Designer ? No, metalmeccanico – di Rino Riva

Donato Lamorte l’ho conosciuto, una domenica mattina del 1973, dalle parti del campo Giuriati dietro Città Studi. Eravamo un certo numero di “militanti” lì radunati per “fare fiato”.

Già, perché dopo una settimana di turni di lavoro, di riunioni sindacali e di partito e magari di cortei qualcuno aveva escogitato che era nostro precipuo desiderio occupare dell’altro residuo tempo libero. La maggioranza dei convenuti avevano un incarico nella “struttura”, il cosiddetto servizio d’ordine

Non ricordo bene perché fossimo un misto della zona Lambrate e della zona S.Siro. Avevo qualche chilo da perdere e mi sono aggregato. Dopo qualche giro ai bordi dell’ipotetico campetto e qualche esercizio a corpo libero, la cosa che d’acchito viene in mente a tutti é organizzare una partitella di calcio, così si univa l’utile al dilettevole. Donato era un caciarone, la sua voce rumorosa e la sua risata accattivante, la cadenza tipica di uomo del Sud, le frasi un po’ provocatorie non lo rendevano inosservato.
Me lo rese subito simpatico un suo gesto: si sdraiò sul prato, mentre noi correvamo, subissandoci di sfottò.

Lavorava all’Innocenti dove agiva una bella squadra di compagni. Incominciammo a salutarci da lontano, lui forse sapeva di me e del mio ruolo. Di sicuro era al corrente che di me ci si poteva fidare.

Nato nel 1945, era arrivato al nord nel 1962 e aveva trovato lavoro in una piccola fabbrica di carpenterie metalliche, la Panigalli di Cologno Monzese dove credo abitasse. Nel 1970 lo raggiunse il fratello più giovane, immigrato come lui. Trovarono casa comune a Vimodrone fin quando il fratello nel 1982 si sposò. Il titolo di studio che aveva venendo dal sud era la licenza elementare. A Milano si iscrisse a una scuola serale, frequentò per 3 anni e conseguì la licenza media. Appresso, volle iscriversi a un istituto per Periti ma abbandonò al termine del primo anno.

Nel frattempo, c’era stato l’incontro esaltante con la politica e siamo già all’inizio degli anni Settanta. In qualsiasi realtà produttiva si sia venuto a trovare, so che ha cercato di fare tesoro di ogni esperienza, di apprendere i rudimenti della professione dal lavoratore più esperto. Riflessivo ammiratore di accorgimenti che rendono provetto un operaio, a cominciare da una postazione di lavoro, ordinata secondo criteri scrupolosi: ogni attrezzo rimesso nella sede precisa per meglio svolgere la mansione a cui si è preposti. Non c’era nessuna cortigianeria in lui né smania da “aristocrazia operaia” bensì un’etica del lavoro che sapeva ben distinguere i ruoli fra lavoratori e padroni, ben scindere la necessità e i momenti della lotta dal saper fare operaio.

Attento e curioso di tutte le novità tecnologiche, rivolte al miglioramento dell’ambiente – anche a seguito dall’ultima attività lavorativa all’Amsa dopo la chiusura dell’Innocenti – si informa e conosce ogni tipo di macchinario per il trattamento dei rifiuti. Acquista ogni giovedì il Sole 24 ore – scandalo! – per il solo inserto sulle nuove tecnologie, una vera sua passione. Il suo è un autodidattismo vorace e, molti anni dopo, scoprirò una sua peculiare genialità.

Iniziai a frequentarlo dal 1977 in poi, il percorso suo e mio fu il medesimo dopo l’uscita da Avanguardia Operaia. Ci incontravamo alla F.I.O.M., così cominciammo a parlare fra di noi e a conoscerci a vicenda. Era un uomo dal piglio generoso, un compagnone, ma la sua vita mi è apparsa, come in fondo è rimasta, quella di un solitario. Siamo diventati amici, nondimeno abbiamo continuato a vederci poco: capita spesso, per ragioni indecifrabili, e non rinuncio a pensare che sia un vero peccato. Finché non è andato in pensione, Donato è rimasto a Milano. Ma le uniche volte in cui avevamo occasione di rivederci, da allora in poi, erano i grandi appuntamenti delle manifestazioni del 25 aprile e del 1° maggio. Era sempre molto bello quando scoprivamo di esserci entrambi e di stare nonostante i mugugni sempre dalla stessa parte. Gli ridevano gli occhi mentre ci abbracciavamo.

