Big Science, Big Data: fantascienza e Medio Evo convivono

  Tempo fa avevo scritto una nota sull’avvicinarsi di una crisi di crescita accelerata che avrebbe dato luogo a una forte discontinuità, una singolarità come viene chiamata nel gergo scientifico. In quella nota avevo proposto un esame delle conseguenze nella attuale situazione mondiale.

Vorrei ora spiegare meglio alcuni aspetti di questa singolarità, esaminando le conseguenze di una crescita accelerata delle tecniche disponibili nel campo della ricerca scientifica. Questa nota prosegue quanto già scritto per mettere in luce la distanza abissale che separa coloro che vivono già in un mondo di fantascienza e coloro che vivono in un medio evo di pensieri e mezzi materiali.

In generale nella accezione comune quando si parla di ricerca scientifica si pensa alla ricerca in campo medico. I comunicati stampa, le notizie giornalistiche, le interviste televisive che cercano di illustrare i risultati di questo tipo di ricerca, sono quasi quotidiani.

Trascurando le critiche che vorrei fare al modo con cui i media presentano i risultati scientifici, preferisco illustrare aspetti di una scienza diversa, quella che richiede la creazione di organizzazioni grandi, costose e di impianti per condurre esperimenti ed osservazioni tecnologicamente avanzatissimi. E’ una ricerca che viene qualificata come ricerca di base, in quanto non ha una ricaduta pratica e applicativa immediata, ma ha come scopo la crescita della conoscenza. Nonostante ciò, la quantità di tecnologie che vengono esplorate e gli strumenti che vengono creati hanno un enorme valore commerciale, e questo tipo di ricerca produce la nascita continua di nuove imprese estremamente avanzate.

Voglio partire dall’esame del diagramma che vedete in figura, presentato dall’astronomo Andrew Connelly, dell'Università di Washington a una conferenza ad Edimburgo il 30 giugno 2016.

Questo diagramma mostra la singolarità verso cui i sistemi di calcolo stanno andando. In particolare mette in luce tre fatti.

Il primo è molto noto a tutti quelli che si occupano tecnologie dell'informazione: la legge di Moore, che rileva all'incirca ogni 18 mesi il raddoppio del numero di transistor nei processori. In realtà dal 2000 circa la legge di Moore non ha più il valore predittivo, in quanto gli aumenti di prestazione non sono legati al raddoppio del numero di transistor ma a nuove soluzioni di architettura degli elaboratori, le cui prestazioni crescono ora in modo più rallentato. I due fatti poco conosciuti, o del tutto sconosciuti, riguardano la velocità con cui i big data stanno crescendo e la velocità con cui cresce la capacita cognitiva umana.

La velocità di crescita dei dati archiviati nel mondo ha già superato la velocità di crescita rilevata dalla legge di Moore. Vengono generati e archiviati dati sempre più grandi e sempre più in fretta. Ogni minuto Amazon, Google, Youtube, Facebook, Flickr e tutte le reti sociali generano Tera Byte (TB) di dati (1000 Giga Byte).

Il mondo della big science non è da meno. Ogni esperimento al CERN dell'acceleratore LHC produce 25 GB ogni secondo. L'astronomia e l'astrofisica genera dati dell’ordine di TB per un ciclo di osservazioni astronomiche di poche ore di un grande telescopio terrestre che vengono archiviati per poter essere esaminati da gruppi di scienziati in momenti successivi. In complesso gli archivi dei dati degli esperimenti e delle ricerche della big science sono dell’ordine dei peta-byte (1.000.000 di Giga byte).

Ho scelto di parlare di questi campi della big science, e in particolare dell'astronomia perché ho partecipato a una conferenza internazionale che ha radunato 2.700 fisici, astronomi, ingegneri, informatici per 6 giorni a discutere e presentare i progetti in corso per creare telescopi terrestri e orbitanti sempre più potenti. Strumenti che osservano il cosmo rilevando la luce visibile, la luce infrarossa ma anche le onde radio, le microonde, i raggi X e innumerevoli forme di emissione di radiazione elettromagnetica.

Ma ancor più interessante è che in questo periodo i ricercatori stanno progettando strumenti che rileveranno le onde gravitazionali. Ormai gli astrofisici distinguono tra ricerca basata sulla radiazione elettromagnetica (luce, radio, X) e segnali gravitazionali che non sono radiazione elettromagnetica.

