Storia di un comunista – Toni Negri

Non avrei mai comperato questo libro (di cui non conoscevo nemmeno l'esistenza) se non fosse stato per una discussione sorta in un gruppo di ex intorno alla sua importanza.

E' partito tutto da un video di Youtube (il lungo 68 italiano) in cui Gad Lerner dialoga con Toni Negri e il coautore De Michele. Mi sono pazientemente sorbito un'ora e mezza di valutazioni che giudicavo e giudico unilaterali e l'ho scritto; trovo aberrante che di fronte a responsabilità gravi e al fallimento definitivo di un progetto non venga nemmeno un briciolo di ripensamento.

Mi è stato spiegato che mi sbagliavo e che nel libro c'era molto di più di quanto non trasparisse nella intervista. Sono una persona curiosa e ho deciso di vederci chiaro: il tema della autobiografia mi affascina sia sul versante umano sia su quello culturale. Così ho affrontato le oltre 600 pagine di questo libro che va dalla nascita all'arresto di Toni Negri il 7 aprile 1979 (l'inchiesta passata alla storia come Il teorema Calogero).

Il libro è scritto a due mani con Girolamo de Michele e dunque si alternano le parti in prima persona in cui Toni racconta di sè ad altre scritte da (o con) De Michele in cui si parla della evoluzione mentale e filosofica di Negri. Queste parti sono particolarmente pesanti e sono state numerate in corsivo in maniera che possano essere totalmente o parzialmente saltate (cosa che ho fatto anche io quando si andava sul ripetitivo o sull'eccessivamente tecnico).

La parte che mi è piaciuta di più è quella di cui, nelle recensioni, si parla poco: l'infanzia, l'adolescenza, l'impegno nella Azione Cattolica con la organizzazione di una corrente progressista, i primi anni di università e il girovagare per l'Europa.

Ne esce l'immagine di una figura interessante, poliedrica e sono questi gli elementi che hanno poi contribuito a farne un leader, pur di un progetto sconfitto senza appello.

il fratello Enrico e il nonno Enea

Nell'autunno del 43 il fratello primogenito Enrico ha 17 anni (Toni ne ha 9); sono orfani di padre e la mamma si appoggia sui nonni. Enrico fa una delle cose che accaddero a tanti giovani: o di qua o di là e lui va di là e si arruola volontario tra i bersaglieri di Salò inviati sul fronte Jugoslavo a combattere i titini. La mamma Aldina non fa neanche in tempo ad andare a riprenderselo; siamo a metà dicembre ed Enrico risulta disperso; poi, in un comunicato ufficiale, si dirà che si è suicidato per non finire nelle mani dei rossi.

Toni ogni tanto ne parla: è morto il padre, il fratello si è suicidato stando dall'altra parte e c'è un po' di angoscia nell'aria: come ha fatto mio fratello ad essere fascista, sino a farsi ammazzare?

Quando muore il nonno paterno Enea, la famiglia si è già trasferita a Padova (dall'oltrepo mantovano) e Toni frequenta il classico (Il Tito Livio): mi amava in maniera affettuosa e soprattutto avrebbe voluto sostituire mio padre. La sua pedagogia non era formale, ma pratica, discorsiva; conteneva, accanto al sapere passioni sempre motivate. Una gra bella bestia, quel vecchio! Con tranquilla saggezza e passione militante di classe operaia mi aveva aiutato a diventare grande.

Il liceo, l'Azione Cattolica, i viaggi e l'Università

Toni fa il liceo; è uno studente brillante in una scuola fortemente classista e forma un gruppo di amici-intellettuali: Paolo, Gian, Carlo,Francesco, Lula (cinema, teatro, librerie, biblioteche, passeggiate notturne, discussioni, musica classica). Si studia Gobetti e si sfiora Gramsci.