A un certo punto venni a sapere da amici comuni che, dopo la scomparsa dell’anziana madre, era tornato al suo paese il cui nome ha molto a che vedere con il suo carattere e la sua condotta: Ripa Candida, vicina a Rionero in Vulture (Potenza, Lucania). Sapevo che vi ritornava ogni anno, in determinati periodi, quando era ancora viva sua madre e dove, sebbene non nello stesso comune, vivevano altri suoi parenti, una sorella, i nipoti. Ci siamo del tutto persi di vista e temevo che avrei fatto fatica a rincontrarlo. La cosa mi dispiaceva poiché davo importanza a un rapporto con lui, perfino a incrementarne la confidenza. Il caso me l’avrebbe fatto incontrare comunque. Il caso me l’ha fatto incontrare prima.

Mi trovavo a Pisa, ospite di un comune amico dove questi si era trasferito con la propria famiglia una volta raggiunta l’età pensionabile. Nella sua abitazione, sulle mensole  sovraccariche di libri da far paura, mi cade l’occhio su due curiosi soprammobili: sono due minuscole sedie in stile Art Decò, con una struttura in ferro il cui design è variato su modelli differenti (senza giunture saldate, valevole per gambe e schienale) e il sedile in legno.

Amo moltissimo gli oggetti in miniatura, perciò ho chiesto ai miei ospiti dove li avessero trovati. La risposta mi lasciò di sale: “Le ha costruite Donato, sono opera sua”.
Donato… magnifiche, che bravo, pensai. urono i miei ospiti a darmi i suoi numeri di telefono, anzi lo chiamarono e mi fecero parlare a sorpresa con lui.

A posteriori rifletto sul dono che Donato ha voluto fare ai suoi amici, dando di sé il meglio faticoso della sua genialità e del suo saper fare operaio. Le sue “sedie” fanno bella mostra – mi chiedo con quanta consapevolezza dei riceventi – su scaffali e arredi in molte case di militanti, spesso ancora in attività, della sinistra estrema milanese.
Se solo una minima parte avesse inteso il suo messaggio, la sua richiesta di aiuto, e si fosse prestato a trovarvi rimedio magari oggi le sue sedie sarebbero un prodotto commerciale e non un sogno da realizzare.

Recuperai così un rapporto che é fatto di periodiche telefonate, di fugaci incontri quando viene a Milano dove ancora possiede un monolocale dalle parti di viale Monza sulla Martesana. Sugli scaffali della mia libreria più che ridondanti di libri, oggettistica varia e, ahimé, di polvere c’è ora una minuscola sedia, costruita apposta per me, a fare la sua bella figura.

Mi spiegò che ogni seggiola dallo specifico design era parte di un progetto che mi illustrò facendomi notare che ogni modello di sedia avrebbe potuto con facilità essere costruita, per mezzo di una piegatrice ben attrezzata. Di sedie sue adesso ne ho due e, insieme, un cd in cui sono state immagazzinate, dopo averle fotografate: i modelli da lui progettati sono all’incirca una settantina, una più una meno!

Trovo che le sue sedie i cui schienali mi fanno venire in mente degli abbracci equivalgano a minuscole sculture, frutto di una intelligenza e perspicacia operaia invero notevoli e ricordano nelle loro sagome le figure del grande Henry Moore. Donato, nel seminterrato di Ripa Candida, ha un’officina e la sua giornata ha i tempi contingentati. La mattina, dopo aver fatto la colazione, esce di casa, acquista il giornale e, se il tempo è benevolo, va a leggerselo in piazza sopra una panchina.