Per questi studi sono in costruzione telescopi giganteschi per la luce visibile, come il TMT (Thirty Meter Telescope) che avrà una apertura di 30m., o telescopi per la osservazione di esopianeti (pianeti esterni al sistema solare). Più di 1000 pianeti sono già stati scoperti e tra i nuovi telescopi ce si stanno progettando ce ne saranno di specializzati a rilevare la presenza di molecole organiche mediante lo studio della spettrografia.. Gli investimenti che sono stati mobilitato da Istituzioni di ricerca nazionali e internazionali sono colossali, dell’ordine dei miliardi di dollari, naturalmente distribuiti nell’arco di diversi anni.

La conoscenza del cielo che la comunità scientifica mondiale sta costruendo è aperta, liberamente accessibile da chiunque. Già alla fine degli anni '60 è stato creato il primo archivio di immagini digitali a partire dalle lastre fotografiche prodotte a Monte Palomar e in Inghilterra e Australia negli anni ’60. Questo archivio si chiama Digital Sky Survey. Ne sono state fatte nuove edizioni con immagini direttamente digitali, con filtri per selezionare le bande di luce visibile e l'infrarosso: DSSII, SDSS, … Ognuna di queste rassegne costituisce un archivio che può essere liberamente consultato, per leggere i risultati scientifici o per osservare o scaricare le immagini dei corpi celesti che sono stati fotografati.

A partire dal 2020 sarà pronto il nuovo telescopio LSST (Large Synoptic Survey Telescope), che dal 2023 sarà pienamente operativo. Offrirà immagini del cielo ad altissima risoluzione e in 5 bande dello spettro della luce visibile e dell'infrarosso. Ogni serie di immagini raccolte in 15' minuti di osservazione sarà disponibile su un archivio pubblico nel giro di poche ore. Si parla di volumi di dati misurati in PB (peta byte – 1 milione di Giga Byte).

Per esaminare queste immagini e trovare informazioni utili si stanno studiando nuovi algoritmi, basati sulla intelligenza artificiale.

Torniamo al nostro diagramma e consideriamo ora il lavoro di ricerca che si sta moltiplicando per costruire e far funzionare queste macchine. Riflettiamo sulla singolarità che si sta avvicinando. Siamo vicini al ginocchio della curva, il momento in cui la crescita del volume di dati esploderà. E la mente umana non è pronta e non lo sarà mai. Solo potenti metodi di calcolo potranno analizzare e interpretare questi dati.

Ma a cosa serve tutto ciò? Le ricerche in corso al CERN cercano di spiegare la natura della materia, le ricerche degli astrofisici cercano di spiegare la natura e la storia del cosmo, le ricerche sugli esopianeti cercano di scoprire se altre vite possono esistere nel cosmo o se ci siano pianeti simili alla terra e abitabili. I due filoni di ricerca, materia e cosmo, si intrecciano fornendo risultati ed ipotesi le une alle altre.

Di fronte alla vastità delle domande che la comunità della big science si sta ponendo, la mente da un lato può vacillare, dall'altro sbalordisce di fronte alla enorme distanza tra questi temi e i dibatti quotidiani che ci assillano, e soprattutto di fronte al messaggio di paura del presente e del futuro che i leader politici mondiali ci propongono (magari non tutti). Ma ancor più resta sbalordita tra la distanza abissale tra chi vive una esperienza così vicina ai sogni della fantascienza e chi agisce come vivendo in un medio evo di pensieri e di mezzi materiali.

Che cosa separa questi due mondi? E che cosa c’è in mezzo?

Credo che la natura principale di questa separazione dal punto di vista degli effetti che ha sulle nostre emozioni, e quindi sul modo di vivere la modernità, consista nell’avere creato gli uni una narrazione di futuro grandiosa, partecipando alla quale ci si sente membri di una comunità mondiale che condivide il disegno di scoprire le basi della natura e del cosmo e che sogna la rinascita della spinta esplorativa che ha aperto la modernità con Cristoforo Colombo, anzi quella esplorazione la sta già conducendo.

Il mondo di chi vive in una sorta di medioevo è a sua volta privo di speranza di migliorare le proprie condizioni e le emozioni della vita che conduce lo portano alla fuga con la migrazione o alla disperazione con il terrorismo.