Nel 1951 iniziano i viaggi: zaino, cibo in scatola, autostop. Londra, la Scozia, il Galles, Parigi, Basilea, Insbruck. Aver fame, dormire per terra, cercare amicizia in contatti episodici, provare sentimenti ed esperienze amorose in maniera profana. Al ritorno dal viaggio il gruppo si imbarca nell'avventura dell'Azione Cattolica che sta svoltando a sinistra sotto la guida di Mario Rossi (che durerà alla presidenza solo due anni) e a Padova c'è un vescovo che condivide il rinnovamento. Così i mau-mau  si danno da fare e si scontrano con l'apparato del tradizionalismo clericale. Se Dio ci fosse non lo sapevo – valeva comunque la pena di scommettere sulla sua esistenza. Dalla scommessa teologica scendeva l'impegno nell'azione.

L'anno dopo si ripete l'esperienza del viaggio: Austria, Germania, Danimarca, Svezia Finlandia, le Olimpiadi di Helsinki,il primo rapporto al femminile con Marisa, Capo Nord, Amsterdam, Parigi: viaggiare in questo modo è una forma di estraneazione non alienante: sei una spugna di sensazioni e un ricettacolo delle cose che ti circondano, ma non ti perdi in questa moltitudine.

Al ritorno si iscrive a filosofia contro il parere della famiglia che spinge per matematica. Perché un giovane, che si presume intelligente, colto e più attivo che contemplativo si iscrive a Filosofia all'inizio degli anni 50? La risposta che mi dò è la ricerca della verità…. sono ragioni etiche, dunque, quelle che mi avevano spinto: un bisogno di fare della mia vita una testimonianza di verità… mi collocavo sul passaggio che va dalla conoscenza della verità al fare la verità.

I corsi di Padova non lo entusiasmano, son quasi un intermezzo invernale ai viaggi estivi e all'impegno nella GIAC con i viaggi a Roma e l'assunzione di incarichi dirigenti e di rappresentanza in ambito provinciale. Nei viaggi, in Europa ma anche in Italia, si intensifica il rapporto con Marisa: Marsiglia, la Linguadoca, Barcellona, la Spagna franchista e la delusione per le posizioni del cattolicesimo spagnolo, Cordova, Siviglia, Granada e l'amore nei boschi con Marisa, il Marocco: sono un drogato, viaggio per viaggiare, mi muovo per consumare energia,per far viaggiare intatta … l'indimenticata esperienza dell'innamoramento e infine la costiera amalfitana a piedi.

Nel 54 tutto il gruppo dirigente della GIAC viene buttato fuori dal sant'Uffizio ma il gruppo di amici di Negri continua l'impegno nel movimento federalista europeo e lui personalmente nell'Intesa universitaria cui cerca di dare un'impronta meno legata al mondo cattolico (paradossalmente con il benestare del vescovo).

Nuovi viaggi (Israele e Jugoslavia), nuovi amori mentre continua quello intermittente con Marisa, tesi di laurea, libera docenza mentre il gruuppo inizia ad avvicinarsi al PSI che, a Padova, vede dominante la sinistra.

Finisce la prima (Andarsene) delle tre parti della autobiografia (Laboratorio veneto, 10 anni di 68) e finisce anche il mio riassunto analitico

Operaismo ed economicismo

Da qui in poi proseguo per grandi temi. Negri fa l'esperienza della sinistra socialista e ad un certo punto approda ai Quaderni Rossi la rivista torinese che segna l'atto fondativo dell'operaismo italiano (Panzieri, Tronti, Gasparotto, Rieser, Bologna, Gobbini, Paci), i torinesi, i romani, i veneti.

Nel neocapitalismo il capitale approfondisce attraverso l'uso delle macchine (e la loro progettazione) il dominio sul lavoro e sulla società. Si deve riorganizzare nelle fabbriche un'iniziativa di controllo delle trasformazioni tecnologiche in una prospettiva rivoluzionaria.

La storia di Classe Operaia, la Classe, Potere Operaio, Autonomia Operaia (riviste e organizzazioni) di cui Negri è stato coprotagonista inizia da qui, così come le fratture, gli abbandoni, il ritrovarsi: il gruppo concorda nel fatto che è la fabbrica il luogo della azione politica ma poi avvengono le differenziazioni sul grado di autonomia che la politica generale deve avere.

