1965-1970: volevamo cambiare il mondo

Alla fine del 65 ho iniziato l'Università e, contemporaneamente, ho interrotto i rapporti con la Fgsi, pur avendo ripreso la tessera del 66 funzionale a ingrossare le fila del neonato Movimento Socialista Autonomo (poi confluito nella Sinistra Indipendente). Non mi convincevano la prospettata unificazione con i socialdemocratici e la impronta poco coraggiosa che aveva preso il centro sinistra. C'era poi aperta la ferita della guerra con il Vietnam.

prima del 68

Il mio riferimento politico culturale, piano piano, divenne il PCI, un rapporto mediato dalla lettura sistematica di Rinascita che, per almeno 7 anni, sarebbe stato il mio strumento di riflessione e crescita politica. Non ebbi mai rapporti diretti con il partito nè a Villasanta nè a Monza e mi limitai a farmi recapitare, all'indirizzo di Federico Ripamonti, l'abbonamento al settimanale (passavo da casa sua a ritirarlo la domenica mattina). Era la applicazione delle tecniche non conflittuali da adottare in famiglia; noltre l'abbonamento per gli studenti era davvero conveniente in termini di costo. Un anno vinsi pure una bici Bottecchia sport che utilizzai poi per parecchio tempo.

Sono finalmente riuscito a recuperare tramite la versione on line una breve lettera che ricordavo di avere mandato e con titolo Checchè ne dica Ottaviani che venne pubblicata; è nel numero 30 del 23 luglio del 66. ll cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant'Uffizio, che amava autodefinirsi il carabiniere dell'Ortodossia, era il nemico giurato di ogni rinnovamento all'interno del mondo cattolico.

A Monza ci si vedeva e si dialogava intorno al mondo della Biblioteca Civica e, per un certo periodo, insieme a Maurizio Antonietti, che ne prospettava il rinnovamento e lo spostamento in senso progressista, aderii e mi diedi da fare per la FUCI (la federazione degli universitari cattolici) mentre a MIlano avevo aderito alla Intesa Universitaria (la associazione dei cattolici progressisti).

Tra il 66 e il 67 ci fu un fiorire di riviste e settimanali facenti capo al mondo cattolico progressista: Questitalia del veneziano Vladimiro Dorigo, Testimonianze del gruppo fiorentino raccolto intorno a padre Ernesto Balducci, Settegiorni un settimanale sponsorizzato da Carlo Donat Cattin e diretto da Ruggero Orfei e Piero Pratesi. Lo spostamento a sinistra andava di pari passo ad una sofferta battaglia per il rinnovamento della religione e per aperture culturali tra mondo cattolico e movimento operaio; iniziai a leggere anche l'Astrolabio diretto da Ferruccio Parri e Problemi del socialismo di Lelio Basso.

Nel novembre 1966, in occasione della alluvione di Firenze, partimmo in un buon gruppo per una azione di estrazione dalla fanghiglia dei libri della Biblioteca Nazionale. Organizzavano Ugi e Intesa di Matematica e Fisica e fu così che incominciammo a conoscerci e a fare gruppo. Mi ricordo una loggia tipo quello di piazza Signoria (ma più piccola) e noi pieni di fango (un fango liquido tra l'ocra e il verdastro) che ci riposiamo un po’. Il fango era dovunque e ce n’era tantissimo nei sotterranei della Biblioteca Nazionale. Sento il sapore di un panino con il pane senza sale con il salame toscano, quello con il grasso non macinato e inserito a pezzi grandi, che vedevo per la prima volta. Forse abbiamo fatto più scena che sostanza; ogni tanto ci penso. Ma siamo andati subito e ci era chiaro che bisognava andare.

Passò qualche mese e l'UGI raccolse un appello internazionale, credo partito dagli studenti americani, per manifestare a fianco del Vietnam. Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace, diceva una frase di Tacito stampata su una bandiera americana con il teschio. E’ stata la mia prima manifestazione. Ci sono andato in pulman con Flavio Crippa e i suoi amici della Fgci di Lecco; tanti giovani, tante bandiere vietnamite, un po’ di bandiere rosse. Non mi piaceva la guerra del Vietnam; ma quelli come me ci tenevano a sottolineare che non eravamo antiamericani, eravamo contro quello che gli americani stavano facendo. C'era stato in Grecia il golpe dei colonnelli e il clima si stava surriscaldando.

