Per un anno di legislatura costituente – di Giovanni Cominelli

Sul campo di battaglia della formazione del governo si vede fumo denso e si odono scoppi feroci. Una battaglia? Non esattamente: per ora, solo fumogeni colorati, petardi scoppiettanti e soldati-figuranti, come nella commemorazione annuale della fatale Waterloo 1815. Una somiglianza però c’è in questo teatro: si rappresenta in questi giorni la Waterloo italiana 2018 della politica e delle istituzioni.

Siamo sempre nella Prima repubblica e in piena emergenza istituzionale

Il ritorno di Prima repubblica – ma ne siamo mai usciti? – ci riconsegna un Paese che dal punto di vista economico-sociale non si limita a galleggiare sulla crisi, anzi è capace di robuste bracciate, ma che dal punto di vista politico-istituzionale sta riaffondando in una crisi di sistema, la stessa che si era creduto di avere lasciato definitivamente alle spalle con il Mattarellum del 1993.

La caratteristica principale della Prima repubblica è stata, dal 1953 in avanti, il non-governo del Paese reale. Il quale sì sviluppò, da allora in avanti, e poi si bloccò per proprio conto, nonostante le autoillusioni smargiasse della politica circa il primato della politica. La quale da decenni sta in coda o fa il convitato di pietra.

È un’antica illusione del sistema dei partiti in Italia, effetto di una condizione storica del secondo dopoguerra, nella quale i partiti dal 1943 hanno effettivamente svolto la funzione di incubatori della società civile e di ricostruttori dello Stato politico e persino amministrativo. Funzione quasi subito travolta dal proprio successo; da uno sviluppo economico-sociale tumultuoso e anarchico. Il velo incominciò ad essere squarciato dal ’68.

Essa veniva, in realtà, dal periodo fascista del partito-Stato come partito unico. Il sistema dei partiti, uscito dal CLN e sancito dalla Costituzione, ne ha ereditato il ruolo. Partito-Stato, nel senso che il partito/i partiti erano l’anima e l’infrastruttura nascosta dello Stato. Maranini la definì partitocrazia. Questo li ha dispensati dal costruire istituzioni, che funzionassero da contenitore solido rispetto alla rapida evoluzione socio-culturale e all’instabilità della politica partitica; istituzioni universalistiche di tutti, non di una parte.

Dopo la prima grande crisi politico-istituzionale della Repubblica, anni 1989-1992, i partiti hanno girato intorno al problema, costruendo un ulteriore autoinganno: che bastasse il cambio del sistema elettorale per garantire la stabilità del sistema politico. Mattarellum, Porcellum, Rosatellum sono stati le tappe in discesa in cinque lustri verso l’impotenza finale della politica, che sta portando alla paralisi istituzionale. Il lucignolo di coscienza acceso dalla Commissione bicamerale D’Alema fu subito spento, per responsabilità principale di Berlusconi, preoccupato non di dare solidità all’istituzione-governo, ma dell’esito elettorale immediatamente prevedibile.

La fotografia della nostra condizione politico-istituzionale oggi è questa: siamo approdati non già alla Terza repubblica, come qualche politico improvvisatosi politologo e costituzionalista improbabile vaneggia, ma alla fine della Prima. Che assomiglia come una goccia d’acqua alla fine Quarta repubblica francese (1946-1958), con la differenza che la nostra questione algerina è la questione meridionale. Come ha osservato Michele Ainis, siamo all’emergenza istituzionale.

Non pasticci sul governo, ma accordi costituenti

Da questa condizione non si esce né attraverso soluzioni dorotee e improbabili di alleanze-contratti di governo tra forze opposte dal punto di vista culturale e programmatico né attraverso una nuova legge elettorale né, tampoco, con nuove elezioni.

