Memorie di un rivoluzionario – di Victor Serge (1) recensione

Nell'ultimo mese ho dedicato qualche ora al giorno a questo libro: lettura, rilettura (con creazione di una versione epub con un indice elettronico decente e con le immagini dei protagonisti principali).

La autobiografia di Serge mi ha appassionato sin da subito per diverse ragioni; infatti racconta pezzi di storia del 900 da testimone attivo: i movimenti anarchici francesi di inizio novecento, la mancata rivoluzione di Barcellona dello stesso periodo, la rivoluzione bolscevica, la fondazione della III internazionale, i moti rivoluzionari promossi dalla III internazionale e falliti nella Europa degli anni 20, le degenerazioni all'interno del partito bolscevico e le battaglie della opposizione di sinistra, l'arresto e la deportazione al di là degli Urali, la espulsione verso la Francia grazie alla notorietà che gli aveva garantito la attività di scrittore, le ripercussioni della guerra di Spagna, la invasione nazista della Francia e la fuga verso Marsiglia, l'approdo al Messico.

Vengo subito al dunque comprate il libro (versioni cartacee da e/o editore e anche nella vecchia versione della Nuova Italia acquistabile su ebay e su Amazon) e se vi piacciono gli ebook (formato epub) scrivetemi che vi mando la mia versione artigianale. Sono poco più di 400 pagine suddivise in 10 capitoli molto densi costruiti sulla base di una suddivisione temporale ma in cui si corre il rischio di perdersi per la grande quantità di fatti, personaggi e riflessioni su quei fatti, che Serge non si è curato di suddividere in paragrafi, anche se, nell'indice della versione cartacea, i paragrafi, introvabili nel testo, sono presenti. Proprio questo elemento mi ha indotto a creare una versione epub dotata di un indice a due livelli (capitoli e paragrafi) che agevolasse la consultazione.

Naturalmente questo libro può essere visto come la testimonianza di un protagonista di fatti che hanno segnato la storia del 900, ma non c'è solo quello; c'è una chiave di lettura, che mi limito a citare qui e, che è molto significativa: il racconto degli ambienti della Russia Sovietica (dalle città alle campagne sperdute a nord e a est, la descrizione dei personaggi siano essi dirigenti rivoluzionari, letterati o semplici protagonisti della rivoluzione.

Serge si batteva per un mondo migliore trasferendo in azione pratica alcune pulsioni e ribellioni che gli venivano dall'infanzia e contemporaneamente scriveva: articoli, saggi storici, romanzi. Come ci racconta lui stesso, più della metà della sua produzione è andata perduta nelle tante occasioni in cui, in fretta e furia, ha dovuto abbandonare tutto per piantare le tende da un'altra parte.


Ho passato dieci anni, su un po' più di cinquanta, in diverse prigioni, generalmente dure. Mi hanno insegnato quanta verità ci sia nell'aforisma paradossale di Nietzsche: Tutto ciò che non mi uccide mi rende più forte... Non ho mai avuto beni, quasi mai vissuto in condizioni di sicurezza. Ho perduto varie volte tutto ciò a cui tenevo materialmente: libri, carte e reliquie personali. A Bruxelles, a Parigi, a Barcellona, a Berlino, a Leningrado, alla frontiera dell'URSS, ancora a Parigi, ho lasciato quasi tutto dietro di me - o tutto mi è stato tolto. Ciò mi ha reso indifferente alle cose materiali senza scoraggiarmi di nulla.


Victor Serge (pseudonimo di Viktor L'vovič Kibal'čič), è nato a Bruxelles il 30 dicembre del 1890 ed è morto di infarto il 17 novembre nel 1947 su di un taxi a Citta del Messico. Era nato a Bruxelles (ed è rimasto per tutta la vita di madrelingua francese) perchè il padre era stato un attivista del movimento populista-terrorista Narodnaja Volja (la volontà del popolo) organizzatore dell'attentato riuscito allo zar Alessandro II ed era stato costretto a fuggire clandestinamente dalla Russia. Il padre che, alla fine, riuscì a trovare un impiego presso l'istituto di Anatomia di Bruxelles era un appassionato di scienza e fu lui a trasmettere al figlio la passione per la cultura e la razionalità.