Dopo quello di Lelio Basso, che rappresentava il tribunale Russel, ci fu il tentato comizio di Giorgio La Pira sindaco di Firenze. Per me, allora, La Pira era un un mito, come lo erano padre Balducci, don Milani o la comunità dell’Isolotto; erano l’esempio che si poteva essere cattolici ed essere in prima linea nella lotta contro l’ingiustizia.

Quella sera ebbi il primo incontro con quelle che avremmo poi chiamato le contraddizioni in seno al popolo. La Pira aveva appena iniziato a parlare con il suo stile profetico che lo portava a fare il Sindaco delle città della pace, a viaggiare tra Mosca e Washington per fare l’ambasciatore, al di qua delle linee, dei diritti del Vietnam. Iniziò a parlare e fu subito subissato dai fischi dei marxisti leninisti. E poi a manifestazione finita ci fu lo scontro con la polizia accuratamente ricercato da alcuni. Che paura; città sconosciuta; botti dei lacrimogeni; cercammo di arrivare al pullman; ma perché i fischi, ma perché gli scontri? Non eravamo venuti per la pace?

Estate 1967 Castelveccana: convegno estivo dell’Intesa in un convento di suore sul Lago Maggiore. Si discute della imminente lotta alla Cattolica contro l’aumento delle tasse. Ci sono anche due dei tre che più tardi saranno espulsi, Pero e Spada (ma non c’è Capanna). L’Intesa per noi giovani cattolici impegnati a sinistra è lo sbocco naturale: progressismo, incontro con la sinistra laica dell’Ugi. C’è anche il segretario nazionale Pierluigi Covatta, che ha 3 o 4 anni più di noi, è cresciuto nelle file del movimento giovanile democristiano e ha guidato l’organizzazione all’incontro con i comunisti. Oggi dirige MondoOperaio dopo aver fatto il maitre a penser del PSI nel primo progetto riformista di Craxi..

Acccanto a Rinascita la mia formazione politica sta avvenendo con la lettura di libri di taglio terzomondista (non si dice ancora antimperialista). Il giorno prima dei miei 21 anni (quella che allora era la maggiore età) arriva la notizia della morte di Che Guevara. E' il 7 ottobre 1967.

Quelle foto di Che Guevara massacrato di botte prima di essere riempito di pallottole lasciano il segno. Sembra il Cristo morto del Mantegna e quella foto inciderà nelle coscienze di molti giovani.

Il mondialismo è quello che ci sentiamo dentro. Non diciamo lotta all'imperialismo; mondialismo mi pare più attinente alle pulsioni della mia generazione. Era qualcosa che aveva a che fare con una sorta di senso di colpa del ricco Occidente nei confronti del resto del mondo.

Gli anni ‘60 sono gli anni del disfacimento degli ex imperi coloniali, della conquista dell'indipendenza da parte di molti stati di Asia e Africa, mentre in America Latina si guardava all'esempio di Cuba, alla Trilaterale, al movimento dei non allineati. Non ci sorreggevano grandi analisi su ciò che accadeva o sulle nuovi classi dirigenti di quei paesi, ci bastava l’idea che forse qualcosa stesse cambiando e che si potesse andare verso un ordine internazionale più giusto.

Si navigava a vista, anche se, accanto a qualche libro di Pierre Jalée come “il saccheggio del terzo mondo”, che ci introduceva ai problemi del mercato mondiale e a quello delle materie prime, ricordo un articolo di Rinascita in cui, per la prima volta, scoprii che invece di parlare di primo, secondo e terzo mondo, meglio sarebbe stato parlare di paesi sottosviluppati e paesi sottosviluppanti, con le conseguenze del caso in termini di responsabilità.

il 1968, la prima occupazione, le elezioni, il convegno di Fontanella

I movimenti hanno sempre una causa immediata di tipo casuale e nel caso di fisica tutto partì dalla reazione esagerata del direttore di istituto, professor Caldirola ad un problema banale: una assemblea negata. Ci guidava Roberto Biorcio, più vecchio di noi di un paio d’anni. Biorcio era il presidente del parlamentino studentesco di tutta la Statale.

