luglio – di Antonio J. Mariani

Luglio è alle porte e aleggia la vacanza

Ma sarà del tutto diversa, necessariamente diversa, evidentemente diversa. Talmente diversa, che, in non pochi casi, è destinata a saltare. Sì, a causa della pandemia, anche la vacanza è destinata a mutare. Del resto, l’industria del turismo, nel suo insieme, ha già subito delle modificazioni sostanziali: il viaggiare (specie in aereo) è ridotto all’osso e non si sa bene che forma assumerà d’ora in avanti, anche se è presumibile (come confermano gli esperti del settore) che in futuro le persone si muoveranno soprattutto all’interno dei propri paesi.

Ci si domandava e ci si domanda che piega prenderà il dopo Covid, ma, intanto, dobbiamo fare i conti con il fatto che al “dopo” dobbiamo arrivarci e i tempi sono tutt’altro che pronti via. E questo continuum (con modificazioni minime, ma senza interruzione alcuna) ci induce a ripensare dalla a alla zeta l’idea stessa di vacanza.

Per esempio, non sarebbe male dirci che è del tutto illusorio presumere, come abbiamo sempre pensato, che un viaggio possa, al di là della provvisoria ebbrezza, incidere in modo significativo su quel che siamo. Meglio, cogliere l’occasione per imparare a fare il vuoto dentro di noi (del resto, vacanza deriva dal latino “vacare“: essere vuoto, libero, non occupato). Svuotarci, dunque, per addivenire al silenzio interiore: l’unico capace di farci assaporare quel riposo che stimola divertenti curiosità e inimmaginabili soddisfazioni.

Per farlo è indispensabile sottrarci quanto più possibile all’ideologia del primato della quantità, la cui caratteristica è fondata per l’appunto sull’accumulo, sulla sovrabbondanza di cose (e di parole). Sollecitati come siamo da impulsi e da bisogni, arriviamo al punto di saturazione, dalla cui pressione pensiamo di cavarcela con l’agognata vacanza. E’ coltivando ogni giorno una ricettività che ci porta ad una quiete mentale (precondizione per favorire un relazionarci proficuamente con quel che ci circonda) che ritroviamo senza accorgerci quotidiani momenti di vacanza: quelli che ci permettono di capire quale tipo di ulteriore vacanza abbiamo eventualmente ed effettivamente bisogno.

Info su Antonio Mariani

Sono nato nel 1945. Finora (esagerando un po’), più o meno 7 vite: 1) dal 1960 al ’67 (quindi, dai 15 ai 22 anni): segretario di reparto in una nota azienda elettrodomestica; 2) ’67 e ’68 anni anni sabbatici (in giro in autostop) e leader movimento beat; 3) dal ’68 al ’73: esperienza “sessantottina” e pittorica; 4) dal ’73 al ’79: attività artistica e operatore culturale; 5) dal ’79 al '82: responsabile tv locale a Monza + direzione di due riviste cinematografiche; 6) dal 1982 al 2012 responsabile Banca Dati Tv-Cinema per Fininvest/Mediaset; 7) dal 2012, in pensione (dedicando l’attenzione non all’andamento nei cantieri, ma ai lavori in corso dell’esistenza).
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Una risposta a luglio – di Antonio J. Mariani

  1. Carola Maria Besana scrive:

    Non sono del tutto concorde sul fatto che un/il viaggio non ci lasci dei segni.
    Secondo me, li.lascia eccome. Dipende dagli occhi con cui vedi le cose e dallo stato d'animo con cui le giudichi. È vero, a volte (vorrei dire sempre) è un tentativo di fuga. Ma io faccio, almeno per me, un distinguo: una cosa è la "vacanza", un'altra il "viaggio". La vacanza è bisogno di riposo, persino di noia. Il viaggio è bisogno di vedere.

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