Io nacqui per caso a Bruxelles, sulle vie del mondo, poiché i miei genitori, alla ricerca del pane quotidiano e delle buone biblioteche, viaggiavano tra Londra - "British Museum" - Parigi, la Svizzera e il Belgio. C'erano sempre ai muri, nei nostri piccoli alloggi di fortuna, dei ritratti di impiccati. Le conversazioni delle persone grandi si riferivano a processi, a esecuzioni, a evasioni, alle vie della Siberia, a grandi idee rimesse continuamente in discussione, agli ultimi libri su queste idee...


1. Un mondo senza evasione possibile (1906-1912)


Nel primo capitolo dopo aver descritto la sua infanzia e le scelte a favore del cambiamento della società maturate già intorno ai 16 anni, ma fortemente influenzate dalla figura paterna, Serge ci racconta della esperienza francese un po' a fianco e un po' dentro l'anarchismo.

Serge è deluso dalla inconcludenza dei partiti socialisti e pian piano si avvicina agli anarchici conquistato dalla esperienza di una comune e dalla copresenza (evento raro) di pensiero ed azione. Lo spingoono verso gli anarchici anche le manifestazioni, duramente represse, in occasione della decapitazione sulla pubblica piazza di militanti anarchici.

L'anarchismo ci prendeva per intero perché ci chiedeva tutto, ci offriva tutto: non c'era un solo angolo della vita che non rischiarasse, almeno così ci sembrava. Si poteva essere cattolici, protestanti, liberali, radicali, socialisti, anche sindacalisti senza nulla cambiare della propria vita, e per conseguenza della vita: bastava dopo tutto leggere il giornale corrispondente; a rigore frequentare il caffè degli uni o degli altri. Intessuto di contraddizioni, dilaniato in tendenze e sottotendenze, l'anarchismo esigeva anzitutto l'accordo tra gli atti e le parole (cosa che in verità esigono tutti gli idealismi, ma che tutti dimenticano, addormentandosi).

La fase anarchica  si conclude con il processo alla banda Bonnot un gruppo anarco-individualista che mise in atto una serie di rapine con uso delle auto. Ci furono ammazzamenti e, al processo, pesantissime condanne. Cadde l'accusa a Serge di essere l'ideologo della banda (dirigeva la rivista l'Anarchie), ma il ritrovamento di due revolver nella redazione della rivista che dirigeva gli valse comunque 5 anni di carcere.

Di quell'infanzia difficile, di quell'adolescenza inquieta, di quegli anni terribili, non rimpiango nulla per me: compiango coloro che crescevano in quel mondo senza conoscerne il rovescio inumano, senza prendere coscienza del vicolo chiuso e del dovere di combattere anche ciecamente - per gli uomini. Ho soltanto il rimpianto delle forze perdute in lotte che non potevano essere altro che sterili; esse mi hanno insegnato che il meglio e il peggio sono affiancati nell'uomo, si confondono talvolta - e che la corruzione del meglio è quanto c'è di peggio...

… una constatazione, quella finale, che non ha a che fare solo con la storia della anarchia ma sarà una costante delle esperienze di Serge nella rivoluzione bolscevica.


2. Questa ragione di vivere: vincere (1912-1919)


Quando Serge entra in carcere siamo alle soglie della prima guerra mondiale e il secondo capitolo si apre con il racconto e l'analisi della insensatezza del sistema carcerario francese. Dentro il carcere gli giungono gli echi della guerra e si fa viva in lui l'idea che la guerra porterà alla rivoluzione ed è questa la ragione, insieme al grande disorientamento nella società parigina, che lo spinge ad andare a vedere quella più vicina, la prevista e prossima insurrezione di Barcellona. Siamo nel 1917 e giungono in Spagna gli echi della rivoluzione d'ottobre.