Il professor Caldirola non voleva che l'assemblea continuasse nella sua ora l’assemblea e non mi ricordo proprio perché la volessimo fare. Biorcio lo incalzava e si muoveva secondo i moduli della non violenza (me lo ricordo a braccia alzate che resiste davanti alla lavagna). Alla fine, per poter continuare, ci prestò l’aula il professor Loinger, fisico teorico, uno dei decani di Fisica. Tanta voglia di fare qualcosa, ma cosa? Si dice che l’appetito vien mangiando. Iniziò un lungo dibattito durato giorni; si fece strada, pian piano, l’idea di occupare l'Università (come stava accadendo in giro per l'Italia).

  • Assemblea vera; noi con tanta voglia di essere; gli altri, i nostri compagni di corso, perplessi e incuriositi; alcuni ci accusarono di essere pagati dai comunisti con le semplificazioni che la destra qualunquista ha sempre avuto e che aveva anche allora. Ma si discuteva, tutti avevano diritto di parola e si replicava cercando di convincere
  • La democrazia assembleare: una votazione per appello nominale di coloro che nei giorni precedenti, libretto alla mano, si erano iscritti al voto; una votazione durata ore ed ore. Le aule B e C collegate via audio con l’aula A (grazie ai prodigi di Flavio, fin da allora eccezionale addetto alla logistica).Si veniva chiamati e ci si dichiarava favorevoli o contrari; quando si arrivò al quorum, a chiamata ancora in corso, scoppiò un applauso liberatorio; si occupa.
  • Dobbiamo essere seri: i ragazzi da una parte le ragazze da un’altra. Bisogna rimettere bene in ordine tutto la mattina. Ciascuno contratta a casa il diritto di dormire nella facoltà occupata: fortunati quelli con la famiglia di sinistra che non hanno problemi.

Abbiamo scoperto che il mondo dei formalismi, delle persone per bene, non ci stava più bene che, per noi, volevamo decidere noi. Volevamo dare un taglio alle cose più assurde, in una parola volevamo la democrazia diretta. Quando ce la siamo presa, ci siamo accorti quasi subito di essere finiti in un mondo magico da cui non volevamo più uscire, perché dentro quel mondo non valevano più le regole assurde dell'altro mondo.

Poiché non si poteva vivere solo in assemblea, abbiamo incominciato ad inventare altre forme di organizzazione: strutture decentrate come le commissioni a tema, i gruppi di lavoro, i gruppi di intervento; obiettivi di lotta contro la selezione e contro la scuola di classe, che avevano come strumento primario quello di controllare i ritmi di insegnamento in modo che non andassero in contrasto con quelli di apprendimento.

E' il 28 febbraio 1968 e il documento per la occupazione dice tra l'altro: (i documenti di quel periodo li trovate qui)


Nella lezione, il professore impartisce nozioni che gli studenti sono tenuti ad apprendere con lo studio individuale. I contenuti dell’insegnamento sono proposti in forma frammentaria senza che sia mai richiesta una sintesi a livello di critica della scienza e una chiarificazione dei nessi tra attività universitarie, professioni, sviluppo sociale ed economico. Durante l'esame il professore controlla, in modo spesso arbitrario, l'apprendimento nozionistico. L'imposizione di questo sterile nozionismo porta lo studente a uno studio mnemonico che limita o impedisce lo sviluppo critico e la maturazione della sua personalità. Una volta laureato, lo studente si troverà di fronte a una società che non conosce e che non sa criticare, nella quale dovrà inserirsi per vivere diventando inconsciamente lo strumento che garantisce la stabilità di questo ordine sociale. Questa situazione della didattica si perpetua grazie alle condizioni di totale passività degli studenti, assuefatti ormai ai metodi autoritari presenti a tutti i livelli scolastici. Si presenta quindi l'importanza dell'obiettivo della contestazione dell’autoritarismo accademico mediante l'introduzione del dibattito a tutti i livelli delle attività universitarie e della affermazione delle esigenze di cui gli studenti sono portatori.