E chi sta in mezzo è dominato da una narrazione ancora diversa: quella di un mondo di paura: paura del futuro, della tecnica, della perdita del lavoro e quindi dei privilegi di cui fin qui ha goduto, paura che le migrazioni seppelliscano definitivamente una condizione di vita relativamente dignitosa.

Se torniamo al relativamente piccolo mondo della Unione Europea, l’uscita della Gran Bretagna sta sconvolgendo questi tre scenari di visione del mondo. I privilegiati che vivono la scienza della scoperta ora temono che dal loro gruppo escano i ricercatori inglesi, il cui contributo è ed è stato sempre essenziale. Forse molti potranno continuare ma tutti temono un rallentamento e il rischio di cancellare alcune iniziative.

I reietti che stanno cercando una riscossa vedranno ancora nell’Europa un modello chi ispirarsi? Una meta cui tendere non solo come modello ma anche come meta da raggiungere? Oppure non potranno che registrare la sconfitta anche di un’ultima speranza di come costruire relazioni di pace e si getteranno nel terrorismo?

Infine chi vive in Europa o in generale nell’occidente dominato dalla paura che riposta potrà attendersi dai leader che stanno rivelando un’incredibile pochezza, prima tentando una avventura senza considerare minimamente le conseguenze e poi nascondendosi per evitare di assumersi la responsabilità della gestione del disastro?

A volte, discutendo con amici, mi capita di affermare che le stragi degli ultimi mesi e degli ultimi giorni sono il segno della perdita di senso del mondo occidentale. I giovani che non partecipano degli ideali di scoperta, che cercano di definire la propria identità confrontandosi con altri giovani e cercando principi da condividere, non hanno trovato risposte nel modello di vita dell’occidente sviluppato, ormai preda, non solo di ideologie, ma di pratiche concrete iperliberiste e ipermercatiste.

Sono convinto che proprio su questo si debba agire, e si tratta di un obiettivo concreto, visibile, incarnato in figure e aziende precise ed individuabili che operano al di fuori di ogni regola derubando il mondo del diritto a una vita dignitosa.

Torniamo al diagramma: la velocità di crescita della capacità umana di comprendere il mondo va accelerata, e questo vale non solo per competere con gli scienziati, ma per dominare le macchine che inevitabilmente si diffonderanno. Questa capacità va anche accelerata per comprender la gabbia in cui i cosiddetti poteri forti ci hanno racchiuso al solo scopo di arricchire di denaro e potere pochi, derubando il resto del mondo. Solo la conoscenza permette di leggere e interpretare la modernità. Si potrebbero chiamare i popoli della terra a una rivoluzione armata mondiale, ma perderebbero, troppa è la forza materiale dei potenti. Solo la conoscenza può liberarci da questa gabbia.

Ricordiamo quel che scriveva don Milani: il povero conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo è il padrone. 

 

Info su Daniele Marini

Laureato in fisica nel 1972 si è sempre dedicato a ricerca e insegnamento di informatica all'Università di Milano. Inizialmente interessato ai fondamenti logici dell'informatica in seguito si è dedicato a ricerche in eidomatica (grafica e immagini digitali). Negli ultimi 15 anni ha avuto interesse in modelli computazionali della percezione visiva di cui si interessa tutt'ora nel campo delle fotografie astronomiche. Ha dedicato 10 anni al Consiglio Universitario Nazionale e al Senato Accademico contribuendo alla attuazione dei cicli didattici (in parte pentendosene). Ora in pensione, dedica i suoi interessi a studi di fluidodinamica computazionale, alla astrofotografia e astrofisica e alle innovazioni tecnologiche e ai loro effetti sui sistemi sociali.
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10 risposte a Big Science, Big Data: fantascienza e Medio Evo convivono