Quanto alla rivoluzione russa, ero sicuro solo di una cosa: che non si sarebbe fermata a metà strada. La valanga sarebbe rotolata sino in fondo. Quale fondo? I contadini prenderanno la terra, gli operai le officine. Poi, non so. Dopo, lo scrissi, lotte senza grandezza ricominceranno, ma questo avverrà su una terra ringiovanita. L'umanità avrà fatto un gran balzo in avanti.

L'insurrezione di Barcellona abortisce prima di nascere e Serge ritorna a Parigi deciso ad andarsene in Russia ma la cosa è tutt'altro che semplice perché le autorità britanniche di dichiarano indisponibili al rilascio dei visti. Ci vorrà del tempo e ci sarà di mezzo un campo di concentramento in risposta alla presa del potere da parte dei bolscevichi. Pian piano Serge si avvicina al leninismo.

La domanda-prova d'esame che si poneva - che mi si poneva - in ogni circostanza era questa: per o contro il bolscevismo? Per o contro la Costituente? Rispondevo secondo la mia abitudine con imprudente chiarezza: la Rivoluzione russa non si può limitare a un cambiamento di regime politico; essa è, deve essere sociale. Ciò significa che i contadini devono prendere la terra e la prenderanno ai proprietari fondiari, con o senza sommosse, con o senza il permesso di una Costituente; che gli operai imporranno la nazionalizzazione o almeno il controllo delle grandi industrie e delle banche: non hanno buttato giù i Romanov per rientrare nelle officine impotenti come prima e assistere all'arricchimento dei fabbricanti di cannoni...

Nell'estate del 17 il clima, in Francia, si fa meno favorevole a chi sogna la fine della guerra, le azioni della rivoluzione russa calano perché l'entrata in guerra degli Stati Uniti fa rinascere nei paesi dell'Intesa il sogno di una vittoria (e ciò fa calare le azioni della rivoluzione bolscevica); gli agitatori vengono fermati e messi in campo di concentramento (tra questi Serge) che mette in piedi un gruppo di esuli russi e compare qui la prima riflessione sul tema rivoluzione-democrazia:

Formai ben presto a Précigné un gruppo rivoluzionario russo di una quindicina di militanti e di una ventina di simpatizzanti; non comprendeva che un solo bolscevico, l'ingegnere chimico Krauterkraft, di fronte al quale mi trovai sempre all'opposizione, poiché preconizzava una dittatura spietata, la soppressione della libertà di stampa, la rivoluzione autoritaria, l'insegnamento marxista. (Rifiutò, più tardi, di partire per la Russia.) Noi volevamo una rivoluzione libertaria, democratica meno l'ipocrisia e la debolezza delle democrazie borghesi -, egualitaria, tollerante per le idee e gli uomini, che usasse il terrore ove fosse necessario, ma abolisse la pena di morte. Da un punto di vista teorico, impostavamo malissimo questi problemi, il bolscevico li impostava certamente meglio di noi; dal punto di vista umano, eravamo nella verità infinitamente più di lui. Vedevamo nel potere dei soviet la realizzazione delle nostre aspirazioni e lui pure. La nostra intesa si fondava dunque su un malinteso profondo e su una necessità generale.

Si tratta di questioni che, dopo l'arrivo di Serge in Russia torneranno fuori ripetutamente prima come auspicio e poi come elemento esplicito di dissenso che porterà Serge ad individuare nel leninismo alcuni elementi della successiva degenerazione staliniana e che determineranno anche la sua rottura con il trotkismo.

La permanenza nel campo di concentramento dura sino all'estate del 1918 quando, mentre in Russia infuria la guerra civile, si creano le condizioni per uno scambio: i profughi di Francia in cambio della missione militare francese in Russia arrestata dopo un attentato a Lenin. Così il gruppo parte prima a piedi, sino a Dunkerque e poi verso la Finlandia via mar Baltico; ferrovia e poi di nuovo a piedi sino al confine: La sentinella rossa alla quale, soffocando di gioia, gridammo: Salve, compagno!, crollò il capo, poi ci chiese se avevamo del pane. Ne avevamo. Tieni, prendi. La rivoluzione ha fame...Si animarono quando offrimmo loro della roba in scatola. Allora, non si ha fame in Francia? Hanno ancora pane bianco laggiù?. Chiedemmo loro dei giornali, non ne ricevevano.