Una foto mostra le ragazze che fanno le pulizie la mattina perché noi di scienze della prima ora siamo molto moralisti e ci teniamo a smentire quello che dicono certi giornali sulla università trasformata in un bordello. Deve esserfe tutto in ordine.

Come siamo diversi: Basilio è un mito (non è battezzato ed è di famiglia comunista, ma gioca alle carte come gli altri, anzi di più, a briscola con suo nonno). Ci sono i cattolici senza aggettivi compresi quelli che tra breve daranno vita a Comunione e Liberazione sulle ceneri della implosione di Gioventù studentesca, i cattolici di sinistra già toccati da Fuci e Intesa, gli studenti di sinistra, quelli di sinistra ma che forse sono ancora più a sinistra, quelli dello Psiup, gli anarchici, gli hippies, i situazionisti, qualche operaista in gestazione.

I bidelli di fisica sono con noi (quante partite a tressette e al due con Gino e Giancarlo).
Si mette in piedi il Comitato di Agitazione nella ex sala della facoltà (di fronte alla biblioteca) dove si facevano le sedute di laurea e dove un tavolo gigantesco ci permetterà di fare riunioni ordinate. Il Comitato di Agitazione è una sorta di ufficio di direzione che serve a dare continuità al lavoro.

Incominciamo a fare i tatse bao (i giornali murali ripresi dalla rivoluzione culturale cinese) usando i fondi delle bobine di carta da quotidiano procurati da Flavio. I nostri tatse bao hanno il titolo rigorosamente a pennello con vernice ad acqua di colore rosso e sono inconfondibili nella storia del movimento milanese. I titoli dei gruppi in cui si articola l’assemblea li vedete nella foto: didattica di massa, ricerca di massa, preparazione all’insegnamento, scuola – società – ristrutturazione, diritto allo studio, sbocchi professionali.

Poi il grande lavoro su Lettera ad una professoressa che viene ristampata in migliaia di copie e che leggeremo e discuteremo pagina per pagina nei gruppi di studio. Me la sono riletta un paio d'anni fa e direi che c'era del buono e del meno buono (si veda l'articolo rileggendo Lettera ad una professoressa).

L’occupazione è finita. Non chiedetemi cosa abbiamo ottenuto perché i ricordi si sovrappongono tra le mie tre occupazioni (68,69 e 70). Ci fu un tentativo di controllo dei ritmi di insegnamento e di quelli di apprendimento (una esigenza giusta con un obiettivo improponibile e irrealizzabile se assunto senza mediazioni) e comunque dopo quella occupazione e la successiva portammo a casa: i semestri, i corsi serali, le dispense.

In quella primavera si tennero le elezioni politiche e io votavo per la prima volta (solo alla Camera). Politicamente mi stavo avvicinando allo PSIUP che avevo iniziato a frequentare in quel di Monza con due amici (Mao Soardi e Lino Di Martino) che poi fecero i professori a Matematica.

Votai PSIUP e in quei mesi lessi e rilessi un  libro per me importante "Il socialismo difficile" di Andrè Gorz condirettore (con Sartre) di Les Temps Modernes. Si incominciava a cercare una nuova teoria; eravamo curiosi di marxismo; si trattava di un'opera a più mani cui avevano collaborato esponenti del movimento operaio italiano come Foa, Garavini e Trentin. Si esponeva un modello di lotta per il socialismo che passava attraverso profonde riforme di struttura e ci si respirava aria di libertà. Si parlava della corrente dei riformisti rivoluzionari.

Nel corso dell'estate 1968 accaddero due eventi importanti per la mia evoluzione politica: la invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici e il convegno del movimento di scienze a Fontanella presso l'abbazia di padre Turoldo.