  1. Daniele Marini scrive:

    La critica sull’uso delle macchine, e in tal caso di macchine che puntano ad emulare l’intelligenza è assai antica e da solo il tema richiederebbe interi libri. Solo pochissime cose: nessun ricercatore, salvo pochi che la comunità considera matti, pensa che si arrivi mai a macchine con una intelligenza superiore alla nostra, semplicemente perché il problema è mal posto. Ancora oggi la definizione di intelligenza tra gli esperti di intelligenza artificiale (AI) è incerta. Si riesce a delimitare ambiti di studio molto specifici, in cui il primo scopo è imitare i meccanismi logici (gioco degli scacchi) o deduttivi (sistemi esperti). Il secondo ambito, molto recente, che si manifesta con sistemi capaci di interpretare il linguaggio naturale (Siri di iPhone) emula la capacità umana di classificare. I metodi di “deep learning” altro non sono in fondo che dei sofisticati e potenti algoritmi di classificazione, che affiancatii ai modelli grammaticali e sintattici ideati tra i primi da Chomsy, cercano di risolvere il problema della traduzione. Ma siamo ben lontani da saper risolvere le ambiguità della frase “Le guardie a cavallo della Regina” e produrre la traduzione corretta (oggi Google offre “horse of the Queen's Guards”, migliora ma non ci siamo ancora).
    L’obiettivo neanche sottaciuto è piuttosto quello di ampliare le funzioni collaborative estendendole e inglobando macchine di AI nelle reti di relazioni umane.
     

  2. Daniele Marini scrive:

    Per Giulio Toffoli
    Caro Toffoli, nel ringraziarti per l'impegno che hai messo nel commentare la mia nota, rilevo qui poche cose, infatti rispondere a tutte le tue osservazioni sarebbe assai lungo. Oltre a ciò, condivido alcune osservazioni di Angelo Ricotta e di Cristina Fischer. Inutile quindi ripetere. Il punto sui convegni scientifici colossali rivela una probabile scarsa conoscenza di come questi si svolgono, in nessun modo comparabili a concerti rock, partite di calcio o altro. Raccogliere circa 3.000 persone richiede non solo una organizzazione sofisticata, ma una articolazione degli incontri scientifici su cosiddette sessioni parallele, in modo che ciascuno partecipi alle presentazioni delle ricerche che più raccolgono il suo interesse e in cui possa offrire i maggiori contributi in termini di discussioni. Ma questa osservazione in realtà è lo spunto per chiarire e forse risolvere il dilemma che delinei in riferimento alla enorme dimensione dei dati e al necessario ricorso alla intelligenza artificiale. Qui c'è un grande malinteso nelle tue osservazioni. La sfida dei big data non la affronterà mai un singolo ricercatore, ma, come proprio testimoniato dalle conferenze scientifiche, viene risolta dal lavoro collettivo. E' proprio nella big science che si attua al meglio la collaborazione tra persone e gruppi di ricerca. Siamo di fronte a una estensione sempre maggiore e a una pratica sempre più ampia di lavoro coordinato in reti di ricercatori e gruppi. E' questo il modo con cui l'umanità degli scienziati può far fronte alla sempre più accelerata crescita della complessità. Ma è anche questo il modo con cui tutta l'umanità potrà far fronte in modo collaborativo alla crescita della complessità del mondo.
    Questo mio ragionamento dovrebbe anche chiarire dove e come mi colloco oggi nello schieramento politico (nelle tue osservazione sembra adombrarsi una critica a un ex-sinistro, confuso tra positivismo e idealismo, scientismo e naturalismo). Premesso che odio ogni etichetta, riscontro, come ho chiarito in altri interventi, la scomparsa delle classi sociali e l'aggregarsi dei conflitti attorni a interessi e non più attorno a valori, rimasti marginali presso élite politiche. La visione a volte quasi mistica del potere della rete (intesa come Internet) da parte dei 5 stelle rivela la forte volontà di superare le forme aggregative tradizionali dei partiti politici. Il lavoro collaborativo in rete dei giovani scienziati fornisce un esempio in cui lavorare “in rete” (intesa come rete di relazioni) sia l’unica via per risolvere la complessità. Credo sia evidente la distanza abissale tra la rete “a 5 Stelle” e la “rete del lavoro scientifico”, quantomeno per livelli di approfondimento, capacità di contribuire, discutere apertamente nel rispetto reciproco totale.
    Invitare a riflettere su queste ultime cose è la vera ragione che mi ha spinto a scrivere la nota che ha sicuramente una funzione di provocazione, in cui ricorro a figure retoriche iperboliche. Ma il fatto che anche tu adotti la metafora medievale delle Cattedrali per descrivere i luoghi di creazione della scienza, mi fa sospettare che forse tanto iperboliche le mie osservazioni non siano state.