Si rileggono i Grundrisse e il frammento sulle macchine di Marx; c'è un tentativo di rivedere e revisionare l'intera storia del comunismo sia nelle varianti dell'est sia nelle vie nazionali come quella italiana:

Gli operai considerano le macchine con cui lavorano non solo proprietà del padrone, ma anche strumenti attraverso i quali il padrone organizza il suo comando. Noi operai dobbiamo andarcene, fare esodo da questo mondo: rompere la soggezione è anche rompere la macchina: sabotaggio quando è possibile, sabotaggio quando è necessario.

Ho sinceramente una grande difficoltà a comprendere questo progetto entro la prospettiva del comunismo. Lo stesso Marx, dopo aver tentato di analizzare il rapporto di produzione capitalistico e fondare su di esso la contraddizione tra rapporto di produzione e forze produttive approda alla necessità della organizzazione politica, si pone il problema della autonomia della classe e conclude la sua esistenza con la fondazione della I Internazionale.

La riflessione degli operaisti alla Negri è che, dopo i fallimenti della socialdemocrazia e del comunismo leninista, si deve in qualche modo ricominciare daccapo e questo ricominciare daccapo (partendo da Marx) si concreta nel lavoro ai cancelli, nell'inchiesta,nella costruzione di avanguardie di fabbrica in grado di smascherare l'inconcludenza sindacale.

Su questo punto concordano tutti e le divisioni riguardano, volta a volta, il rapporto con il movimento operaio organizzato, lo spostamento della lotta all'esterno della fabbrica, la organizzazione militare e così via.

Le lotte sono quelle della Fiat (con i mitici scontri di piazza Statuto) e quelle del Petrolchimico di Marghera (durate anni) in cui si rende esplicito il tema del sabotaggio.

Mi fa impressione leggere taluni scritti degli anni 60 pieni di fantasie ed elucubrazioni sulle macchine; mi fa molta impressione vedere certe affermazioni fatte oggi da Negri dopo che l'operaio della grande fabbrica è praticamente sparito e dopo che viviamo nella socità dell'informazione distribuita e ramificata:


In verità ancora oggi non riesco a capire come si possa pretendere di staccare la fisica delle macchine dall'uso che ne fa il capitale: come si possa pretendere di lottare contro il capitale (che ti sfrutta attraverso le macchine) senza fargli male, senza cioè considerare legittimo il sabotaggio. E' vero che le macchine sono fatica fisica e lavoro dell'intelligenza operaia, fissate certo nel capitale ma, a un tempo, protesi del lavoro … le tecnologie costituiscono anche un contesto: solo con la loro riappropriazione cessa la loro nocività. E tuttavia aggiungo che se lottare non è distruggere, può essere anche distruggere, fin quando la tecnologia, le macchine e tutto quel lavoro accumulato (che ora si chiama capitale) non è restituito ai produttori. (pag. 240)


Per quanto nel movimento di Scienze a Milano fossimo abbastanza primitivi nell'analizzare il tema Scienza-società mai avremmo lasciato spazio a tali aberrazioni e, in effetti, Potere Operaio non ebbe spazio nei movimenti di Città Studi. Le macchine sono fatica fisica e lavoro dell'intelligenza operaia; non esistono la scienza e la tecnologia; siamo al primitivismo allo stato puro mascherato da riferimenti a Marx,

Si è parlato di Negri come di un cattivo maestro con riferimento alla diffusione della violenza negli anni caldi dell'autonomia e in quelli del terrorismo. Mi sarei aspettato nella parte finale del libro qualche riflessione in proposito. Invece la critica alle BR è di aver determinato un profondo intralcio all'espandersi del progetto armato (pag 501). Tutto qui. Ovvero: fosse stato per noi, avremmo fatto meglio.

Il mondo è cambiato; il conflitto si è spostato dalla fabbrica alla società e tutto va bene madama la marchesa. Magari in attesa di una nuova analisi dell'imperialismo, come è puntualmente avvenuto.