E' il gennaio del 1919 e finalmente Serge arriva a Pietrogrado.


3. L'angoscia e l'entusiasmo (1919-1920)


Il terzo capitolo riguarda due soli anni ma è fondamentale perché si racconta della impressione di Serge di fronte agli entusiasmi e ai problemi della rivoluzione oltre che del II congresso della internazionale comunista cui Serge partecipa come stretto collaboratore di Zinov'ev: il titolo è paradigmatico (entusiasmo ma anche angoscia). Ci sono tante cose che non vanno ma la rivoluzione viene prima di tutto: la fame e la carestia, la guerra civile e la lotta contro le armate bianche, il partito che comincia a diventare un luogo in cui conviene accasarsi, la Ceka, gli altri partiti e movimenti rivoluzionari (menscevichi, socialisti rivoluzionari, anarchici) che in parte collaborano e in parte criticano.

Carestia: Ci davano in un centro di accoglienza razioni minime di pane nero e di pesce secco. Mai ancora nessuno di noi aveva conosciuto così terribile cibo. Delle giovani donne con fasce rosse e dei giovani agitatori occhialuti ci riassumevano lo stato delle cose: Carestia, tifo, controrivoluzione dappertutto. Ma la rivoluzione mondiale ci salverà. Lo sapevano con maggiore certezza di noi, i nostri dubbi li insospettivano a momenti.

Il rapporto con Zinov'ev: Zinov'ev, invece, presidente del soviet, affettava una sicurezza straordinaria. Ben rasato, pallido, il viso un po' gonfio, la capigliatura abbondante e ricciuta, lo sguardo grigio-azzurro, si sentiva semplicemente al suo posto al vertice del potere, essendo il più antico dei collaboratori di Lenin al Comitato centrale; ma da tutta la sua persona emanava anche una sensazione di mollezza e come di inconsistenza nascosta. Una spaventosa reputazione di terrore lo circondava all'estero e glielo dissi. Certo rispose sorridendo, i nostri modi plebei di batterci non piacciono. E fece un'allusione agli ultimi rappresentanti del corpo consolare che facevano presso di lui dei passi a favore degli ostaggi della borghesia, e che lui mandava a farsi benedire.

Il partito si gonfia: Mosca pareva vivesse un po' meglio di Pietrogrado, accumulando comitati su consigli e direzioni su commissioni. Di questo apparato che mi sembrò funzionasse in gran parte a vuoto perdendo i tre quarti del suo tempo a discutere su disegni ineffettuabili, ebbi immediatamente la peggiore impressione. Esso nutriva già, nella miseria generale, una moltitudine di funzionari più affaccendati che occupati. Si trovavano negli uffici dei commissari signori eleganti, dattilografe carine perfettamente incipriate, uniformi di buon taglio coperte di distintivi e tutto questo bel mondo, che faceva contrasto con la plebe affamata delle strade, per la minima cosa vi rimandava da un ufficio all'altro senza il minimo risultato. Vidi uomini appartenenti al ceto dirigente telegrafare infine a Lenin per ottenere un biglietto ferroviario o una camera all'albergo, cioè alla Casa dei soviet.

I mescevichi: I menscevichi mi parvero mirabilmente intelligenti, probi, devoti al socialismo, ma completamente sorpassati dagli avvenimenti. Rappresentavano un principio giusto, quello della democrazia operaia, ma in una situazione così piena di pericoli mortali che lo stato d'assedio non permetteva il funzionamento di istituzioni democratiche. E i loro rancori di partito del compromesso, brutalmente vinto, deformavano il loro pensiero.