  • Mi ero iscritto allo Psiup da meno di 15 giorni e mi ritrovai immediatamente alla opposizione vista la presa di posizione ambigua di quel partito e dunque, fatta eccezione per il lavoro politico a Monza in occasione della lotta della Candy con la fondazione del CUB, il mio frapporto con lo PSIUP finì prima ancora di incominciare. La  sede dello PSIUP era in via Anita Garibaldi, sulla destra del Tribunale ed era annessa ad un circolo socialista in riva al Lambro (oggi ci sono solo condomini signorili). Più che far politica andavamo ad ascoltare i racconti dell'avvocato Giovanbattista Stucchi, uno dei comandanti del CLN Alta Italia, uno di quelli che sfilano con Longo e Mattei nella famosa foto della liberazione di Milano.
  • Fontanella è una frazione di Sotto il Monte, il paese di Giovanni XXIII e a Fontanella padre David Maria Turoldo (intellettuale, poeta, predicatore, organizzatore) aveva messo in piedi intorno ad una abbazia medioevale un centro studi dei Servi di Maria. A Fontanella abbiamo fatto il convegno residenziale estivo del movimento.

Pochi giorni di nuovo insieme (eravamo una cinquantina) per discutere cosa fare nel 68/69. Abbiamo lavorato e a me è rimasto in mente la pace di quel posto. Turoldo ci lasciò discutere per giorni senza mai interferire e poi prese la parola l’ultimo giorno con un invito esplicito a non farci strumentalizzare. Ricordo ancora la replica irata di Sergio Bianchini che si stava avvicinando ai marxisti leninisti.

A Fontanella ho anche conosciuto Oskian (Aurelio Campi) che nel primo anno di movimento si era mosso nell'ombra (anche perché allora era un greco-armeno apolide) e che durante il convegno esercitò una netta leadership conquistando alla neonata Avanguardia Operaia una buona fetta del gruppo dirigente. Con lui ebbi modo di approfondire le cose che avevo appreso dal libro di Gorz. Era leninista e me le smontò una per una, ma senza strafare. Era iniziato il mio percorso verso Avanguardia Operaia.

la religione e il cristianesimo

La rottura con la religione è stata graduale e, come detto, è avvenuta prima con la Chiesa e poi con Dio. Il mio processo di contestazione-rinnovamento è iniziato all’inizio degli anni ‘60 con l’adesione a Gioventù Studentesca: ricerca di rapporti umani autentici e rapporto con il Divino mediato da una comunità (il contrario del formalismo e della disumanità della Chiesa brianzola di paese fatta di riti, organizzazione e mancanza di discussione).

Da GS me ne sono andato quando l’integralismo è diventato dominante e gli spazi per un nuovo umanesimo sono diventati solo quelli interni al cattolicesimo. Lasciata GS, non ho lasciato il cattolicesimo (che ormai preferivo chiamare cristianesimo). Attenzione al rinnovamento post conciliare, lettura delle riviste del rinnovamento, frequentazione di sacerdoti e comunità eterodosse, delusione per la figura di Papa Montini sul piano umano (troppo pastina) e sul piano intellettuale e teologico con i passi indietro rispetto al Papa Buono.

E’ stata una trasformazione lenta che ha avuto il suo strappo decisivo proprio a cavallo del ‘68-‘69, quando mi presi alcuni giorni di riflessione presso la comunità di Padre Turoldo. Lì ho trovato gente molto in gamba disposta a concepire percorsi personali e un po’ eretici dentro la Chiesa (teologi puri, teologi della liberazione).

Oltre a padre Turoldo, fuori classifica sul piano della personalità e della esperienza umana, ebbi modo di conoscere alcuni altri Servi di Maria (intellettuali a tutto tondo, frati latino-americani con simpatie per la rivoluzione; in Uruguay era il tempo dei Tupamaros. Scrissi anche un saggio per la loro rivista trimestrale (Servitium). Ma c’erano di mezzo le assurdità del mondo cattolico con i suoi riti, la sua etica reazionaria (avevo 22 anni e avevo incominciato a fare sesso con Bruna), il principio di autorità.

Venni invitato a considerarmi una pecorella con diritto alla autonomia di pensiero, ma dopo alcuni dolorosi ripensamenti, decisi che la cosa non aveva senso e finì così, naturalmente in maniera graduale, prima il mio rapporto con la religione e poi quello con la trascendenza.

il 1969 e l'impegno in AO

Lo scopo di questo capitolo è quello di parlare della mia evoluzione politica e dunque vedremo come sono cambiate le mie idee con la adesione al comunismo rivoluzionario e quello che facevo in politica. Come ho già detto era iniziato un rapporto stretto e continuativo con Oskian del quale mi colpivano favorevolmente la chiarezza, la molteplicità di interessi e la grande cultura. Quasi tutti i giorni mangiavamo o alla casa dello studente o all'altra mensa e poi si passava a casa sua e di Claudia Sorlini, la sua compagna, per le chiacchiere a ruota libera, ed è da queste chiacchiere che è maturata la adesione al progetto di AO.

