Da 1 a 73: l’aurora

Adesso che l'autobiografia è finita svolgo qualche riflessione per spiegare perché l'ho scritta, come è organizzata e cosa contiene in modo che possa emergere una modalità di lettura a più scelte a seconda degli interessi. Sono passati 4 anni dala scrittura dei testi e dalla loro messa on line su Pensieri in Libertà e ho deciso di rileggere, limare, riflettere, completare. In tempi di Covid è morto inaspettatamente un amico, Corrado Lamberti, fisico come me, di un anno più giovane, appassionato di fisica, di divulgazione e incapace di stare fermo. Una ragione di più per rivedere.

Ad un certo punto della propria vita si sente il bisogno di riflettere su ciò che è stato, guardarsi dentro e ricordare. Mi è capitato di farlo mentalmente soprattutto quando mi sono chiesto come mai avessi fatto certe scelte di cambiamento di collocazione politica, associativa, professionale o di orientamento culturale e cosa mi fosse rimasto delle esperienze precedenti che mi accingevo ad abbandonare.

Pur nelle rotture rimango un continuista e pertanto del mio passato non rinnego quasi nulla. L'unica scelta su cui mi rimangono delle perplessità è stata quella di non essere rimasto in università quando tornai da militare a cavallo tra il 1971 e il 1972.

Allora non mi rendevo conto molto bene di quanto mi interessasse e mi piacesse la fisica ed ero ubriaco di voglia di cambiare il mondo. Così ho fatto altre scelte, ma queste scelte mi hanno comunque arricchito e credo che la possbilità di fare il docente sul serio (a partire dal 1977 dopo la esperienza giornalistica) sia stata importante per me e, mi auguro, utile alle persone che ho seguito nel loro processo di crescita.

Probabilmente anche restando in università avrei avuto degli allievi, ma non sono sicuro che si sarebbe verificata la possibilità di cura che ho avuto nei loro confronti. Ci si sarebbe mossi su di un livello intellettuale e scientifico più alto, ma forse si sarebbero fatte le cose in maniera più frettolosa. L'ansia di cambiare la scuola superiore, alzandone il livello e trasformandola in un luogo di ricerca didattica e di produzione scientifico-culturale ha dietro questa duplicità; fare le cose per bene ma puntare verso l'alto.

Quanto siamo figli dei nostri genitori? Se mi avessero rivolto questa domanda 50 anni fa, avrei risposto in maniera negativa: quasi per nulla. Quando tutto ti bolle nella testa prevale il desiderio di rompere, di cambiare e si tende a trascurare il debito di riconoscenza. Ti senti diverso e magari sei anche innamorato dell'idea che, dal patrimonio genetico, si possa prescindere perché ciò che importa sono le esperienze e le relazioni sociali.

Ci sono delle cose, nella vita delle persone, che sono talmente piccole, legate al quotidiano, da sembrare insignificanti, ma non è così. Ci riflettevo tornando a Solaia da Siena, nel guardare le piante, il giardino e la Chicca che mi faceva le feste e mi portava la palla da tirarle. Sono queste piccole cose che, granello dopo granello, incidono su quelle grandi, è la mia metafora dell'acqua che scava la pietra.

Una prima cosa che reputo molto importante nella autobiografia è stata la scelta di sollevare il tema del fascismo di papà e di parlarne pubblicamente. Ero titubante, non volevo che la esplicitazione di certi episodi, si traducesse in argomento di polemica. Avevo vissuto il contrasto tra le mie idee e quelle di mio padre come una questione privata che si era risolta molto bene perché, dietro le differenze di orientamento politico, c'era una unità profonda che riguardava l'impegno per migliorare il mondo.

Lui non avrebbe detto cambiare il mondo ma piuttosto fare del bene. Rispetto ad aver avuto un padre fascista a me spiaceva molto di più avere una madre un po' benpensante e democristiana. Di lui mi colpiva il come fosse ben voluto in paese; poi la lettura dei documenti che ho pubblicato (quelli del suo processo) mi ha fatto capire tutto e mi ha inorgoglito, ma mancava il coraggio di rendere pubbliche certe cose. L'autobiografia è stata l'occasione; d'altra parte, la mia esistenza, in termini temporali, è stata originata da quel processo.

le cose di cui si parla

l'infanzia

Provengo da una famiglia medio borghese in cui l'ascesa è stata seguita dal declino (capitoli 2 e 3) e parlare del mondo di via Mazzini mi ha fatto venir fuori ricordi, piccole avventure, odori di un mondo che a Villasanta ha avuto il suo peso, anche se l'ho visssuto con gli occhi di un bambino. Il mondo dell'industria era diverso da quello dei mugnai del Taboga da cui veniva mia madre (capitolo 5); lì ho visto la miseria della vita quotidiana ma ho anche vissuto a contatto con il Lambro e con l'economia costruita intorno al fiume.