L'adesione al bolscevismo: La mia decisione era presa; non sarei stato né contro i bolscevichi né neutrale, sarei stato con loro, ma liberamente, senza abdicare al pensiero né al senso critico. Le grandi carriere rivoluzionarie mi erano facilmente aperte; decisi di evitarle e persino di evitare, per quel che sarebbe stato possibile, le funzioni che implicassero esercizio di autorità... Sarei stato con i bolscevichi perché davano compimento con tenacia, senza scoraggiamenti, con ardore magnifico, con passione riflessa, alla necessità stessa; perché erano soli a darvi compimento, prendendo su di sé tutte le responsabilità e tutte le iniziative e dando prova di una stupefacente forza d'animo. Essi erravano certo su parecchi punti essenziali: con la loro intolleranza, con la loro fede nella statizzazione, con la loro tendenza alla centralizzazione e alle misure amministrative. Ma, se bisognava combatterli con libertà di spirito e in spirito di libertà, era con loro, tra loro.

La Ceka e l'intolleranza: una necessità e un grande rischio per il partito che cerca di cavarsela attraverso il controllo dei vertici. Si tratta di un apparato parallelo con la sua logica, i suoi uomini e la sua autonomia. Gorkij è l'uomo a cui ci si rivolge per le manifeste illegalità e, quasi sempre ce la fa ad intervenire, ma Serge cita alcuni esempi in cui si arriva troppo tardi e il caso limite si ha quando Lenin e Zinov'ev si muovono per l'abolizione della pena di morte, ma ciu penserà la Ceka nel tempo tra la decisione e la sua applicazione a sistemare quelli che, ritiene, debbano essere sistemati. Serge ritiene che il ruolo della Ceka e la gestione della insurrezione di Kronstad siano stati gli elementi di una progressiva deriva totalitaria che porterà la rivoluzione alla sconfitta.

Già la Ceka - commissione straordinaria di repressione della controrivoluzione, della speculazione e della diserzione - arrestava in massa i sospetti, aveva tendenza a decidere da sé la loro sorte, sotto il controllo formale del partito, in realtà all'insaputa di chiunque. Essa diventava uno Stato nello Stato, coperta dal segreto di guerra e da procedure misteriose.

Il partito si sforzava di mettere alla sua testa uomini incorruttibili, come l'ex forzato Dzerzinskij, idealista probo, implacabile e cavalleresco, dal profilo emaciato di inquisitore, fronte alta, naso ossuto, barbetta ispida, un volto tutto stanchezza e durezza. Ma il partito aveva pochi uomini di quella tempra e molte Ceka; queste selezionavano poco a poco il loro personale in virtù dell'inclinazione psicologica.

Si consacravano volentieri e ostinatamente a questo lavoro di difesa interna solo caratteri sospettosi, astiosi, duri, sadici. Vecchi complessi di inferiorità sociale, ricordi di umiliazioni e di sofferenze nelle prigioni dello zar li rendevano intrattabili e, con il rapido influsso della deformazione professionale, le Ceka formavano inevitabilmente dei depravati, inclini a vedere la cospirazione in ogni cosa e a vivere essi stessi in seno a una cospirazione permanente. Considero la creazione delle Ceka come uno degli errori più gravi, più inconcepibili che commisero nel 1918 i bolscevichi quando i complotti, il blocco e gli interventi stranieri fecero perdere loro la testa.

Eppure era chiaro che dei tribunali rivoluzionari, funzionanti in piena luce - il che non esclude le porte chiuse in casi particolari con ammissione della difesa, avrebbero avuto la stessa efficacia, con assai minori abusi e depravazione. Era proprio necessario ritornare a procedimenti di inquisizione? All'inizio del 1919 le Ceka si difendevano male contro la perversione psicologica e la corruzione. Dzerzinskij - lo so - le considerava mezze marce e non vedeva altra soluzione che il fucilare i peggiori cekisti e abolire appena possibile la pena di morte... E il terrore tuttavia continuava perché il Partito intero viveva con la giusta certezza intima di essere massacrato in caso di sconfitta; e la sconfitta era possibile da una settimana all'altra...