Percepivi quanto il lavoro da fare fosse molto, difficile e da svolgere con pazienza. Costruzione del consenso attraverso il dialogo e tanto lavoro politico anche minuto. Su una parete c'erano i 45 volumi delle opere di Lenin ed è a Lenin che Oskian faceva continuamente riferimento come esempio da tenere presente nel lavoro politico. Leggeva regolarmente Le Monde e il settimanale filopadronale "Mondo Economico". Claudia interveniva ad attenuare certe spigolosità con un po' di saggio pragmatismo bresciano e femminile.

Metà del mio tempo lo dedicavo allo studio della storia, della economia politica e a quello dei classici. Quelli li studiavo bene cercando di approfondire il contesto, perché una delle prime cose che mi capitò di fare fu il lavoro di docente in gruppi di studio di formazione politica (a quei tempi, sui giornali, ci chiamavano i professorini di AO).

C'era da mettere in piedi la cellula di AO di fisica, di cui fui il primo segretario (poi Scienze, poi Città Studi dopo il coinvolgimento di Ingegneria, Agraria e Medicina). Tra lavoro politico, lavoro materiale come dipendente universitario part time e pendolarismo, quello fu un anno in cui, scientemente, combinai piuttosto poco in termini di crediti universitari. Avevo finito il III anno in pari con gli esami e nel corso del IV anno non ne diedi nemmeno uno dopo aver rinunciato a dare Elettronica applicata che pure avevo studiato con impegno.

Il rapporto con Avanguardia Operaia nel corso del 1969 passò attraverso la partecipazione ad assemblee di orientamento che si tenevano la domenica mattina alla sede di via Bacchiglione o il sabato pomeriggio in quella di via Giason del Maino.

La nascente Avanguardia Operaia, oltre che per il lavoro nei confronti delle fabbriche attraverso i Cub, lavoro in cui non ero direttamente coinvolto, si caratterizzava per la formazione di militanti ideologicamente e politicamente formati su alcuni capisaldi:

  • una tiepida adesione ai processi in atto in Cina, ma senza strafare
  • un riferimento al fallimento della rivoluzione d'ottobre, tradita dallo stalinismo prima e dalla burocrazia poi, ma di cui si salvava l'impianto leninista (con gli annessi e connessi della presa del potere e della dittatura del proletariato)
  • una posizione di appoggio ai movimenti di liberazione in tutto il mondo che strizzava l'occhio ai trascorsi trotskisti di alcuni esponenti del gruppo dirigente. Massimo Gorla con numerosi di quei movimenti intrattenevano rapporti sistematici anche se con una selezione degli interlocutori eccessivamente viziata da criteri di tipo ideologico. Si veda per esempio l'appoggio al Fronte Democratico Popolare di Liberazione della Palestina, che era DOC dal punto di vista ideologico, ma contava molto poco rispetto ad Al Fatah
  • una visione del processo rivoluzionario in Italia come processo di lungo periodo e la sottolineatura che ci trovavamo nella fase di creazione delle condizioni per la formazione del partito rivoluzionario di tipo leninista; di più non si diceva e non si poteva dire, ma era una bella demarcazione da gruppi e partitini che si autoproclavano partito rivoluzionario
  • un giudizio nei confronti del Movimento operaio organizzato e in particolare del Partito Comunista come partito che aveva tradito, dopo la parentesi gramsciana, la lotta per il socialismo; su questo punto c'erano grande intransigenza e lotta aperta. Nel numero uno di Avanguardia Operaia il PCI è dichiarato essere l'ala sinistra della borghesia  (una sciocchezza che non ho mai digerito)
  • nei confronti delle altre forze della sinistra rivoluzionaria giudizi che le collocavano nei diversi compartimenti del panorama: spontaneisti, economicisti, stalinisti, filo revisionisti, …Questo modo di procedere era tipico di tutte le organizzazioni allora presenti e si caratterizzava per un alto livello di concorrenza competizione