Il periodo delle scuole elementari e delle medie (capitoli 4 e 6) l'ho vissuto in parte a Villasanta e in parte in collegio a Varazze. Credo che risalga a questa esperienza il fatto di non essermi mai integrato completamente con il paese. Il collegio ti fa perdere gli amici di infanzia, te ne fa trovare altri, destinati a perdersi nuovamente. Di sicuro andarsene di casa ti fa recidere anzitempo certi legami. Non so se sia stato un bene sul piano dello sviluppo della affettività, ma nasce da qui, credo, la mia tendenza a sviluppare legami forti, ma a termine, sul piano sentimentale e delle amicizie.

la religione

Ne inizio a trattare negli anni del Collegio, ma è stata l'esperienza di Gioventù Studentesca (capitolo 9) quella in cui ho sperimentato una adesione (abbastanza integrale e totalizzante) al Cattolicesimo. Fu un mix di esperienza religiosa, socializzazione, vita in comune, sviluppo adolescenziale, stimoli culturali, incontro con persone significative sul piano umano. Come nelle più belle storie, ad un certo punto, ci si ritrova diversi e ci si lascia, con un po' di rimpianto. Ma si conserva qualcosa dentro di sè che sedimenta e diventa una parte del proprio essere.

la scuola superiore all'ITIS

Sono capitoli (7, 8, 10, 11, 12) scritti di getto nell'estate del 2011, mentre stavo in ferie e mi apprestavo a lasciare definitivamente la scuola. Sarebbe stato imbarazzante scriverli mentre facevo il preside all'Hensemberger (dove ero stato studente e poi Preside) e così attesi di essere a Siena, lontano dal luogo del delitto. Oltre alla scuola c'è dentro un po' di tutto della vita di un adolescente: i compagni, l'elettrotecnica, le trasgressioni, le prime moto, la sospensione, ….

Quando ho iniziato l'Università e poi, per un po' di anni, memore di alcune difficoltà, mi ero fatto l'idea che l'ITIS di allora, per quanto scuola di alto livello, fosse comunque di serie B rispetto ad un liceo fatto bene. Con il tempo ho cambiato opinione, perché è vero che non sei allenato alla astrazione, ma la concretezza, la curiosità del guardare dentro le cose e cercare di capire come funzionano mi è venuta da lì.

Lo stesso vale per il saper fare figlio di tante ore passate in laboratorio. Al liceo, se sei fortunato, impari a pensare, ma poi … Ho cercato di riflettere su questi problemi nel capitolo dedicato ai primi anni di università quando combattevo per farcela, stringevo i denti, studiavo, mi mettevo alla prova e cercavo di crescere conservando buoni rapporti con la tecnologia mentre mi occupavao di scienza dura (capitolo 13).

la politica

Di politica, nella mia vita, ne ho fatta tanta e, forse, ne sto facendo anche ora. Credo che dietro ci siano stati il patrimonio genetico e l'esempio, di mio padre. I primi segni per la passione politica li trovate negli anni dell'Hensemberger, ma poi LEI è stata una costante della mia vita e dunque, anche nella autobiografia, le ho dedicato diversi capitoli, anche se scritti in periodi diversi.

I più vecchi (capitoli 14 e 27) hanno a che fare con il 68, il prima, il durante e il dopo; si sono originati quando ci siamo ritrovati 40 anni dopo,. nel 2008, e abbiamo scoperto che, nonostante percorsi professionali, culturali e politici, anche molto diversi, erano rimasti dei legami profondi, di quelli che si sentono e si vivono. Come mai persone dalle storie più diverse si ritrovarono nella convinzione che avrebbero rivoltato il mondo: quello dei rapporti interpersonali e quello dei rapporti sociali. Più tardi si disse che volevamo dare la scalata al cielo; io dico che osavamo e pensavamo in grande.

Dopo la fase degli anni ruggenti all'Università è venuto, non voluto ma inevitabile, il periodo del militare (capitolo 15). Esperienza dura sul piano psicologico, ma molto formativa sul piano del carattere, una specie di collegio della maturità.

Il capitolo 16 ha a che fare con la costruzione, dal basso, della sezione di Monza e Brianza di Avanguardia Operaia. Si faceva tanta politica su più fronti e intanto avveniva, attraverso una serie di cooptazioni successive, il mio risucchio nel gruppo dirigente nazionale di questa organizzazione comunista e rivoluzionaria. E' stato occupandomi di riflessione teorica su quello che andavamo facendo e/o di problematiche generali della politica che ho iniziato a scrivere, dapprima dei saggi, e poi, con la fondazione del Quotidiano dei Lavoratori, di tutto un po': editoriali, articoli di rassegna, corsivi.