A metà di gennaio del 1920 Dzerzinskij, d'accordo con Lenin e Trockij, propose l'abolizione della pena di morte nel paese, a esclusione delle zone di operazioni militari. Il decreto fu adottato dal governo e firmato da Lenin, presidente del Consiglio dei Commissari del popolo, il 17 gennaio. Da qualche giorno le prigioni, stipate di sospetti, vivevano in una atmosfera di attesa febbrile. Esse seppero immediatamente la buona notizia, la fine del terrore! Il decreto non era ancora apparso nei giornali. Il 18 o il 19, a Smolny, dei compagni mi raccontarono a mezza voce la tragedia della notte - di cui mai si parlò a voce alta. Mentre i giornali stampavano il decreto, le Ceka di Mosca e di Pietrogrado liquidavano i loro depositi. I sospetti, portati via di notte a carrettate, fuori della città, venivano fucilati a mucchi. Quanti? A Pietrogrado, tra centocinquanta e duecento, a Mosca, si dice, tra i due e i trecento.

Diveniva evidente - per me e per altri - che la soppressione della Ceka, il ristabilimento di tribunali regolari e dei diritti della difesa erano ormai una condizione della salvezza interna della rivoluzione. Ma non potevamo farci assolutamente nulla. L'Ufficio politico allora formato da Lenin, Trockij, Zinov'ev, Kamenev, Rykov e Bucharin - se non erro - si poneva la questione senza osare risolverla, in preda esso stesso, non ne dubito, a una certa psicosi di paura e di implacabile autorità.

A parziale giustificazione Serge dedica alcune pagine alla descrizione del funzionamento e della pervasività dell'Ochrana, la vecchia polizia segreta zarista; è lui ad occuparsi direttamente dell'archivio con quarantamila fascicoli di agenti provocatori di cui solo tremila smascherati ed è da quella esperienza che Serge pubblicherà il suo libello sulla vigilanza rivoluzionaria che, nei primi anni 70, pubblicammo tramite la CLUED.

Il II congresso dell'internazionale comunista: nell'estate del 1920 si apre il 2° congresso dell'internazionale che può essere considerato il primo vero congresso con 37 delegazioni straniere e con la elaborazione, su proposta di Lenin, dei 21 punti cui i partiti dovevano sottostare per poter aderire (è il congresso che determinerà la rottura nei partiti socialisti dell'occidente). Serge per via della conoscenza delle lingue ha modo di interagire con le diverse delegazioni e conoscere più da vicino il Gotha dei rivoluzionari di tutto il mondo e Lenin. Ne traccia le caratteristiche in pagine molto interessanti sugli aspetti umani a partire da Lenin di cui decsrive il modo di argomentare e il tipo di linguaggio:

Nessuna posa, la semplicità in persona. Abitava ancora, al Cremlino, un appartamentino dei domestici del palazzo. L'inverno precedente anche lui era stato senza riscaldamento. Quando andava dal barbiere faceva il turno, trovando indecente che gli si cedesse il posto. Una vecchia domestica faceva le pulizie e teneva in ordine i suoi vestiti. Sapeva di essere il primo cervello del partito e recentemente non aveva trovato migliore minaccia di quella di dare le dimissioni dal Comitato centrale per appellarsi ai militanti di base! Voleva per sé una popolarità di tribuno, ratificata dalle masse, senza apparato né cerimoniale. Nei suoi modi e nel suo contegno, neppure il minimo indizio di gusto dell'autorità; delle esigenze da tecnico serio che vuole che il lavoro si faccia, si faccia bene e a tempo; la volontà dichiarata di far rispettare le nuove istituzioni, quand'anche fossero deboli fino al punto di essere semplicemente simboliche.

Pietrogrado ha rischiato di essere occupata dai polacchi e dalla controrivoluzione ed è stata salvata dall'impegno e dalle capacità organizzative e militari di Trotckij quando sia Lenin sia Bucharin la davano per perduta; il sogno di una rivoluzione in Occidente, condizione indispensabile per salvare la Russia rivoluzionaria sembra svanire. Si approssimano anni duri e l'ennesima necessità di stringere i denti (prima il comunismo di guerra e poi la NEP).

Quel sentimento del pericolo interno, del pericolo che era in noi stessi, nel carattere e nello spirito del bolscevismo vittorioso, devo dire che lo avevo a un grado acuto. Ero continuamente lacerato dal contrasto tra la teoria ammessa e la realtà, dall'intolleranza crescente, dal servilismo crescente di molti funzionari, dalla loro spinta verso il privilegio.