Avanguardia operaia sin dal 1969 prestò grande attenzione allora formazione politica ideologica dei suoi militanti e quindi, da subito, realizzò una rivista bimestrale, poi divenuta mensile, in cui si alternavano saggi di orientamento storico-politico, relazioni relative al lavoro di massa e informative sui rapporti con gli altri gruppi in giro per l'Italia

Per quanto mi riguarda continuavo ad utilizzare la lettura attenta di Rinascita come strumento di orientamento relativo alle problematiche del nostro paese visto che trovavo eccessivamente schematici e deduttivi gli editoriali della rivista. Alla attenzione alla politica affiancavo uno studio sistematico del leninismo, in particolare con le opere che consideravamo fondamentali per la sua comprensione e assimilazione:

  • stato e rivoluzione per le questioni di orientamento generale sul comunismo
  • che fare? sulle problematiche del partito rivoluzionario e della sua costruzione
  • l'imperialismo fase suprema del capitalismo per l'analisi del panorama mondiale
  • l'estremismo malattia infantile del comunismo per comprendere la storia del bolscevismo
  • la rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky sulle problematiche di demarcazione tra socialisti e comunisti

Prima di affrontare Lenin avevo studiato il Trattato di Economia marxista di Ernest Mandel, un'opera in due volumi che costituisce una ottima introduzione non solo alle problematiche della economia politica ma anche al materialismo storico.

Leggiucchiavo qualcosa di Trotsky, che mi piaceva dal punto di vista stilistico e comunicativo, mentre nella prima fase, con la eccezione del Manifesto del Partito Comunista e della concezione materialistica della storia non lessi nulla di Marx, rinviando ad altri momenti la lettura del primo libro del capitale.

A proposito della concezione materialista della storia (un estratto della Ideologia Tedesca) ho un ricordo kafkiano di un gruppo di studio alla cellula di Fisica sul tema classe in sè e classe per sè. Questioni che rinviavano all'idealismo hegeliano, argomento che mi era del tutto sconosciuto e a cui cercavamo di sopperire leggendo le note del curatore.

Con il senno di poi mi viene da dire, a proposito dell'impegno editoriale degli Editori Riuniti nella diffusione delle opere di Marx e di Lenin, quanto fossero masochisti questi esponenti dell'ala sinistra della borghesia. Confesso, per quanto riguarda gli odiati revisionisti, di essermi sempre rifatto alle fonti dirette leggendo La storia del PCI  di Paolo Spriano che nel 69 era giunta al secondo dei cinque volumi (che continuai poi a leggere negli anni successivi).

Paolo Spriano per me era un mito dopo che mi capitò di leggere un suo corsivo su Rinascita in cui si ironizzava sul giornalismo alla Panorama proposto dal fondatore Lamberto Sechi che con la scusa dei fatti separati dalle opinioni sfornava articoli facili da leggere ma di una superficialità assoluta e simili a chiacchiere da cortile. Spriano sosteneva, in contrapposizione, che sognava un settimanale in cui gli articoli iniziassero dicendo io la penso così e seguivano le argomentazioni.

cosa è mancato? Le mie colpe

Con l'inizio dell'anno accademico 69/70 ho preso atto che avevo trascorso un intero anno senza dare esami e che bisognava rimediare. Ho continuato il lavoro part-time alla cattedra di Fisica dello Spazio, ma mi sono dedicato a finire l'Università. In pochi mesi recuperai il tempo perduto: 4 esami e tesi di laurea e così alla fine di luglio del 70 mi ritrovai ad essere dottore in fisica e pronto per andare a militare.

Quello che sono ora non è certamente ciò che ero allora, ma nei diversi incontri fatti per il 40° e il 50° del nostro movimento di Scienze mi sono interrogato sul se e quanto avremmo potuto lavorare diversamente, se e quanto la mancanza di una battaglia di natura culturale fosse stata responsabilità nostra.