E' stato un periodo bellissimo e massacrante, trascorso il quale, non a caso, ho cambiato mestiere logorato dal lavoro di cucina di un  quotidiano, che porta inevitabilmente alla superficialità, e dalle vicende e rotture interne al gruppo dirigente di Avanguardia Operaia (capitolo 18): si esplicitava una divaricazione di carattere e di orientamento, in una fase in cui emergeva con chiarezza che non c'era trippa per gatti ovvero che per cambiare il mondo non basta volerlo.

Questo capitolo mi è costato fatica perché volevo raccontare cosa mi fosse accaduto sul piano personale, ma non potevo esimermi, del tutto, dal dare giudizi politici sulla intera vicenda (la fine della sinistra rivoluzionaria). E' sempre difficile parlare delle rotture con persone a cui si è voluto bene e con cui si sono fatti percorsi di vita lunghi, ma soprattutto intensi.

A differenza di altri amici che, per un paio d'anni almeno, ci provarono ancora e in altre forme, dopo aver preso la decisone di occuparmi seriamente di scuola, presi anche quella di iscrivermi al PCI, facendo il militante di base perché ormai non sarei più stato in grado di adeguarmi a certi riti, regole e discipline che ti sono richiesti ad altri livelli (capitolo 20). La fine di questa fase l'ha decisa la storia: parlo della fine del comunismo in tutte le sue forme e varianti.

la scuola, la filosofia, la professione

Sono rientrato a scuola nel gennaio1977 e ne sono uscito definitivamente nel 2012 ma, anche quello, non è stato un processo lineare. Dopo essere andato al Liceo Frisi di Monza nel gennaio del 77, è venuta una fase di studio della scienza dura, della sua storia, della sua filosofia che è andata di pari passo con l'impegno da docente e quello da difensore della razionalità e della democrazia. Erano gli anni dei movimenti della autonomia e del terrorismo. Ne tratto al capitolo 19.

Ad un certo punto ho iniziato a sentirmi sottoutilizzato (avrete capito che sono fondamentalmente un inquieto) e quando mi si è offerta la possibilità di andare a vedere il mitico privato, non ho perso l'occasione (altra riconversione metodologica, altro modo di lavorare, altre esperienze che ti arricchiscono – capitolo 21). Così ho mollato la scuola e mi sono licenziato.

Dopo neanche un anno mi è apparso chiaro che anche quella sarebbe stata una parentesi; ho imparato tante cose sul funzionamento di una organizzazione; ho guadagnato dei soldi che mi hanno consentito di comperare una casa; ho capito che il mondo della scuola non ti dà il danaro ma ti dà tante altre cose, più importanti del danaro.

Così sono tornato a scuola, prima al Liceo Classico Zucchi (capitolo 22) e qui l'episodio più importante è certamente il suicidio di due miei studenti, poi al Frsi a fare un esperimento di Liceo sperimentale con la scienza dura e con studenti motivati, per scelta autonoma, ad un percorso impegnativo di crescita attraverso lo studio critico della scienza (capitolo 23 e 26).

Intorno al 2005 il progressivo distacco dal Frisi non è stato determinato da insoddisfazione, ma dalla voglia di fare qualcosa di nuovo mettendo a frutto quanto avevo imparato in tutti questi anni tentando di fare il Dirigente Scolastico. Ne parlo nel capitolo 24 (il concorso e la formazione) e 25 (l'esperienza di DS all'Hensemberger di Monza e al Bandini di Siena).

Dal 2012 sono in pensione e ho di nuovo cambiato vita (ambiente, natura, cucina, escursioni, …, scrivere). Siamo arrivati al capitolo 28.

Quando ho finito di scrivere l'autobiografia, uscita a pezzi, ma raggruppata in questa pagina, mi sono reso conto che c'erano tante piccole cose di cui non avevo trattato e così stanno nascendo i racconti: esperienze di vita quotidiana, dal rapporto con gli animali, a quella volta che rischiai di morire, al viaggio a Capo Nord in moto.

In coda ai diversi capitoli trovate i commenti che i lettori hanno inviato in questi anni e dovete considerarli parte integrante del racconto.

P.S. – l'immagine che accompagna l'articolo non è quella di un tramonto; si tratta dell'aurora a Solaia, vista dalla finestra di casa mia. E così è spiegato anche il titolo di questa introduzione.

Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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6 risposte a Da 1 a 73: l’aurora

  1. Alvaro Ricotti scrive:

    Caro amico, ho letto con estremo interesse la tua storia, anzi dovrei dire i capitoli che compongono la tua storia, dalla ditta di scarpe dei tuoi alla speranza che il corona virus ci faccia riflettere sul nostro passato.
    Una cosa devo dirti innanzi a tutto, ti ringrazio, ti ringrazio di avermi trasmesso quella strana felicità prodotta dalla nostalgia, ti ringrazio di avermi dato la possibilità, attraverso il tuo racconto, di ripercorrere con ordine cronologico il mio passato, la mia storia, che sfasata di qualche anno mostra molte analogie con la tua.
    Sono del cinquanta e la mia infanzia l'ho passata spesso a casa dei nonni, il mio era ciabattino e lavorava in casa, gli attrezzi, le forme gli odori di cui racconti me li sono visti ripassare davanti agli occhi della memoria che si sono riaperti alla lettura delle tue parole.
    Mi sono diplomato al Molinari, lì ho conosciuto molti amici che abbiamo in comune, e da lì è iniziata la mia adesione a quell’organizzazione di cui sei stato un dirigente di tutto rispetto. Io, invece sono sempre rimasto, per mia volontà,  un semplice militante di base.
    A ventidue anni avevo già una figlia e tra lo studio all’università e il lavoro non potevo  assumermi incarichi anche incarichi politici. Solo nel tuo racconto mi sono avvicinato alla comprensione della disintegrazione di AO e della sinistra rivoluzionaria in generale. Tu l’hai vissuta dall’interno e hai potuto cogliere quelle dinamiche di scontri politici e personali  che a noi militanti di base erano precluse alla conoscenza e lasciate solamente all’intuizione.
    Pensa, che nel  gennaio del ’76, dopo averlo rimandato il più possibile, sono partito per il servizio militare nonostante avessi una figlia di quasi quattro anni e per questo avrei potuto chiedere di essere esonerato. Mi dicevo che un militante rivoluzionario non poteva sottrarsi in un momento così delicato di fare lavoro politico e di controllo all’interno delle forze armate.
    All’epoca si viveva come se la rivoluzione potesse scoppiare da un giorno all’altro così pure come tentativi eversivi golpisti. Poi tutto ciò, per fortuna non si è avverato ed è andata come è andata.
    Senza alcun riferimento, senza indicazioni, nella mia solitudine mi sono lanciato nel lavoro e, lasciato l’insegnamento in una scuola professionale, mi sono lanciato nella libera imprenditoria. Producevo in un capannone a Rozzano componenti per altoparlanti, dai coni in cellulosa agli avvolgimenti da inserire nei magneti ai così detti centratori … è durata poco, solo cinque o sei anni.
    Nell’ 83 ho fondato con mio cugino un’agenzia di fotogiornalismo “Fotogramma” che lavora tutt’ora.
    Ma il tarlo del perché non mi ha mai abbandonato, perché era successo quello che era successo, quali le cause? L’errore era stato nella prassi, nell’interpretazione della realtà storica o conflitti personalistici?
    Avendo una cultura di base di tipo scientifico ho cercato nella storia della scienza del ‘900 le risposte e mi sono avvicinato a testi e ad autori che avevo solo sentito nominare. Il Circolo di Vienna, prima e il Circolo di Berlino dopo, con i suoi protagonisti, le loro storie, mi hanno disvelato un mondo, anzi un modo di guardare il mondo.
    Nel tuo racconto, in quello che ho percepito come un’ansia alla comprensione delle cose, mi ci sono ritrovato. Non al tuo livello, mi mancano le basi matematiche e scientifiche sufficienti, ma negli aspetti generali , diciamo più filosofici, di metodo più che di sostanza ho percorso la tua stessa strada.
    E così sono andato alla ricerca prevalentemente di vecchi testi di Carnap, come ‘I fondamenti filosofici della fisica’ o ‘La filosofia della scienza’, di Schlick come ‘L’essenza della verità secondo la logica moderna’, di Reichenbach come ‘La nascita della filosofia scientifica’.
    Poi, dato che da un autore si rimanda ad un altro fino ad arrivare, da una parte a Poicarè con ‘La scienza e l’ipotesi’ e ‘Il valore della scienza’ e dall’altra a Schrodinger con ‘L’immagine del mondo’ e Monod con il suo ‘Il caso e la necessità’ o Feynman con ‘Il senso delle cose’ e ‘Qed’ e molti altri come Geymonat e Preti.
    Queste letture fatte per passione e per non rimbambire davanti alla tv mi hanno aiutato a ripercorrere l’evoluzione del pensiero marxiano e marxista, storicizzarla  e considerare quanto poco scientifici siamo stati noi negli anni ’70, ma anche quanto poco scientifici lo furono, nell’elaborazione teorica, le generazioni che al pensiero di Marx si rifacevano e ci hanno preceduto sin dai primi del ‘900.
    Arrivo fino a pensare che dal punto di vista scientifico sia molto carente anche tutto l’elaborato teorico del pensiero marxiano. Mi sembra che un certo ripensamento, in questo senso, ti abbia percorso; l’ho notato in certe considerazioni che, ripensando alle vicende che politicamente ti hanno coinvolto, hai esplicitato citando alcuni passi critici tratti dai Quaderni di Gramsci.
    E’ questo che ti chiedo, essendo un uomo dalle notevoli capacità intellettuali: perché non hai approfondito le cause dirette, non solo le contingenze storiche, del fallimento della visione rivoluzionaria della nostra generazione? Non solo nella prassi, ma, a parer mio, nei limiti ideologici stava la miseria politica di quelli che come noi si chiamano sessantottini.
    Io non ho né le capacità culturali né linguistiche, ma tu, esperto giornalista e studioso, hai tutto per poterlo fare.
    Un saluto affettuoso, tra una cassoeula una frittata di zucchine, pensa a chi ha bisogno ancora della tua intelligenza.  Mi rendo conto che queste mie ultime parole potrebbero sembrare una presa per il culo, ma è esattamente quello che penso e non ho trovato altri termini per esprimerlo. Alvaro Ricotti