Lì, può succedere che gli venga un’idea e allora butta giù uno schizzo sulla parte non scritta del giornale, meglio – se ne è fornito – sopra un pezzo di carta bianca. E in quel modo, inizia a prendere forma una delle sue numerose sculture in ferro. Può succedere che mentre sta disegnando uno dei suoi capolavori, a un  tavolino di un bar della città che lo ha accolto molti anni fa, un curioso giapponese del tavolino accanto gli chieda: «Designer?» e lui, pronto, si schermisca: «No, metalmeccanico».

La sua mente fervida intuisce che può propagandare in altro modo le sue produzioni, così inventa le magliette che iniziano a diffondersi fra i suoi amici milanesi: accanto al ritratto di una sua sedia ad altezza normale spicca la scritta: “Design metalmeccanico”, un marchio doc. Ritorna a casa e lavora fino a mezzogiorno ai suoi progetti. Interrompe per il pranzo, si fa un’altra camminata nel paese e nel pomeriggio riprende a ingegnarsi fino all’ora di cena.

Nel giardinetto prospiciente l’ingresso di casa le sedie da lui ideate, ad altezza normale, fanno bella mostra di sé e pubblicità al loro inventore. Anche a Ripa Candida, Donato – analizzatore industrioso dei problemi che affliggono la cittadina – si è impegnato a elaborare un progetto risolutivo  per migliorare la qualità della vita nel centro storico. Gli è complice fattiva, la sorella che si è incaricata di buttar giù gli schizzi necessari a sostegno della proposta.

Dando un’occhiata al numero di “Poliscritture on-line”, ho scorto  la fotografia di una piccola sedia che a colori fa persino più scena. Avevo cognizione che fosse sua e ne ho chiesto conferma a Ennio Abate, il responsabile della rivista. Da Ennio che mi ha subito risposto, sono venuto a sapere che Donato ha inventato anche una macchina in grado di raccogliere i sassi nei terreni agricoli, raccontandomi che: “quando lavoravo al Molinari, avevo sottoposto a un insegnante-ingegnere il suo progetto che era stato valutato bene. Purtroppo, il collega era “fuori dal giro”, come me (o noi) del resto e non se ne fece nulla”.

L’idea gli era venuta durante il prolungato corso di formazione, frutto dell’accordo sindacale per la riconversione industriale, nella successione dalla Innocenti alla Maserati. Donato, che prima o poi andrò a trovare al suo paese, non é come abbiamo visto, un superbo progettista una tantum. Tutt’altro. Infatti, vista la mia considerazione per le sue geniali idee nient’affatto balzane, mi portò a vedere poco tempo dopo: “Pigia”, prototipo di macchina per la riduzione dei contenitori di plastica e lattine,  composta da solo cinque pezzi principali, in grado di comprimere i vuoti, riducendo il volume di circa il 70%.

Un manufatto facile a mettersi in produzione che potrebbe essere un  ausilio indispensabile per condomini, bar, ospedali e tutti gli esercizi che per la loro attività si vedono costretti a maneggiare sacchi ingombranti di plastiche e lattine. Utilissimo per la raccolta differenziata permetterebbe un considerevole risparmio sui costi di smaltimento e di trasporto del materiale riciclabile e, cosa non secondaria, sulle tasse comunali per i rifiuti. Congegni dalla medesima finalità, analoghi ma non uguali, credo siano già prodotti e commercializzati. Tuttavia, non mi sembra che i caseggiati e i condomini ne siano forniti come si dovrebbe.

Pur essendo privo di adeguati titoli di studio, avendo fatto tesoro di una lunga pratica che, non di rado, vale come e più della grammatica, Donato – senza averne cognizione – è un seguace di Edward De Bono, teorico del pensiero laterale, il quale afferma che se si affronta un problema con il metodo razionale del pensiero, si ottengono risultati corretti ma limitati dalla rigidità dei modelli logici. Quando si richiede una soluzione davvero diversa e innovativa si deve stravolgere il ragionamento, partire dal punto più lontano possibile, ribaltare i dati, mescolare le ipotesi, negare certe sicurezze e addirittura affidarsi ad associazioni di idee del tutto casuali.

