un po’ la conosco – di Bruno Petruccci

Gran parte dei paesi africani crescono di popolazione con un ritmo annuale di 30 milioni/anno (45/anno previsti nel 2050). Di questo sono responsabili l’elevato tasso di fertilità (il più alto al mondo), un basso livello culturale, il peso devastante delle religioni islamica e cattolica; quest’ultima solo recentemente e molto timidamente sta rivedendo le sue posizioni.

In più l’elevato tasso di povertà e la mancanza di un minimo stato sociale, fanno sì che l’unico modo di procurarsi una pensione da vecchi sia quello di fare tanti figli e sperare che almeno uno diventi benestante.

Con questi tassi di crescita è matematicamente impossibile arrivare a livelli di crescita del PIL e dell’occupazione che pareggino (non parliamo nemmeno di superare) l’incremento demografico.
In Africa la morte è considerata normale a qualunque età (a partire dalla nascita).

Le guerre tribali, favorite dalla definizione dei confini post-coloniale e dalla povertà (vedi cosa succede oggi in Europa quando si teme la riduzione di un ben elevato welfare a causa degli immigrati) contribuiscono a tenere i paesi Africani nel sottosviluppo e nell’incertezza.

L’intensità del fenomeno migratorio è quindi destinato ad aumentare. Chi pensa che la destra o i 5 Stelle possano porvi un argine è un illuso. Anche se ritirassimo le nostre navi dagli obblighi umanitari, il flusso continuerebbe e sarebbe solo indebolito dalle morti più numerose, con buona pace delle nostre coscienze.

L’Italia è un molo dell’Europa al centro del Mediterraneo e vicino alle coste africane. L’unica speranza, a parte rallentare i flussi ponendo dei limiti all’azione delle ONG che si occupano di salvataggio, risiede nell’intervento a monte: supportare con finanziamenti finalizzati allo sviluppo i paesi africani che accettano come contropartita un maggiore controllo dell’emigrazione, il rimpatrio dei migranti economici, un inizio di controllo delle nascite. L’altra misura efficace potrebbe essere la creazione di una cintura di controllo presso i confini meridionali della Libia, con più semplici misure di rimpatrio. Entrambe le misure richiedono elevati finanziamenti ed un impegno continuativo dell’intera unione europea. Ah, dimenticavo, potremmo sempre invadere e pacificare la Libia, da soli, ovviamente.

L’appello di Gigino Dima a Macron è un patetico tentativo di accattivarsi le simpatie degli italiani senza nessuna chance di impatto sulla realtà. Se ce ne fosse bisogno un’ennesima dimostrazione di populismo becero, efficace solo all’accaparramento di voti. Non vedremo mai Marsiglia o Barcellona allestire tende per il riconoscimento nei loro porti o campi di accoglienza profughi nell’entroterra e, credo, nemmeno Polonia o Ungheria rispettare le quote di accoglimento di rifugiati politici accertati.

La palla resta a noi e l’unica speranza è quella di muovere l’Europa a finanziare le misure che accennavo sopra. Il resto sono chiacchiere e propaganda politica.
 

Info su Bruno Petrucci

Geologo professionista, nato a Salerno 1946 e laureato a Milano nel 1975. Attività di pianificazione sismica, tramite studi di micro-zonazione nel post-terremoto dell’Irpinia (1980) e successivamente tra il 1986 ed il 2009 nel territorio Lombardo ove ha operato parallelamente nell’ambito della pianificazione territoriale alla luce del rischio idrogeologico. Nello stesso periodo si è occupato di studi di fattibilità grandi opere (strade e dighe) e ricerche idriche in Italia, Asia, Sud America ed Africa. Attualmente impegnato in indagini idrogeologiche e ricerche di acque sotterranee in paesi in via di sviluppo, particolarmente in Somalia, Kenya, Tanzania e Libano. Attività di insegnamento nell’ambito del Master “Le risorse Idriche nei Paesi in Via di Sviluppo” presso l’Università di Milano Bicocca dal 2004 ad oggi. Iscritto all’Ordine Nazionale dei Geologi dal 1984.
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