La crisi turca e il suicidio dell’Europa

È ormai una settimana che è in corso in Turchia un golpe di Erdogan contro il proprio popolo, in violazione dello Stato di diritto, della Costituzione turca, dell’Habeas corpus. In pochi giorni sono state arrestate diecimila persone, licenziati tremila giudici, ventimila dipendenti pubblici, tra cui centotre generali e quadri dell’esercito, ottomila poliziotti, ventunomila insegnanti, millecinquecento docenti universitari e rettori di università. Il tutto senza processi.

Intanto Erdogan ha proclamato lo stato di emergenza per tre mesi, ha tagliato la corrente elettrica alla base Nato di Incirlick – da dove partono gli attacchi contro l’Isis – ha ripreso a bombardare i Curdi. Licenziamenti di massa, repressione, torture e minaccia di ripristinare la pena di morte. La causa immediata è stato il tentativo fallito di golpe di un gruppo di militari, che sentivano sul collo il fiato di una grande epurazione in corso da tempo. La loro reazione maldestra l’ha accelerata.

LE QUATTRO AREE DELLA TURCHIA

La Turchia è grosso modo divisa in quattro aree: a Nord-Est i Curdi, circa trenta milioni, con forti aspirazioni nazionali, che i Trattati di pace della prima guerra mondiale hanno ottusamente negato, disperdendo la nazione curda tra Turchia, Iran, Irak, Siria, Armenia, Libano ecc…; a Sud-Est l’Anatolia, economicamente in sviluppo e culturalmente islamica e politicamente conservatrice; a Ovest, sul mare, la Turchia occidentalizzante; attorno al Mar Nero la Turchia dei commerci e delle mafie. La dura repressione laica dei kemalisti non ha in realtà favorito la secolarizzazione dell’Islam dei contadini e della borghesia conservatrice anatolica. La democrazia turca è sempre stata vigilata dall’Esercito, che ha provocato almeno cinque colpi di stato.

LA POLITICA DI POTENZA DI ERDOGAN

Erdogan ha avuto il merito di aver sottratto, nella sua ascesa, il controllo all’Esercito, appoggiandosi su un ritorno di Islam “moderato”. Molti pensarono all’epoca ad una sorta di democrazia cristiana in salsa islamica. In realtà, Erdogan è venuto costruendo nell’area medio-orientale una politica di potenza, in competizione con l’Iran e con l’Egitto, in antagonismo totale con Israele e con la Siria, con motivazioni diverse. Di qui l’uso politico dell’Isis, al fine di destabilizzare la Siria e l’Iraq, in funzione anticurda.

Tale Politica è diventata aggressiva, soprattutto da quando l’opposizione della Merkel e di Sarkozy nel 2006-07 ha bocciato l’ipotesi di un’accelerazione dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea. All’interno si sono accentuati i tratti di uno Stato autoritario, che ha messo in prigione o fatto sparire gli avversari e i critici della sua politica. La cultura politica è quella di un ”islamismo di potenza” estraneo alla democrazia, ai diritti. Per la Turchia incomincia un lungo inverno. La storia insegna che la repressione produce insorgenze terroriste.

L’EUROPA TACE E UNA RAGIONE C’È

E noi europei cosa c’entriamo con tutto ciò?! Sono solo convulsioni interne di un Paese un po’ fuori mano? C’entriamo, eccome! Se l’Unione europea ha potuto astenersi dal condannare immediatamente il tentativo di golpe – quasi in attesa di schierarsi con il vincitore – se l’Europa tace o parla solo flebilmente della terribile situazione interna, ciò si deve ad una questione dirimente per le opinioni pubbliche europee: quella dei migranti.