  3. cristiana fischer scrive:

    Ho inserito su Poliscritture FB un lungo commento all'articolo ma, non capisco perchè, non riesco a copiare qui il mio commento.
    — è questo? (Claudio Cereda) —
    Credo che l’articolo di Marini tratti anche di un problema di *quantità*: quantità di dati da elaborare e quantità di popolazione al mondo con i conseguenti problemi di governance. (Anche Fagan con il tema-complessità vi si riferisce.) Marini considera il rischio di scacco nell’elaborazione dei dati: “Siamo vicini al ginocchio della curva, il momento in cui la crescita del volume di dati esploderà. E la mente umana non è pronta e non lo sarà mai. Solo potenti metodi di calcolo potranno analizzare e interpretare questi dati.” Contemporaneamente incoraggia i giovani a fare parte dell’élite scientifica, che sarà anche collegata all’amministrazione economico/politica del mondo.
    I nuovi intellettuali infatti saranno scienziati, non i letterati e i filosofi del ’900. D’altra parte è giusto che questi ultimi, che hanno riconosciuto il legame tra potere e sapere a proposito di loro stessi, avvertano i nuovi scienziati che il sapere non è mai neutro, dati gli interessi economici e politici coinvolti.
    Marini, se non sbaglio, è un professore, così possiamo capire quali obiettivi e traguardi si propongano agli studenti nelle facoltà scientifiche.

    Due punti mi interessa notare nel testo di Toffoli su quello di Marini. Il primo riguarda il delirio di onnipotenza: “Non si tratta come vorrebbe Marini di una narrazione di futuro grandiosa, ma piuttosto di un delirio di onnipotenza destinato con grande probabilità a concludersi con una matura presa d’atto che le nostre potenzialità conoscitive e biologiche sono certo grandi, molto grandi, ma non infinite. L’onniscienza non è un attributo divino, ma neppure umano.”
    Io mi chiedo, invece, se non si pone qui il problema del *senso* della conoscenza, anche di quella scientifica. Infatti Marini fa balenare alla lontana, in modo leggero ma suggestivo, anche un piano metafisico degli studi scientifici: “Le ricerche in corso al CERN cercano di spiegare la natura della materia, le ricerche degli astrofisici cercano di spiegare la natura e la storia del cosmo, le ricerche sugli esopianeti cercano di scoprire se altre vite possono esistere nel cosmo o se ci siano pianeti simili alla terra e abitabili. I due filoni di ricerca, materia e cosmo, si intrecciano fornendo risultati ed ipotesi le une alle altre.”
    Forse si può pensare che non sia solo una suggestione, ma il riconoscimento che alcuni o molti studenti e studiosi possono già avere una appartenenza religiosa.
    Un secondo punto che mi interessa notare del testo di Toffoli, riguarda il rapporto tra la conoscenza scientifica e quella sociale e politica. Il Tonto, verso la fine, dichiara che la conoscenza non può abdicare “alla sua funzione principale che dovrebbe essere non solo di scrutare la volta del cielo, ma anche le viscere della società, perché è lì che oggi è imprescindibile volgere il nostro sguardo. Nessuno può distogliere la vista da quella realtà, pena la negazione della sua primaria condizione di essere umano”. E continua poi centrando il conflitto tra Galilei e la chiesa sul mistero della transustanziazione, come se, anche per allora, il legame tra visibile e invisibile fosse da intendere solo in termini materiali.
    Credo che, rispetto all’ampio quadro conoscitivo (e persino metafisico) proposto da Marini ai giovani intellettuali scienziati, il richiamo -per altro molto importante- alla collocazione sociale in cui si svolge il lavoro scientifico (“siamo tutti parte del mondo delle merci che ci avvolgono e ci condizionano, quale che sia la nostra realtà nella gerarchia sociale, castale o nella collocazione spaziale”) non possa costituire una diversa piattaforma contrapposta.