Per finire due parole sul titolo: credo che Giorgio Amendola, dall'oltretomba, quello di Una scelta di vita  si stia facendo una grossa risata.


Toni Negri

Storia di un comunista

Ponte alle Grazie – 2015 – 607 pag. – 18€


 

 

Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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2 risposte a Storia di un comunista – Toni Negri

  1. Ennio Abate scrive:

    ANCORA SU "STORIA DI UN COMUNISTA" DI A. NEGRI 
    In risposta alla recensione di Claudio Cereda

    Intervengo ancora su «Storia di un comunista», visto che sono stato io a consigliare la lettura di questo libro. Aggiungendo inoltre di confrontarlo con «La rancura» di Romano Luperini, perché – e lo conferma anche questo commento di Cereda – danno valutazioni diverse della storia degli anni Settanta e del ruolo che vi svolsero certi leader emersi con il ’68-’69; e presentano – altro problema per me sintomatico e di grande interesse per valutare come lavora la memoria di un autore sul passato – un dosaggio altrettanto diverso tra narrazione autobiografica e riflessione col senno di poi.
    Questa lettura di Cereda del libro di Negri mi pare sbrigativa e su alcuni punti contraddittoria. Perché, se è vero che il libro contiene parti «particolarmente pesanti» per un lettore digiuno di filosofia e che possono «essere totalmente o parzialmente saltate», chi le salta (o ha difficoltà a entrarci dentro) dovrebbe poi essere molto più cauto nel giudicare l’intero libro.
    Non poter valutare l’«evoluzione mentale e filosofica di Negri» equivale a non entrare nel merito delle motivazioni teoriche e delle sue scelte politiche. ( E questa dovrebbe essere operazione preliminare e indipendente da quella – successiva – di giudicarle giuste o sbagliate). 
    Per capirci. È come se io visitassi alcuni quartieri di una città e giudicassi l’intera città solo da quelli che mi sono piaciuti. O che di Einstein m’interessassi alla sua vita quotidiana e pretendessi di giudicare poi da essa la sua teoria della relatività.
    In questo errore mi pare cade Cereda. (In parte, perché non è che lui sia un lettore del tutto al digiuno degli aspetti teorici e filosofici trattati da Negri, avendo pur egli avuto il suo periodo “marxisteggiante”). 
    Trova, infatti, piacevole la parte autobiografica (che tratta «l'infanzia, l'adolescenza, l'impegno nella Azione Cattolica con la organizzazione di una corrente progressista, i primi anni di università e il girovagare per l'Europa»), che credo sia vicina alla sua esperienza. E l’apprezza, perché scrive:« Ne esce l'immagine di una figura interessante, poliedrica e sono questi gli elementi che hanno poi contribuito a farne un leader, pur di un progetto sconfitto senza appello». Eppure il suo giudizio finale sul libro si fonda proprio sulla parte che salta o legge troppo sbrigativamente o giudica «aberrante» ma facendo suoi i pregiudizi più comuni e diffusi tra i nemici o gli avversari di Negri.
    Secondo me, così facendo:
    1. non si capisce in che rapporto sia la parte che gli è piaciuta con l’altra: c’è continuità o no tra esse o c’è solo schizofrenia? E perché?
    2. vengono trascuratati o liquidati proprio quei problemi, affrontati in «Storia di un comunista», che non sono stati “affari” di Negri o della sua parte politica (Potere operaio, Autonomia) ma erano *comuni* in quegli anni all’esperienza biografica e politica di tantissimi che militarono nei cosiddetti gruppi extraparlamentari.
    Quando Cereda scrive: «La riflessione degli operaisti alla Negri è che, dopo i fallimenti della socialdemocrazia e del comunismo leninista, si deve in qualche modo ricominciare daccapo e questo ricominciare daccapo (partendo da Marx) si concreta nel lavoro ai cancelli, nell'inchiesta,nella costruzione di avanguardie di fabbrica in grado di smascherare l'inconcludenza sindacale», sembra non accorgersi che sia Negri e Potere Operaio sia Lotta Continua, Avanguardia Operaia o il Pdup si posero i medesimi problemi (necessità della organizzazione politica, autonomia della classe, critica della socialdemocrazia e del PCI) ed ebbero pratiche comuni: lavoro ai cancelli delle fabbriche, inchiesta, « nella costruzione di avanguardie di fabbrica in grado di smascherare l'inconcludenza sindacale». Certo con accenti diversi e letture diverse e contrapposte di una tradizione che è stata anch’essa sempre diversificata e contrapposta (ad es. Marx/Bakunin, Lenin/Luxemburg).
    Il tentativo di Negri e di Potere Operaio di rileggere « i Grundrisse e il frammento sulle macchine di Marx» o di «rivedere e revisionare l'intera storia del comunismo sia nelle varianti dell'est sia nelle vie nazionali come quella italiana» non è poi – almeno nelle intenzioni “rivoluzionarie” di allora – *estraneo* a quelli fatti da altri militanti o gruppi politici di allora.
    Dire della posizione di Negri: « Ho sinceramente una grande difficoltà a comprendere questo progetto entro la prospettiva del comunismo» diventa ai miei occhi quasi comico ( e un pochino ipocrita). Perché mi verrebbe da chiedergli: ma non dicevano (ad es. quelli del PCI) anche a noi di Avanguardia operaia che quel che facevamo non aveva nulla a che fare con la prospettiva del comunismo? Non appaiono oggi taluni scritti di Avanguardia operaia di quegli stessi anni « pieni di fantasie ed elucubrazioni»? 
    Cereda legge «Storia di un comunista» di Negri in una maniera un po’ troppo comoda: semplicemente dissociandosi dalle posizioni di ricerca che in quegli anni erano *comuni* anche ad altri gruppi. Lo fa perché fece sue le posizioni del PCI di allora. E non a caso richiama la figura di Amendola (« credo che Giorgio Amendola, dall'oltretomba, quello di “Una scelta di vita” si stia facendo una grossa risata»). Ma si appoggia davvero su un terreno solido? Certo il mondo è cambiato. E le ricerche di Negri e di altri sono state interrotte e quei progetti sono stati sconfitti. Ma lo stesso PCI non esiste più. Quindi la risata di Giorgio Amendola dovrebbe essere ben più amara e forse tragica. E l’ironico « tutto va bene madama la marchesa» andrebbe rivolto non solo a Negri ma a tutta la fu-Sinistra.
     