Nascono in questo modo i progetti di Donato che sono seri, affidabili e belli: perciò mi sono convinto che occorre smetterla di interrogarsi su chi può dargli credito o meno e che bisognerebbe invece uscire dalla rassegnazione che obbliga anche noi – suoi autentici amici – all’inattività colpevole per  verificare se non sia fattibile trovare chi si  appassioni ai progetti di questo versatile inventore e designer operaio. Per iniziare, ho voluto scrivere questo apologo: un modo come un altro per esprimere a Donato la mia stima e la mia rinnovata amicizia e per comprovare che le realizzazioni sono sue senza ombra di dubbio.


Ciò che ho scritto vale a raccogliere suggerimenti, idee, soluzioni operative, proposte per fare in modo che l’ostinatezza di Donato venga infine premiata.
Mi piacerebbe che per l’azione congiunta di pochi o tanti, non importa, la narrazione sappia mettere in moto forze sufficienti per vincere le grandi forze degli intrallazzi e degli ammanicamenti e che il sogno tenace di Donato possa trasformarsi in realtà.


 

Info su Maurilio Rino Riva

Maurilio Riva, "Rino" di soprannome per amici e familiari, è nato a Taranto nel 1947 e vive Milano dal '49. Ragioniere, ha svolto numerosi mestieri e ha rinunciato all'assunzione sicura in banca, scegliendo al suo posto la fabbrica, una grossa azienda di telecomunicazioni nell'hinterland milanese. Lì ha lavorato per circa 30 anni, prima come operaio e, poi, come tecnico informatico. Ha ricoperto incarichi politici e sindacali di un certo rilievo ed è stato redattore del periodico dei lavoratori dell'azienda. E' stato un dirigente di Avanguardia Operaia e leader del Movimento Milanese dei Lavoratori Studenti. In pensione dal 2004, nel 2006 ha pubblicato "Il sogno inverso di Tito Biamonti" con Arterigere Edizioni. Nel 2010, "2022 Destinazione Corno d'Africa" con Libribianchi Edizioni, nel 2014 "Partita doppia" con Lettere Animate, nel 2017 "Se i muri potessero raccontare (memorie operaie in cemento armato)" con UNICOPLI in cuisi parla in forma romanzata della sua esperienza di fabbrica. Alcuni dei suoi racconti sono stati editi su riviste, antologie e blog. Su questo sito trovate le recensioni dei suoi romanzi. La sua vita di questi anni è stata segnata dal cancro di Vivi, la sua compagna con cui ha fatto il percorso di lotta condivisa contro la malattia. Elle era il loro rifugio.
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Una risposta a Designer ? No, metalmeccanico – di Rino Riva

  1. Maurilio Riva scrive:

    Donato è davvero una persona straordinaria, spiace che queste sue realizzazioni non abbiamo riscontrato l'interesse dei produttori del settore. In diversi ci siamo mossi per cercare di dargli una mano a questo scopo. Ne ricordo uno fra tutti, Giulio Stocchi il poeta delle lotte popolari che fra l'altro è mancato un anno fa ed è un nuovo motivo per mardargli un saluto nel pulviscolo dell'univrso dove sarà finito a inventare le sue poesie e a raccontarle a pianeti, nebulose e altre stelle.
    Ebbene, sapete chi ha trovato il nome questo all'attrezzo predisposto da Donato, inventore operaio, per ridurre ai minimi termini bottiglie, scatolette e lattine? Giulio Stocchi. Sì, proprio lui, il poeta della Milano di lotta degli anni settanta. Era un amico di Donato, lo conobbe  all'Innocenti nell'ambito di una sua performance e un ritratto di Donato finì in un libro di Giulio Stocchi, "Compagno poeta", edito da Einaudi nel 1975.

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