    • Claudio Cereda scrive:

      Caro Alvaro, non ci conosciamo direttamente, ma mi ha fatto un immenso piacere scoprire una persona che ha fatto un percorso, in particolare sul versante culturale, molto simile al mio.
      Tutti i libri che hai citato li ho studiati e molti li ho anche usati nell'insegnamento, in maniera sia diretta, sia indiretta.
      È difficile rispondere alla domanda che fai alla fine anche perché la mia formazione di partenza da ITIS fa sì che io sia una persona estremamente pratica e abituata a non farla tanto lunga sulle cose
      Quando, dopo le elezioni del 76, ho incominciato a interrogarmi sulle ragioni per cui era andata in quel modo mi sono accorto che, aldilà del grande volontarismo che ci animava eravamo portatori di una visione estremamente semplificata e rozza della realtà italiana e, per di più, in quel momento mi sono accorto di quanto i nostri gruppi dirigenti fossero schiavi di miserie personali e di ideologia
      Ho scelto di fare altro conservando la passione genuina per la politica nel senso nobile del termine, ma ho fatto altro, come ti renderai conto in questi giorni leggendo gli articoli che riguardano la scuola e che sono quattro. Il terzo e il quarto escono oggi e domani. 
      Ti ringrazio di nuovo

  2. franco de anna scrive:

    carissimo… quando ho visto e tue pubblicazioni in progress ho deciso che avrei letto tutto di un fiato… è per questo motivo che non trovi commenti miei alle singole puntate…. ma non temere: troppa passione nel leggerti ….
     
    Franco De Anna

    • Claudio Cereda scrive:

      E’ un malloppo gigantesco da leggere tutto insieme; non dico seguire ogni giorno, ma andare per aree tematiche. Per esempio 11/12 oppure 14/15/16. Così è più facile cogliere l’evoluzione e anche intervenire. Se vai nella pagina con l’indice ci sono i riassun ti ed è semplice selezionare.

  3. valerio grassi scrive:

    Claudio, ero stato in pensiero perché scrivevi poco e mi mancavano le tue riflessioni. Adesso ho gli arretrati.
    Questa non te la risparmio: secondo anno di ragioneria, domanda "cos'é il principio di indeterminazione di H?" Scarafone mio non ha la minima idea, la prof lo rimbrotta "ma come, abbiamo il Pino Heisenberg a pochi metri da noi e tu non sai neanche chi è?" (sic). Una volta i ragionieri studiavano merceologia, adesso fanno un anno di chimica. E parlano di elettroni 1s, 2p e via discorrendo. La prof è una CTF, che è una laurea che esige più impegno di chimica, per esempio. 
    Per l'ennesima volta ti richiederei la email privata, così ti posso comunicare il rischio che ti volevamo far correre subito dopo il pensionamento. 
    A presto!
    valerio grassi (arcorese del '47, amico di Pepè figlio di poliziotto)

    • Claudio Cereda scrive:

      la confusione tra Hensemberger e Heisemberg è un must per coloro che operano a Monza senza essere monzesi

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