Il voto del cambiamento e la buona politica

E’ stato un voto per il cambiamento: questo il commento pressoché unanime dei risultati delle elezioni amministrative, ma anche della Brexit. Peccato che non si tratti di una spiegazione. È solo il nome di un imbarazzo.

FACILE CAMBIARE I POLITICI. DIFFICILE CAMBIARE LA POLITICA

Cambiare i politici pare relativamente facile. Cambiare le politiche, sospetta Romano Prodi, è più difficile. E poi che cos’è la politica? È la politic o è la policy? È la Politica o sono le politiche? È il rappresentare o l’amministrare? Qual è la sequenza logico-psicologica che ha spinto molti elettori a determinare le brillanti vittorie del M5S a Roma e, soprattutto, a Torino?

Il punto di partenza da cui muove l’elettore è quello della percezione dell’impotenza della politica oggi, così come è fatta, con i suoi partiti, le sue facce, le sue tradizioni, il suo insediamento sociale. “Impotenza” in ordine alla sfide, alle paure, alle insicurezze, all’esclusione.

Molte persone sperimentano una doppia esclusione: quella socio-economica e quella politica. Quella economica, che nasce, per usare l’espressione di Romano Prodi, dalla percezione che l’ascensore sociale si è bloccato e che dentro si soffoca: sviluppo debole, futuro incerto, impoverimento possibile.

Quella politica: mancanza di strumenti efficaci per tentare di modificare la propria condizione. La scatola degli attrezzi contiene solo la scheda elettorale. Ma il suo uso ripetuto e inefficace ha convinto molti elettori a disertare le urne: un’astensione che tende al 50% dell’elettorato. È il bacino di accumulazione originaria delle rabbie, delle delusioni, del rifiuto della politica come via al cambiamento della propria condizione.

LE RISPOSTE DEL QUALUNQUISMO E DEL POPULISMO

Tuttavia, sotto la cenere della delusione resta viva la brace della domanda politica. Il cosiddetto qualunquismo è portatore di una domanda politica, che si chiude momentaneamente nel silenzio, in attesa della risposta convincente. E’ una risposta passiva.

Il populismo è, invece, una risposta attiva e perciò politica. E’ ora di cambiare! L’idea di fondo è che popolo e istituzioni sono divenuti strutturalmente contrapposti, il basso e l’alto. Bisogna mettere il popolo in alto, dentro le istituzioni. Il popolo deve controllare le istituzioni. Come?

Attraverso l’azione politica. Che consiste principalmente nell’eleggere nelle istituzioni elettive propri rappresentanti che mandino a casaquelli della casta che finora ha occupato le istituzioni, senza essere in grado di risolvere i problemi dell’esclusione socio-economica e politica.

IL BUON POLITICO NON HA FATTO POLITICA. POI ARRIVA CASALEGGIO

Il primo criterio di scelta di tali rappresentanti è che non abbiano mai fatto esperienza precedente di impegno politico in un qualsiasi partito o istituzione. Devono essere vergini di servo encomio rispetto ai partiti storici e alle istituzioni. Se uno non ha mai fatto né politicpolicy, se è totalmente nuovo, allora è il candidato giusto.

E qui entra in campo la Rete o, per meglio dire, il Movimento che la gestisce. Qui tocca a Rousseau – il sistema informatico di Casaleggio jr. – scegliere i candidati! E’ questa la forca caudina occulta. Ora, a chiunque vada a zonzo nella Rete, la politica viene incontro prevalentemente come emozione, invettiva, denuncia, rabbia, insulto…

E le proposte di policy? Quelle sono incerte, plurali e reciprocamente contraddittorie. Le proposte su immigrazione, sicurezza, welfare, Europa, istituzioni, Costituzione, legge elettorale… sono, al momento, strumentali e consapevolmente ambigue, ad un solo fine: accumulare consenso.

PER CAMBIARE NON SI SA COSA

Per cambiare. Ma cosa, come?… questo la nuova politica non lo dice o perché non lo sa o perché non lo vuole furbescamente dire. Sarà costretta a farlo, perché, infine, la prova del budino consiste nel mangiarlo.

Resta una domanda? Come è possibile che la politica sia passata dall’intelligenza delle cose all’emozione delle cose? La politica e l’amministrazione si sono sempre fondate sulla conoscenza dei dati di realtà, ancorché spesso onnubilata dalle ideologie– che sono costruzioni di modelli mistificati della realtà – che stavano alle spalle.

La conoscenza, a sua volta, era costituita dalla realtà vista in modo sincronico e diacronico, immersa nel sapere storico consapevole. Se la politica degrada, a livello di massa, dal sapere alla rabbia, dalla razionalità all’emozione, grande è il fallimento di chi l’ha fatta, finora, grandi sono le responsabilità politiche, culturali, educative delle classi dirigenti, politiche e non, del Paese. Incolpare il popolo aiuta poco.

LA BREXIT. “STIAMO CONSUMANDO LE SEMENTI”

Tocca alle classi fin qui dirigenti cambiare. L’eredità dei nonni costituenti è stata malamente sperperata dai loro figli. Ora, come scrisse Karl Barth nel 1925, stiamo consumando le sementi. La Brexit conclude simbolicamente il dopo-guerra in Europa. Viene avanti un mondo diverso da quello immaginato. Tornare a guardare la cosa stessa, spogliando il cuore e l’intelletto dei detriti. E’ la raccomandazione di Baruch Spinoza: Humanas actiones non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere ( le azioni umane non vanno derise, compiante o detestate, ma capite.)

 

Info su Giovanni Cominelli

Giovanni Cominelli, iscritto a Filosofia all’Università Cattolica di Milano dal 1963 al 1965, alla Frei Universität nel 1965/66, laureato in filosofia con Enzo Paci all’Università statale di Milano nel marzo del 1968. Negli anni ’70 é stato membro della Segreteria nazionale del Movimento studentesco/Movimento lavoratori per il Socialismo. Eletto nel 1980 in Consiglio comunale a Milano per l’MLS-PDUP nel 1980, nel 1981 è subentrato come Consigliere regionale a Luciana Castellina, fino al 1990. Nel novembre del 1982 è entrato nel PCI, su posizioni riformiste e miglioriste. E’ uscito dal PCI-PDS nel 2000, aderendo ai Radicali fino al 2004. Iscritto al PD dal 2015. Esperto di politiche scolastiche, dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la Valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta della Fiera di Verona dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Compagnia delle Opere dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Svolge attività di formazione nelle scuole. Collabora alla Rivista mensile Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative su Il Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009). Oggi editorialista de L’ECO DI BERGAMO e di santalessandro.org, settimanale della Diocesi di Bergamo. Scrive sul Sussidiario.
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