Padri, figli e nipoti – 3 – la costituzione materiale

Nei 70 anni della Repubblica si sono susseguiti 63 Governi, con 27 Presidenti del Consiglio dei Ministri. Il primo Presidente del Consiglio non democristiano (Spadolini) fu eletto solo nel 1981. Dunque si ebbe un originale combinazione di lunghissima permanenza di maggioranza politica e di permanente dissolvenza delle compagini governative.

Lo favorirono una legge elettorale radicalmente proporzionale, (a garanzia di rappresentanza universale?), la presenza di piccole formazioni politiche (sotto il 10%) che assumevano funzioni di contorno e esercitavano, nella loro consistenza minoritaria, un ruolo di interdizione e di condizionamento ben al di là della rilevanza sociale degli interessi rappresentati.

dopo i padri, i figli

Non c’è bisogno di ricordarlo: il meccanismo fu per decenni funzionale allo scopo di tenere lontano dal potere l’altro polo costruito attorno alla rappresentanza politica del Movimento Operaio. Il tutto avvenne, ovviamente, all’ombra della Costituzione più bella del mondo, che venne formalmente osservata.

Non è qui il caso di richiamare le ben consistenti ragioni storico politiche nazionali ed internazionali (altro che principi della Carta) che presiedevano a quella originale combinazione di costanza delle maggioranze ed evanescenza dei governi per tener lontana ogni prospettiva di cambio di maggioranza (il pericolo comunista).
Mi interessa piuttosto richiamare l’attenzione su un fatto: in quel contesto di permanenza ed evanescenza politica chi e cosa garantivano il funzionamento degli apparati pubblici?

La risposta (o una delle risposte fondamentali) è:

– la continuità degli apparati amministrativi/burocratici;
– la presenza delle elite cooptate e riprodotte in quegli apparati con il legame funzionale con le migliaia di subalterni del pubblico impiego;
– la continuità degli algoritmi del diritto amministrativo riprodotti entro la più varia produzione legislativa tradotta in regolamenti, circolari, dispositivi organizzativi, competenze;
– il ruolo permanente occulto o esplicito di alcuni fondamentali centri di potere pubblico, dai TAR al Consiglio di Stato (e non parliamo della Ragioneria Generale dello Stato).
 
D’altro canto, suggerisco un esercizio analitico (magari faticoso) ma in grado di ricostruire una  comprensione adeguata di quanto sopra: si cerchi di rintracciare nella storia di quegli apparati dello Stato una traccia significativa della linea di cesura costituita dal passaggio alla Costituzione più bella del mondo.

Cosa e come è cambiato nella loro organizzazione, nelle regole di funzionamento, nei meccanismi di cooptazione e riproduzione dei quadri, per effetto della rivoluzione costituzionale?
Credo che ci si troverebbe di fronte ad una ricerca infruttuosa, ma si avrebbe la ricostruzione della strada che condusse il nostro Paese all’oggi ed alla difficoltà/incapacità generale di affrontare un’altra cesura storica, quella attuale, paragonabile a quella che fu attraversata alla metà del secolo scorso.

Fuori di paradosso: nel contenitore progressivamente affluente dello sviluppo dell’età dell’oro (Hobsbawn), solo in parte stimolato da politiche pubbliche esplicite (ad enumerarle basterebbero le dita di una mano) si collocò il processo di continuità e riproduzione di apparati e strutture pubbliche, di amministrazione e di  regole stratificate, alimentato da una spesa pubblica affluente.

Domanda provocatoria: cosa ha alimentato di più la costruzione della cittadinanza nazionale (la sua identità, la sua etica e responsabilità) la Carta più bella del mondo o la gestione della spesa pubblica?

Forse nella risposta si può rintracciare la ragione di una etica a profilo variabile che caratterizza la cultura nazionale: una cittadinanza costruita sulla spesa e sul deficit pubblico.
Come accennato nel punto precedente quel modello socio-politico-economico è finito in modo conclamato agli inizi degli anni ’90.

Ne sono sopravvissute solo le spoglie in un progressivo degrado fisiologico che coinvolge gli istituti e i soggetti della rappresentanza (dai Partiti politici ai Sindacati). Penso agli equilibri tra apparati e poteri (dai rapporti tra magistratura e politica, al funzionamento concreto del Parlamento); alle strutture portanti della Repubblica con il sistema delle autonomie, segnatamente quelle regionali, che da “scommessa” di istituzioni ravvicinate alla cittadinanza si sono trasformate in meccanismi di diffusione dal centro alla periferia di corruzione e spreco, con un rilievo che finisce per occultare anche le realtà nelle quali quella scommessa iniziale ha prodotto risultati positivi.