L’idea che il cambio massiccio di personale politico con l’afflusso di onestissimi homines novi possa invertire la tendenza fatale allo stallo e all’irrilevanza del Paese è stata sperimentata ripetutamente già dalla fine degli anni ’80. Non si dà una politica redentrice, se non costruiscono istituzioni di governo più solide. Oggi, gli occhi di tutti partiti sono ossessivamente concentrati sul mettere in piedi il governo. Vedono l’albero, ma non la foresta. Nella quale, invece, è ora di inoltrarsi.

L’assetto istituzionale della Repubblica previsto dalla Seconda parte della Costituzione non è più in grado di rappresentare/accompagnare i cambiamenti socio-culturali e internazionali, che il sistema dei partiti doverosamente rispecchia elettoralmente. Il senso di responsabilità invocato a torto per sostenere coalizioni, contratti, alternanze di forni dovrebbe essere più utilmente esercitato, ad incominciare dal Capo dello Stato, per mettere al centro del tavolo la questione costituente, che ormai sta al primo punto dell’agenda politica del Paese.

Una proposta

L’ipotesi di affrontarla con una nuova Assemblea costituente è tanto affascinante quanto macchinosa e irrealizzabile. L’Assemblea costituente esiste già: è l’attuale Parlamento, nel quale l’assetto quadripolare è garanzia di equilibrio, condizione di compromessi stabili.

Il quadripolarismo propone il necessario velo di ignoranza, che impedisce alle previsioni elettorali sul futuro di essere così certe da condizionare le posizioni presenti. Quanto al governo da farsi, lo abbiamo già. Il M5S non dovrebbe essere poi così tanto ostile a Gentiloni, visto che fa appello al PD non derenzizzato per governare insieme. O no?!

Né lo potrebbe essere Forza Italia, radicalmente antagonista del M5S e minacciata sul lato destro da Salvini. Né il PD, per ovvie ragioni. L’unico coerentemente ostile resterebbe Salvini, forse. O forse no, perché da sempre favorevole ad un governo forte e al doppio turno.

L’accordo che è mancato sul referendum del dicembre 2016, a causa della miopia colpevole delle forze politiche che vi si sono opposte, è ora possibile, proprio perché le forze sono in stallo e perché nessuna alleanza a due può permettersi di lasciare all’opposizione le altre due. Infatti, da tempo, il governo logora chi ce l’ha!

Dunque: elezione diretta del Presidente della repubblica, legge elettorale con il doppio turno, abolizione del Senato o parificazione della sua base elettorale con quella della Camera. Nel giro di un anno, si potrebbe andare a votare. E vincesse il migliore! Se almeno una volta, dopo settant’anni, i partiti ritrovassero il senso di responsabilità, che li portasse a progettare una Seconda repubblica per il nuovo Millennio già incominciato, farebbero una gran dono alle nuove generazioni di questo Paese.

 

Info su Giovanni Cominelli

Giovanni Cominelli, iscritto a Filosofia all’Università Cattolica di Milano dal 1963 al 1965, alla Frei Universität nel 1965/66, laureato in filosofia con Enzo Paci all’Università statale di Milano nel marzo del 1968. Negli anni ’70 é stato membro della Segreteria nazionale del Movimento studentesco/Movimento lavoratori per il Socialismo. Eletto nel 1980 in Consiglio comunale a Milano per l’MLS-PDUP nel 1980, nel 1981 è subentrato come Consigliere regionale a Luciana Castellina, fino al 1990. Nel novembre del 1982 è entrato nel PCI, su posizioni riformiste e miglioriste. E’ uscito dal PCI-PDS nel 2000, aderendo ai Radicali fino al 2004. Iscritto al PD dal 2015. Esperto di politiche scolastiche, dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la Valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta della Fiera di Verona dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Compagnia delle Opere dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Svolge attività di formazione nelle scuole. Collabora alla Rivista mensile Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative su Il Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009). Oggi editorialista de L’ECO DI BERGAMO e di santalessandro.org, settimanale della Diocesi di Bergamo. Scrive sul Sussidiario.
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