giudizio il movimento degli studenti come azione complessiva dei giovani verso una società ormai invecchiata.
    Me lo confermò qualche anno dopo ancora mio padre che mi disse "mi avete cambiato". Egli era sempre stato un conservatore illuminato, di orientamento repubblicano, certamente anticomunista, che anzi, quando il PSI con Nenni andò per la prima volta al governo, commentò dicendo che presto avremmo avuto i comunisti al governo. Dopo ii '68 incominciò ad avere maggiore attenzione per la domanda delle classi emarginate e disagiate, votò anche per il PSI e per lo PSIUP in quache occasione. Credo che la sua sia stata una testimonianza dei cambiamenti che abbiamo provocato.

  4. Virginio Zaffaroni scrive:

    Nelle tante decadi trascorse da allora mi è capitato di riflettere sul mio tempo in AO (73-76) e, visto dal di quà della mia vita, di vederlo unico per tante ragioni: stare in quel tempo "speciale" e stare in AO significava adottare un punto di vista sul mondo totalizzante, a suo modo privo di laicità. Ma AO era stata anche per molti ventenni come me un canalizzatore potente delle energie. Si stava dentro un tempo di immanenze, di euforia rivoluzionaria. Ma nell'euforia c'era metodo; quell'educazione al metodo analitico, alla visione sistematica e al senso dell'organizzazione è la migliore eredità lasciatami da AO per la maturità. Tu mi offri, a tanti anni di distanza, un punto di vista previlegiato e titolato sul tempo del declino. Scopro, leggendoti, le dinamiche e le dialettiche interne al gruppo dirigente, che mi sono state sempre ignote. Ma sto cercando di accoppiare al tuo racconto dall'alto il mio racconto dal basso. Mio e di tanti altri vicini a me. Quella crisi, quelle tensioni agitavano anche noi (AO a Saronno era una forza considerevole). Quell'articolo di Corvisieri sul QdL (Gioia di vivere e lotta di classe) mi aveva colpito e io l'ho sempre visto come la scintilla capace di far emergere anche tra noi stili e pulsioni diverse. Chi, come me, era entrato in AO, passando prima dai Beatles, da Battisti, dai Pink Floyd e da Kubrick, si era un po' entusiasmato a quell'articolo di fondo del QdL; banalizzando, c'era uno che sul nostro giornale leninista "sdoganava" quelle sere a sentire Atom heart mother, in attesa dell'ora per l'attachinaggio notturno. Mi ricordo che (sul QdL) a Corvisieri seguì subito una spietata critica di Luigi Vinci. Non ho più chiara la sequenza temporale, ma è in quel tempo che si profilava la necessità delle integrazioni politiche, che avrebbero portato a DP. Ciò che ricordo è che mi trovai all'improvviso una sezione di AO in totale deflagrazione, un susseguirsi di tensioni, sospetti, contrasti sempre più profondi. Non ho mai compreso se, aldilà di ragioni più profonde, legate alla mutazione dello scenario politico, qualcosa avesse contato il contrasto tutto "culturale", sorto dalla presa di posizione di Corvisieri. 
    Cordiali saluti.
    P.S. Touchè, per la barba e i baffi. Ricordavo quindi male. Mi sembrava di ricordarti come relatore in qualche "attivo" (si chiamavo così) a Saronno.
     

    • Lorenzo Baldi scrive:

      Ciao Virginio!

    • Claudio Cereda scrive:

      Scrivi delle belle cose; nel periodo del Quotidiano ho lavorato a testa bassa e tante cose che cambiavano le ho vissute mediate dalla necessità di cucinare il giornale ogni giorno. Quando ho rotto ho tirato una bella riga nei confronti del volontarismo; ho cambiato progetto di vita … Confermo di essere venuto a Saronno quando facevo il segretario regionale. Per me Saronno ha significato John Banfi mio compagno di corso e amico a Fisica, prematuramente scomparso. Prima di AO ci sono anche venuto in bici un paio di volte.

  5. mi permetto però di osservare (al margine del contributo di Claudio che rileggerò con calma) che non tutti (e gli ambienti di ao erano fra questi) erano sulla parola d'ordine "nè con lo stato nè con le br". anzi mi ricordo di una lunga e accesa discussione con un compagno di ao della mia città lui contrapponeva appunto un'altra parola d'ordine che era "contro lo stato nè con le br". ripeto è una cosa molto marginale e che nulla ha a che fare con il "merito" del contributo di Caludio

    • Claudio Cereda scrive:

      me la ricordo così “no allo stato delle BR” che è anche peggio; era, in pieno rapimento Moro, la riproposizione de “la strage è di stato, avanti con le lotte del proletariato”. La stessa storia che di fronte al cadavere di Feltrinelli ci portò a sostenere che era stato ucciso dai servizi segreti o che Calabresi era un agente della CIA. Che nei corpi dello stato si annidiassero nemici dello stato democratico era vero ma che in Italia fosse indispensabile la difesa senza se e senza ma delle istituzioni democratiche, per me lo era altrettanto.

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