Confessione, i nipoti

Vado esplorando argomenti come quelli sopra accennati, ed altri di ancora maggiore complessità cercando entro ciò che so e posso sapere o imparare, ciò che è e ciò che “deve essere”, una qualche elaborazione assennata relativa al come affrontare la prossima scadenza referendaria sulla Carta.

Ho sempre sottolineato come, a differenza di altri Paesi, la nostra Costituzione non si apre con una invocatio dei.

L’istanza religiosa è così connaturata anche a tanti sedicenti laici, che spesso finiscono per deificare la Carta stessa invece di considerarla un prodotto storico, sia pure a lunga scadenza.

Cerco dunque di porre sotto controllo un inevitabile patriottismo costituzionale e di rielaborare analisi e ragioni storico politiche di dimensione varia, dalla più contingente a quella di largo spettro strategico, che comunque hanno operato nel determinare il dettato stesso della Carta. Non mi scandalizzo dunque se analogo intreccio di ragioni strategiche e di contingenze politiche sia rintracciabile nelle proposte che sono sottoposte oggi al giudizio del popolo.

Sono semmai preoccupato dal netto prevalere, nel dibattito corrente, della problematica politica contingente anche quando mascherata da ragioni generali, o da interessi di casta che si esprimono come richiamo a valori di principio. Ho naturalmente provveduto a confrontare nel dettaglio i testi degli articoli sottoposti a modifica. 

Confesso che ho dovuto far ricorso alla virtù della pazienza (ammesso che sia una virtù). A prescindere dal contenuto delle proposte, il linguaggio rigoroso, sintetico, significativo dei padri costituenti lascia il posto a involuzioni e complessità linguistiche che non depongono certo a favore della tecnica di produzione legislativa dei nostri rappresentanti nei luoghi della legislazione.

Poi mi sono ricordato di quanto pesino, sugli stessi esiti linguistici della produzione legislativa, certe dinamiche di interpretazione dei ruoli e delle prerogative dell’attività del legislatore.
Certo che se l’artiglio dell’opposizione si esercita non con la contrapposizione di ragioni ed ipotesi alternative, ma con la produzione di migliaia di emendamenti generati da algoritmi automatici;

– se la responsabilità di chi sta in maggioranza si esprime negli avverbi, nelle congiunzioni nelle formulazioni opache per garantire consenso ed alleanze contingenti;
– se chi governa si ritrova a troncare il confronto (!?) tra gli oratori (!?) per calare il miglior principio della maggioranza (Ahi… Tucidide!) entro voti di fiducia;

la qualità del prodotto finale è inevitabilmente compromessa.

Un prodotto schiacciato entro un calco di cui maggioranza ed opposizione finiscono per costituire le due facce speculari. Confesso che, a un certo punto mi sono detto: perché mai faticare tanto per comprendere… analizzare… ricostruire storia e storie, contingenze politiche e strategie, interessi generali e convenienze particolari… Votiamo no! E basta”.

Confesso di avere pensato anche: “comunque dopo il no! un assennato e esperto schieramento di competenze politiche al servizio del bene comune riprenderà nelle sue mani la questione inevitabile delle modifiche costituzionali, e vi provvederà al meglio…”.

Ma ero sopra pensiero e dunque ho chiesto dubitoso a me stesso non sapendo rispondere “scusa ma a chi ti riferisci?”.

Franco De Anna


(3 fine) – I precedenti articoli sono Padri, figli, nipoti – 1 – L’assemblea e gli oratori e Padri, figli, nipoti – 2 – La storia e la memoria


 

Informazioni su Franco De Anna

Franco De Anna, classe 1946, ora in pensione, è stato uno degli animatori del primo movimento di Scienze a Milano nel 1968 (era a Scienze Naturali). Dal 1999 sino agli anni più recenti ha fatto l'ispettore scolastico nella Regione Marche occupandosi tra le altre cose, sul piano nazionale, delle tematiche della autonomia e rendicontazione sociale della scuola. E' stato segretario milanese, regionale lombardo e poi nazionale della Cgil Scuola. Ha diretto il centro studi della Camera del Lavoro di Milano, l'IRRSAR e l'IRRE. E' autore di numerose pubblicazioni (libri e saggi su riviste specializzate).
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