    Più interessante invece il paradosso conoscitivo centrato da Toffoli: “non siamo e non saremo mai” dice il Tonto “in grado di analizzare quei dati che andiamo raccogliendo ma saremmo, si presume, in grado di creare strutture cognitive che faranno ciò che noi non abbiamo la capacità di fare. Ti rendi conto del paradosso? Demandiamo alla macchina quella funzione creativa che non ci è più data, schiacciati come siamo da fiumi di dati. Si presuppone insomma che la mente umana abbia la capacità di generare una intelligenza superiore alla nostra che ci supplisca e ci sostituisca in uno sforzo di onniscienza che non ci è dato”.
    Qui direi che il Tonto (ma non c’è netta differenza di posizioni nel dialogo) tonto non lo sia affatto.

  4. Angelo Ricotta scrive:

    Per Giulio Toffoli.
    Condivido diverse cose di quello che lei scrive ma non il suo pessimismo nei riguardi della scienza e della tecnologia.
    1. Big data? Ma si tratta poi davvero di Big Science …
    2.  Speculazione scientifica pura e nell’ombra i vari dottor Stranamore
    "scientista positivista rivisto in salsa XXI secolo"? Questa affermazione più che caratterizzare Marini caratterizza invece il suo rapporto con la scienza. Scientista è positivista sono termini spregiativi che in genere utilizzano  i religiosi, o i credenti in qualche filosofia irrazionalistica, contro la scienza che secondo essi è colpevole d'impicciarsi troppo di affari che riguardano solo le loro divinità. Per me queste definizioni non hanno alcun senso.
    Non tutta la "scienza di base" ha bisogno di enormi tecnologie. Ci sono moltissimi settori  oltre la fisica delle particelle e l'astrofisica (ma per alcuni aspetti anche in questi) in cui tale tipo di ricerca ha bisogno essenzialmente di carta e penna e di una biblioteca.
    Comunque non ci trovo nulla di male nel fatto che la scienza di base, per definizione una scienza che non ha finalità immediatamente applicative, promuova lo sviluppo di tecnologie e di imprese. Non vedo perché in tal modo essa diventi impura. C'è una differenza oggettiva, che tutti gli addetti alla ricerca conoscono, fra scienza di base e applicata, tant'è vero che quando si stilano i progetti per la richiesta di fondi occorre specificare le finalità della ricerca e se scrivi che la tua ricerca intende "chiarire i meccanismi della turbolenza" invece che "si tratta di costruire una nuova potente arma" i finanziatori capiscono bene che la prima è di base e la seconda è applicata e in genere scelgono la seconda. Per fortuna le università e gli istituti di ricerca sono pieni di ricercatori molto curiosi che magari rinunciano ad un finanziamento più lucroso pur di perseguire le proprie aspirazioni conoscitive. Siccome un certo numero di costoro ha anche preso il premio Nobel la ricerca di base ha ancora un futuro. Che poi la scienza di base abbia prodotto a distanza ricadute pratiche ciò non inficia il principio. Quando Einstein dedusse la relazione massa-energia non pensava certo alla bomba nucleare, ma stava rifondando la meccanica galileiana sulla base delle sue contraddizioni con la teoria elettromagnetica.
    3.  Progresso tecnologico rettilineo e Medioevo
    Tutta la storia dei big data mi sembra molto montata, anche da Marini, come ho scritto nel mio intervento precedente. Non c'è niente di strano in tutta questa faccenda. La tecnologia oggi permette la creazione, archiviazione e manipolazione di quantità molto più grandi di dati rispetto al passato. E allora? Le limitate capacità della mente umana non c'entrano nulla. Già all'epoca di Aristotele nessun singolo poteva padroneggiare la quantità di dati in circolazione, perciò esistevano le specializzazioni e le biblioteche. Google, Amazon, Facebook ci usano? Per me no. Anzi sono delle grandi opportunità date a persone che ora possono proiettarsi sulla scena mondiale mentre in passato ciò era riservato solo a delle élite.
    4. Convegni scientifici spettacolari e miliardi di dollari investiti in pura ricerca?
    Gli investimenti per la scienza sono piccole percentuali dei PIL. Non c'è nessun fine recondito in questi finanziamenti. Qualunque governante del mondo capisce che la scienza è un'attività che dà prestigio alla nazione e le sue ricadute sulla cultura e le applicazioni sono sempre positive.
    5. Mente umana e Intelligenza artificiale