     

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    • Claudio Cereda scrive:

      Qualche precisazione nell’ambito di una replica garbata:
      1) non penso che gli intermezzi filosofici siano inutili; li ho triovati eccessivi e in alcune parti fuori contesto; meritevoli di essere messi altrove.
      2) ho trovato una frattura nella parte biografica tra la esperienza giovanile e il passaggio all’età adulta, come se quelle esperienze di vita, che pure sono raccontate con un certo dettaglio, non abbiano avuto a che fare con il resto
      3) penso che l’esperienza operaista, e mi pare che lo pensi anche Negri, si distacchi in maniera netta da tutta la restante storia del movimento comunista (Lenin, Mao, Togliatti, sinistra rivoluzionaria italiana) nel modo di concepire la costruzione della coscienza rivoluzionaria e nel ruolo del partito. Non sono in grado di esprimere valutazioni di natura teorica e forse mi esprimo male: Negri cerca di tornare ad un pezzo di Marx nel tentativo di fondare un comunismo su altre basi. In questo tentativo non mi convince e io mi sento dalla parte degli altri (tutti). Il modo di concepire il lavoro di fabbrica e di costruire i “quadri operai” era del tutto diverso da come lo si concepisce in Potere Operaio prima e nella Autonomia poi.
      4) la cosa che mi inquieta è quanto questa persona sia piena di sè al punto di non tentare nè un bilancio nè una revisione del proprio pensiero anche di fronte a) al fatto che il mondo è cambiato b) le sue ipotesi sono state sconfitte
      5) Sulle stupidaggini a proposito di scienza e tecnologia mi viene da dire: ma dove vive ed è vissuto?

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