La gente di Trump

Muri, dazi, ostilità e chiusura al mondo, l’America di TRUMP si appresta, riarmandosi alla grande, ad appostarsi nella sua tana e diventare così un’immensa fortezza, che incuta timore ai barbari della Terra. Un'impressionante inversione di ruolo, non più protagonista attiva di accordi di cooperazione internazionale, non più avanguardia del nuovo che costruisce futuro, ma sentinella della propria solitudine, del proprio autoisolamento, votata ad un’orgogliosa autarchia.

Esultano oggi le classi sociali medie che hanno votato TRUMP, in lui hanno visto la figura del buon padre di famiglia autoritario, che sa come ripristinare e imporre il vecchio ordine, del quale sono nostalgici, l’uomo che ha saputo accumulare un’immensa ricchezza alla vecchia maniera, esponente di una visione padronale rozza, ma proprio per questo familiare, comprensibile, un modello a loro consueto perché richiama il vecchio mondo, da poter riassumere come esempio e meta ideale; Trump percepito come uno di loro, che li capisce e ne interpreta i bisogni e le frustrazioni, l’uomo in grado di ridare loro il PASSATO, il buon tempo passato che ricordano più florido e più comprensibile della confusa realtà di oggi.

Si tratta di gente ferma nel tempo, la gente di Trump identifica il futuro con il proprio passato, desidera tornare indietro, perché non capisce il mondo attuale, non conosce il suo linguaggio, la sua logica, non ha mai avuto occasioni valide per familiarizzare con esso, la democrazia illuminante non è mai arrivata nelle spente periferie urbane dell’America profonda e lasciata a se stessa, che del mondo coglie soltanto i contraccolpi negativi, restando indifesa e incapace di mediarli con i positivi.

Partiti, mass media, intellettuali sono i primi responsabili di questa assenza democratica e culturale, di questo vuoto critico, che ha tenuto al buio e fuori dal confronto masse indifese rispetto al nuovo, prive di strumenti per intenderne i limiti e le potenzialità. Ed ecco allora l’immenso rigurgito di massa traboccato improvvisamente dalla pancia di questa parte d’America marginalizzata, un rigurgito di passato che Trump è stato capace di far emettere dandone personalmente un formidabile esempio.

Molti potrebbero essere i rigurgiti di passato anche fuori dell’America, la gente indifesa e inconsapevole di Trump è sparsa dovunque, specie nelle nostre democrazie occidentali, e ha anche i suoi Trump nazionali pronti a dare l’esempio del rigurgito. Oggi esultano, ma presto piangeranno lacrime amare una gran parte degli elettori di Trump e incominceranno a capire che porsi fuori dal potente moto di globalizzazione, che ha ridato a masse sterminate la possibilità di uscire in pochi anni dalla totale miseria e inserirsi nel mercato mondiale, da cui erano esclusi, è rinunciare alla crescita, all’innovazione, alla competizione; isolarsi è rifiutare una vera prospettiva di futuro, impossibile senza un contesto mondiale aperto e cooperante.

Le contraddizioni e i mali della globalizzazione devono e possono essere affrontati e risolti non abbandonando il campo, ma assicurando una presenza ancora più attiva, dinamica, portatrice di nuove regole, di nuove procedure regolative, proponendo e facendo valere la democrazia, i suoi metodi, le sue grandi risorse, la cultura,la ricerca, il confronto, la conoscenza. Nel futuro non dovremmo mai più ridurci ad essere la gente di Trump.

 

Info su Guido Sesto

Insegnante impegnato per molti anni nella sperimentazione didattica orientata a promuovere una scuola innovativa e democratica, Formatore di docenti , scrittore di narrativa e poesia. Appassionato e studioso di politica, ha maturato una lunga esperienza sul campo come militante nell'ambito della sinistra
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8 risposte a La gente di Trump

  1. Guido Sesto scrive:

    Lino Di Martino Come vedi, potrei dire anch'io di te che in conclusione il tuo compitino non approdi a nulla che non sia puramente velleitario e parolaio. Io cerco di stare con i piedi per terra, la globalizzazione non la demonizzo, mi tengo tutta la sua preziosa capacità di crescita ,la sua carica innovativa, i suoi intrecci sociali e statuali, e voglio contemporaneamente affrontarne i nodi, gli squilibri,, perchè credo sia possibile se rafforziamo la democrazia e tutto quanto la democrazia potenzialmente contiene. Il discorso è lungo, ma potendolo fare le implicazioni sarebbero tantissime