La Turchia trattiene – finora – una massa di migranti, che potrebbe arrivare fino ai 3 milioni, in cambio di circa 4 miliardi di Euro. I governi europei, in primo luogo quello tedesco, temono che l’arrivo massiccio di migranti (in realtà tre milioni su una popolazione di 527 milioni di abitanti) sollevi un’onda populista, che li potrebbe travolgere. Di qui una sorta di Realpolitik: non ci interessa se Erdogan fa sparire le persone nel nulla, se bombarda i Curdi, se smette di far la guerra all’Isis, se chiude scuole e giornali, se sottopone i giudici al dominio incontrollato della politica, se trasforma la Turchia in una repubblica islamica, l’importante è che ci risolva nell’immediato la questione dei migranti.

LE CIVILTÀ MUOIONO PER SUICIDIO, NON PER ASSASSINIO

Colpa solo delle classi politiche e dei governi, se da partner potenziali noi diventiamo complici? I politici dipendono dal consenso. E quanto consenso avrebbe oggi un’iniziativa che rimettesse in discussione il patto euro-tedesco con i Turchi sui migranti?

Pertanto, la questione sostanziale è quella degli orientamenti dell’opinione pubblica in Europa. Abbiamo delegato agli Usa, per mezzo della Nato, la difesa militare europea; abbiamo delegato ai Turchi “la difesa” dalle migrazioni. Facciamo fatica a delegare la stessa materia agli Stati dell’Africa del Nord, ma ci stiamo provando… Intanto Trump ha messo nel proprio programma l’uscita degli Usa dalla Nato.

Si può dar torto agli americani se chiedono agli europei di pagare la propria difesa? Stare nel mondo di oggi, assumendosi le responsabilità del mondo: è questo ciò che gli europei non hanno voglia di fare e né hanno voglia di pagarne i costi. Ciascuno di noi può delegare molte materie, ma non lo sguardo globale sul mondo, non le responsabilità individuali. E se abbiamo paura, nessuno ce la potrà togliere, se non diventiamo consapevoli di radici e di un destino comuni. L’Europa si sta lentamente suicidando. Ha scritto a suo tempo il grande storico inglese Arnold Toynbee: “le civiltà muoiono per suicidio, non per assassinio”.

 

Info su Giovanni Cominelli

Giovanni Cominelli, iscritto a Filosofia all’Università Cattolica di Milano dal 1963 al 1965, alla Frei Universität nel 1965/66, laureato in filosofia con Enzo Paci all’Università statale di Milano nel marzo del 1968. Negli anni ’70 é stato membro della Segreteria nazionale del Movimento studentesco/Movimento lavoratori per il Socialismo. Eletto nel 1980 in Consiglio comunale a Milano per l’MLS-PDUP nel 1980, nel 1981 è subentrato come Consigliere regionale a Luciana Castellina, fino al 1990. Nel novembre del 1982 è entrato nel PCI, su posizioni riformiste e miglioriste. E’ uscito dal PCI-PDS nel 2000, aderendo ai Radicali fino al 2004. Iscritto al PD dal 2015. Esperto di politiche scolastiche, dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la Valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta della Fiera di Verona dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Compagnia delle Opere dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Svolge attività di formazione nelle scuole. Collabora alla Rivista mensile Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative su Il Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009). Oggi editorialista de L’ECO DI BERGAMO e di santalessandro.org, settimanale della Diocesi di Bergamo. Scrive sul Sussidiario.
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Una risposta a La crisi turca e il suicidio dell’Europa

  1. Angelo Ricotta scrive:

    Ma quanto conta realmente il cosiddetto popolo nelle democrazie? Secondo me molto poco in quanto le nostre non sono vere democrazie (e penso che non lo siano mai state) ma delle oligarchie. Al potere ci sono sempre gli stessi, a vita, solo la morte fisica li costringe a mollare. Costoro hanno avuto tutto il tempo e i mezzi per controllare tutti i gangli della società tramite i favori, l'imposizione, il ricatto, la corruzione, i privilegi, insomma tutto l'armamentario del potere. Purtroppo il livello mentale medio dell'umanità è quello che è per cui ci sono anche quelli che si fanno plagiare persino da ideologie palesemente assurde. Quindi niente di buono all'orizzonte. Preparate i sacchi di sabbia alla finestra, come diceva quella profetica vecchia canzone.

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