    Ho già detto qualcosa al punto 3. Ma che c'è di strano nell'intelligenza artificiale? Negli anni '50 già la si sperimentava al M.I.T. soprattutto nella forma hardware (cito solo Marvin Minsky). Poi si è passati al software. Già da molti anni esistono algoritmi basati sul cosiddetto concetto di "intelligenza artificiale". Versioni più o meno raffinate di essa sono utilizzate addirittura nella maggior parte dei giochi, ad esempio The Witcher, tanto per citarne uno. Programmini didattici come Derive sono in grado di eseguire calcoli simbolici che sono al di là della portata di un laureato in Matematica, e comunque molto più velocemente. Già da un bel pezzo la mente umana non è in grado di competere con certi programmi su specifici compiti, ma tutto questo non riguarda la creatività. La confusione sta qui. L’uomo ha sempre costruito strumenti che amplificassero certe sue capacità. Nell’epoca preistorica scoprì la clava per picchiare più forte, la ruota per andare più veloce, molto più in là il trattore per scavare più efficientemente. Quindi è passato ai calcolatori per i calcoli numerici e infine al calcolo simbolico e a programmi che cercano di simulare il funzionamento della mente umana (AI, fuzzy logic). Ma tutte queste macchine non sono creative, non sono intelligenti nel senso in cui lo è la mente umana. Lo diventeranno? Io non lo so. Per ora non sono le macchine a riflettere sui misteri dell’universo ma persone che si servono di esse.
    6. Futurismi e deliri d’onnipotenza
    Ha fatto male a cestinare il libro di Martin Rees perché dice cose sensate e che sono già allo studio. Invece è proprio la metafisica di Kubrik che non ha molto significato nonostante il grande impatto emotivo del film.
    “miliardi di anni, di milioni di anni luce” sono invece concetti molto importanti. Un tempo, sulla base della cronologia biblica, si stimava l’età della terra in 4000 anni. La scienza ha dimostrato che invece è di 4,5 miliardi di anni e che quella dell’universo è di circa 13,8 miliardi di anni e che c’è una connessione fra queste date: il big bang, l’evoluzione stellare, le leggi della fisica. Le sembra poco? E le sembra che ci sia in questo un basso fine di lucro?
    Sul DNA ho letto il bellissimo e onesto resoconto di Watson “La doppia elica trent’anni dopo”. Anche qui che c’è di strano? La scienza è un’attività umana intrisa di emozionalità e di “difetti” tipici della natura umana. Paradossalmente però le emozioni e i “difetti” (desiderio di far carriera, di conquistare una bella ragazza, di arrivare primo) forniscono ulteriori motivazioni ad ottenere grandi risultati. Ma la scoperta in sé del DNA è un meraviglioso risultato di una scienza pura perseguita ai fini di capire in che consiste la vita (What is life-Erwin Schrödinger-1944).
    Sulle basi biologiche del concetto di razza è sicuro che non esistono? Solo perché lo dice Cavalli-Sforza? E se le dicessi che il metodo da egli utilizzato può essere fallace come alcuni sostengono? Ci sono differenze razziali evidenti ma non ci sono spiegazioni alternative convincenti di questo fatto se si sta alla teoria di Cavalli-Sforza per cui i genomi da egli utilizzati non hanno rivelato alcuna differenza. E se non avesse usato quelli giusti? E se la sua metodologia non fosse sufficientemente sensibile? La scienza è anche questo. Ha l’obbligo di porsi domande scomode senza soggiacere a ideologie di nessun tipo e senza tema di essere accusata di pensieri proibiti. La scienza deve essere totalmente libera di indagare qualsiasi cosa.
    Ho già detto nel mio precedente intervento che gli scienziati partecipano alla vita delle comunità in cui vivono come tutti gli altri, non sono esseri speciali né si sentono speciali.
    Sulle idee di Pietro Redondi su Galileo non posso dire nulla visto che non l’ho letto. Per quel che ne so però la condanna fu inflitta per la sua aderenza al sistema Copernicano.
    Gli scienziati attuali sono figli di Galileo e le assicuro che condividono con lui l’interesse per “la dialettica fra i due Libri”.
     

  5. Angelo Ricotta scrive:

    Per Marini.
    "Sono pronto a parlare di ciò con qualunque giovane precario o disoccupato.
    Equivale a un sano sberlone per tornare con i piedi per terra."
    Però lo faccia davvero e poi mi dica.

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