  2. Lino Di Martino scrive:

    Accetto il rilievo. Allora : all 'analisi (da fare! , dovrebbe seguire la costruzione di un programma. . . A mio avviso, la sinistra afasica ha due scelte :
    1) imbarcarsi in una prospettiva genuinamente anticapitalista, quindi lavorare con pazienza una fuoriuscita dal capitalismo, formulando un 'programma di transizione '. Vaste programme! Vista la presenza di condizioni oggettive favorevoli, ma la totale assenza delle condizioni soggettive necessarie, un libro dei sogni. . .
    2) rivisitare la storia e rinnovare le politiche della socialdemocrazia, adeguandole ai tempi. Rinunciare alla fuoriuscita dal capitalismo, ma almeno elaborare un complesso coerente di riforme (riforme vere , non ricette neoliberiste spacciate per riforme, stile le lenzuolate di Bersani ).
    Ecco, ho fatto il compitino

    • Claudio Cereda scrive:

      alla ipotesi 2 ci ho creduto sino ai primi anni 80, poi ho incominciato ad accontentarmi di meno; non credo che le classi siano il motore della storia e (dopo il marxismo sia nella versione comunista sia in quella socialista che hanno evidenziato limiti pesanti) non vedo nulla di significativo che sia esterno al quadro del sistema capitalistico che va reso più equo, più efficiente e controllato rispetto ai poteri del capitale finanziario. Mi rendo conto di essere pessimista ma in politica vedo poche prospettive. Meglio sul versante della scienza e dell’etica

  3. Claudio Cereda scrive:

    oh Lenin ma perché dopo una bella analisi hai perso la partita? Da parte mia c'è della ironia, ma una punta di verità

  4. Lino Di Martino scrive:

    Mah, mi pare che l'analisi di Sesto sia abbastanza scialba e troppo politically correct. Conclude con la necessità di superare i mali della globalizzazione con ' nuove regole, democrazia democrazia ecc ecc. Il termine 'globalizzazione ' ormai mi fa venire l'itterizia. Che cosa è, una forma di afasia o qualcosa del genere? Perché non parlare apertamente di CAPITALISMO NELLA FASE DELL'IMPERIALISMO FINANZIARIO, perché non parlare mai, come per un interdetto storico, di modo di produzione e scambio? Perché non affrontare mai il problema della necessità di una rinnovata e profonda analisi teorica, di una visione complessiva e di alto profilo della 'STRUTTURA '?

  5. Sonia Bartoli scrive:

    Tutto vero. Capisco questo impulso a voler fare sentire la propria voce anche da questi angoli di America dimenticati.
    Ma quello che mi spaventa veramente è l'uomo che si è posto, e che è stato accolto a braccia aperte, come portavoce di queste grandi masse. Un uomo che è stato capace aizzare la Middle America puntando sulla divisione e su valori arretrati e negativi. Un uomo che ha saputo fomentare questi sentimenti negativi a tal punto da indurre milioni di persone a votare per lui, ignorando la sua vera personalità, l'esempio che dà, le cose spregevoli che fa.
    Purtroppo il partito democratico ha commesso parecchi errori durante questa campagna: ha voluto necessariamente spingere un candidato che non era forse quello giusto (penso che mediamente ci fosse maggiore entusiasmo per Sanders, almeno tra la generazioni più giovani), e l'ha fatto in modo non proprio trasparente (ci sono dei dubbi che circondano la nomination da parte della DNC). E lasciamo perdere il ruolo dei media nell'intera faccenda.
    Ora, in dado è tratto. Diamo a quest'uomo la possibilità di redimersi e di dimostrare, se ce l'ha, la capacità di unire nuovamente questo popolo ormai diviso (i segni di intolleranza e violenza si vedono in questi giorni più che mai). In cuor mio, spero che ci sorprenda tutti alla grande. L'alternativa sarebbe troppo dolorosa, per non dire pericolosa.

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