In quegli anni utilizzammo una impostazione vertenziale con obiettivi strutturati che riguardavano essenzialmente il diritto allo studio, il miglioramento delle condizioni materiali per gli studenti, il diritto di organizzazione politico culturale, la attivazione dei corsi pomeridiani e serali per i lavoratori studenti, la proposta dei semestri e il controllo sui ritmi di insegnamento e di apprendimento. I corsi serali nei primi anni ebbero un grande successo e consentirono a molti tecnici delle aziende milanesi di laurearsi.

Nella scelta degli obiettivi c’era un limite genetico, legato alla scelta di non mischiarci con il dibattito politico ideologico, come si faceva alle facoltà umanistiche. Con il linguaggio di allora parlerei di economicismo. Non volevamo aprire la discussione sulla cultura scientifica, sul neopositivismo, sul materialismo dialettico, sul ruolo della ricerca scientifica e al più ci limitavamo ad affermare il carattere non neutrale  della scienza, ma in realtà non ne sapevamo molto.

Eravamo pieni buona volontà, desiderosi di fare meglio, ma anche estremamente ignoranti (nel senso etimologico del termine) e dunque, mentre altrove si tentavano i contro-corsi, noi ci dedicammo a far funzionare meglio (sul piano dei risultati) la macchina universitaria. D’altra parte, con poche eccezioni, non ci aiutarono i docenti, a loro volta piuttosto impreparati e sconcertati nel sentirsi rivolgere domande sui fondamenti o sul senso di ciò che ci proponevano: studenti critici, desiderosi di capire, interessati a fare domande e, dall’altra parte, docenti sconcertati che al più rigiravano la domanda, ma non sapevano cosa rispondere.

Nell'estate del 1969, anziché occuparsi di queste cose il CDA sfornò un documento, pubblicato con evidenza su uno dei primi numeri di Avanguardia Operaia, in cui il tema principale al termine del secondo anno di movimento sembrava essere la discussione metodologica sul rapporto tra movimento di massa e organizzazioni politiche e sul fatto che il rapporto con la classe operaia dovesse passare attraverso la mediazione della organizzazione rivoluzionaria. Lo potete leggere qui l’ideologia prende il sopravvento (estate 1969) ma vi anticipo che è parecchio noioso.

Mancando la riflessione sulla scienza il movimento asfissiava su obiettivi giusti ma limitati e su cui non si poteva pretendere di campare per anni. Non a caso nell'anno 70/71 (mentre ero a militare) ci fu una grande lotta seguita da una grande sconfitta, perché il movimento, mancando di una strategia propositiva si infilò, senza capacità di mediazione, nel cul de sac del controllo totale dei tempi di insegnamento e apprendimento.

Mi interrogo spesso sulle mie responsabilità, ma alla fine mi assolvo. Ero un emerito ignorante; per fare la riflessione critica sulla scienza serviva un bagaglio culturale che non avevo e che avrei acquisito solo più tardi.


Ultima modifica di Claudio Cereda il 30 maggio 2020


La pagina con l'indice della mia autobiografia da cui potete scegliere i capitoli da leggere e vedere una sintesi di ciascuno


 

Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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Una risposta a 1965-1970: volevamo cambiare il mondo

  1. Lino Di Martino scrive:

    Sto leggendo con grande interesse le pagine di Claudio Cereda. Ma ci sono troppe cose di dire, che mi si affollano nella mente… Perciò mi darò una calmata… e le dirò una a una nei prossimi giorni.
    La mia formazione adolescenziale , pur vissuta più o meno in luoghi vicini o negli stessi luoghi della Brianza, è stata, per ragioni che dirò, molto diversa…
    Per ora basti dire che mi allontanai dall'educazione cattolica già nelle scuole medie… In terza media (ribellandomi al conformismo circostante) divorai, nella vecchia BUR grigia, Candide di Voltaire, I Gioielli Indiscreti e Jacques il Fatalista di Diderot, Eugenie Grandet di Balzac, Zola e Flaubert, e vari altri.
    Quanto ne capissi è un'altra storia, ma capirete che fu come spalancare gli occhi e la mente. Aggiungo il Bertrand Russell polemista (due elle mi raccomando) di "Perché non sono cristiano"…. Quanto a Marx e Trotskij, e alla matematica, al prossimo breve post di questo tipo… forse.

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