Quanto al terribile giacobinismo della rivoluzione russa, esso mi pareva ineluttabile. Vedevo nella formazione, parimenti ineluttabile, del nuovo Stato rivoluzionario che cominciava a rinnegare tutte le sue promesse iniziali, un immenso pericolo. Lo Stato mi appariva come uno strumento di guerra e non di organizzazione della produzione. Tutto si compiva sotto pena di morte; giacché la disfatta sarebbe stata per noi, per le nostre aspirazioni, per la nuova giustizia annunciata, per la nuova economia collettiva nascente, null'altro che la morte - e poi, che sarebbe avvenuto? Concepivo la rivoluzione come un vasto sacrificio necessario all'avvenire; e nulla mi pareva più essenziale che di mantenervi o ritrovarvi lo spirito di libertà.


Siamo solo al III capitolo e la recensione si va facendo lunga. Non intendo trasformarla in una telenovela e dunque nella seconda puntata non procederò per capitoli ma per temi: il comunismo di guerra e la NEP, Serge inviato in Europa per conto della III internazionale, le lotte all'interno del PCUS, il testamento politico poco prima dell'arresto, il sistema inquisitorio – il carcere – la deportazione, il giudizio sul sistema sovietico ai tempi di Stalin e la differenziazione rispetto al trotkismo, noterelle sull'antifascismo ai tempi della guerra di Spagna e dei fronti popolari, considerazioni finali dal Messico.


Victor Serge

Memorie di un rivoluzionario (1901-1941)

Editore E/O pagine 440 16 €

 


(1 – continua)

 


Di Victor Serge trovate qui la recensione al suo romanzo più bello, dedicato ai processi scaturiti dall'assassinio di Kirov – Il caso Tulaev

 

Info su Claudio Cereda

nato a Villasanta (MB)il 8/10/1946 | Monza ITIS Hensemberger luglio 1965 diploma perito elettrotecnico | Milano - Università Studi luglio 1970 laurea in fisica | Sesto San Giovanni ITIS 1971 primo incarico di insegnamento | 1974/1976 Quotidiano dei Lavoratori | Roma - Ordine dei Giornalisti ottobre 1976 esame giornalista professionista | 1977-1987 docente matematica e fisica nei licei | 1982-1992 lavoro nel terziario avanzato (informatica per la P.A.) | 1992-2008 docente di matematica e fisica nei licei (classico e poi scientifico PNI) | Milano - USR 2004-2007 concorso a Dirigente Scolastico | Dal 2008 Dirigente Scolastico ITIS Hensemberger Monza | Dal 2011 Dirigente Scolastico ITS S. Bandini Siena | Dal 1° settembre 2012 in pensione | Da allora si occupa di ambiente e sentieristica a Monticiano e ... continua a scrivere
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Una risposta a Memorie di un rivoluzionario – di Victor Serge (1) recensione

  1. Ennio Abate scrive:

    Per me questa descrizione è ancora commovente:

    [Lenin] Nessuna posa, la semplicità in persona. Abitava ancora, al Cremlino, un appartamentino dei domestici del palazzo. L'inverno precedente anche lui era stato senza riscaldamento. Quando andava dal barbiere faceva il turno, trovando indecente che gli si cedesse il posto. Una vecchia domestica faceva le pulizie e teneva in ordine i suoi vestiti. Sapeva di essere il primo cervello del partito e recentemente non aveva trovato migliore minaccia di quella di dare le dimissioni dal Comitato centrale per appellarsi ai militanti di base! Voleva per sé una popolarità di tribuno, ratificata dalle masse, senza apparato né cerimoniale. Nei suoi modi e nel suo contegno, neppure il minimo indizio di gusto dell'autorità; delle esigenze da tecnico serio che vuole che il lavoro si faccia, si faccia bene e a tempo; la volontà dichiarata di far rispettare 

    Se penso ai dirigenti di partito (o pseudopartiti) d'oggi ho i brividi.

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