noi … e le cattiverie della rete

Il punto, comunque, non è il suicidio in sé, che è una tragica scelta che alcune persone compiono.

E non è nemmeno di chi siano le colpe, perché in fondo nessuno ha modo di capire cosa passa in testa a una ragazza che decide di arrivare a tanto.

Il punto vero è dato dal valore che oggi diamo agli atti, ai giudizi, e alle conseguenze.

Siamo così profondamente legati alle opinioni altrui, nel bene e nel male: amiamo piacere con ogni mezzo, anche quello tradizionalmente giudicato immorale; usiamo la nostra seduzione come un'arma potente dell'ego.

Ma non siamo più capaci di comprendere tutto ciò che arriva dopo, la valanga di parole e offese, a cui non siamo tutti ugualmente capaci di resistere. Ed ecco che l'opinione ricercata ("voglio sapere di piacere") diventa opinione feroce ("perché le persone mi giudicano così male?").

Si è perso il senso della misura nei gesti di ogni giorno, dal diverbio col vicino di casa all'ostentazione social della propria saccenza, dal giudizio pesante contro gli sconosciuti allo sdoganamento della propria intimità nell'illusione di una popolarità che ci si può rivoltare contro.

Nella morte di Tiziana Cantone la ricerca delle colpe è un esercizio sterile, peraltro fatto con psicologia spicciola priva di fondamento, caricata sulle proprie convinzioni e quindi già di per sé stessa fallace.

Semmai è più utile la ricerca di una misura, prima personale e poi collettiva, per capire meglio verso quale mondo vogliamo andare: un mondo in cui tutto sia possibile e lecito e dunque inattaccabile, sulla scia di chi si sente estraneo a qualsiasi commento, oppure un mondo in cui esista un metro di discussione accettabile anche a riguardo degli argomenti più scomodi, dove la somma di errori e fatalità si paghi con una sana redenzione piuttosto che con il pensiero di una fine tragica?

Io mediterei non tanto sulla cattiveria di alcuni, che è ormai cosa nota, ma sui modi quotidiani che abbiamo tutti per tornare a un sano vivere civile dove ogni diversità di opinioni e comportamenti possa essere valutata con garbo, se serve con ironia, talvolta con disappunto, ma con un disappunto sano e rispettoso. Il che vale anche verso se stessi e la propria coscienza.

 

Info su Andrea Palla

Classe 1982, ingegnere delle telecomunicazioni prestato al commercio di hardware e servizi IT. Amante della tecnologia e delle cose pratiche, razionale quanto basta ma sognatore ogni volta che serve. Appassionato di fotografia, cinema e scrittura. Testardo, precisino fino allo sfinimento, in perenne lotta con il suo grande difetto: la pigrizia. Quotidianamente curioso, desideroso di saperne di più su ogni argomento che interseca la sua vita, affamato di parole e spiegazioni, con una memoria infallibile per i dettagli.
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3 risposte a noi … e le cattiverie della rete

  1. Ennio Abate scrive:

    Nessuno ha ucciso Tiziana
    Per capire la vicenda di Tiziana Cantone dovremmo mettere da parte questo sentimento divenuto un mantra costante della Rete: l'indignazione morale. [Manolo Farci]

    *A differenza di Claudio, che sembra tenere (poco?) conto del contesto che ci condiziona e indica un ideale non so quanto raggiungibile o praticabile oggi: "la ricerca di una misura, prima personale e poi collettiva" o "un sano vivere civile dove ogni diversità di opinioni e comportamenti possa essere valutata con garbo", l'autore dell'articolo che segnalo sposta il problema (fin troppo?) sul contesto ( la Rete)…

    http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display

  2. Andrea Palla scrive:

    Il problema è che la comunicazione (il pensiero, la parola densa di contenuto il cui scopo è il racconto di qualcosa) si è trasformata oggi in pura diffusione incontrollata. Non importa più ciò che viene detto, ma importa solo che sia detto. Il più possibile, duraturo nel tempo, ampio nella diffusione.
    In questi termini i social hanno generato un'arma potentissima che, in quanto tale, finisce col ferirne le parti coinvolte. Spiegare la comunicazione era complesso prima, quasi impossibile oggi; manca una coscienza di base, manca persino l'idea di cosa sia veramente la diffusione sociale, quale sia la sua vera portata.
    Conosciamo il potere di ciò che leggiamo sui libri o sui quotidiani d'epoca, sappiamo molto del meccanismo storiografico, ma ancora nulla su ciò che entra solo oggi nel nostro quotidiano: lo stesso "meme", il mito online, il nuovo linguaggio, è qualcosa che utilizziamo anche inconsapevolmente senza saperlo identificare.
    È un periodo veramente complesso per la comunicazione uno-ad-uno, ancor di più per la comunicazione di gruppo. Il broadcasting nelle mani di chi non ne comprende la portata è veramente pericoloso e angosciante.

  3. Daniele Marini scrive:

    Il punto è un altro. Chi pubblica contenuti in rete spesso non comprende cha sta agendo da autore di comunicazione, ruolo per il quale raramente è preparato.
    Nel caso, credo di aver capito, l'autore non è neppure la fanciulla vittima ma qualcuno che si è impossessato del contenuto. Un ladro di contenuti quindi e per di più inconsapevole del senso della comunicazione che mette in atto. Da qui non tanto una diagnosi quanto una possibile terapia.
    Occorre insegnare i fondamenti della comunicazione in tutte le scuole. Le opere di U. Eco possono essere di aiuto.

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