Berlusconi, dal liberismo desiderante al liberal-populismo – di Giovanni Cominelli

Ora che anche Silvio Berlusconi è entrato nella “magna viventium et defunctorum communio”- destino cui spiritosamente si augurava di poter sfuggire – ora che la Guerra dei Trent’anni scatenata dall’antiberlusconismo perenne è conclusa, viene più facile fare un bilancio della sua avventura politica, sullo sfondo, appunto, della storia dell’ultimo trentennio del Paese.

E anche di anni più indietro. Si era pur sempre paragonato a Cavour e a De Gasperi! Perché si era proposto di risolvere il problema che i due grandi leader avevano lasciati aperto e che continua tormentare la storia dell’Italia: la costruzione di una statualità nazionale in cui gli Italiani possano riconoscersi.

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I voti si contano in cifra assoluta – Siena

Siena veniva da una esperienza di lista civica di centro destra (De Mossi) finita non benissimo e che rappresentò 5 anni fa la decisione dei senesi di dire basta all'epoca PCI+PSI, PCI, PDS, DS, PD con gli annessi e connessi del crack del Monte dei Paschi.

L'esperienza non è stata esaltante ma il PD, dopo la consiliatura Valentini, è rimasto ancora fuori dai giochi nonostante un risultato di tutto rispetto che, in termini percentuali lo colloca come primo partito della città.

Si è arrivati all'appuntamento di maggio 2023 con un faticoso lavoro durato mesi: otto candidati a Sindaco, 23 liste, 615 candidati per circa 30 mila votanti. In un quadro del genere era certo che il sindaco non sarebbe stato eletto al primo turno e così è stato. Alle politiche del 2022 era andata così: la coalizione di centro sinistra con l'ex presidente della Regione Enrico Rossi aveva avuto il 38%, il centro destra con Fabrizio Rossi il 35%, Italia Viva con Stefano Scaramelli il 12.6, il M5* con Giacomelli l'8.7%.

Erano elezioni comunali e dunque in prima battuta il quadro è apparso diverso da quello delle politiche per le specificità locali e l'effetto sparpagliamento dovuto alle liste civiche.

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La regressione culturale della destra – di Alvaro Ricotti

Si fa un gran parlare, di questi tempi, di cultura di destra e cultura di sinistra. Dopo il successo elettorale la Dx, in una sorta di rivalsa revanscista, sta sferrando un attacco tendente a ribaltare quello che chiama egemonia culturale della Sx. Ritiene che sia finalmente giunto il momento di scalzare questa egemonia che pervade l'Italia dal secondo dopoguerra per riaffermare e ripristinare una vera cultura italiana non inquinata da un pensiero estraneo alla nostra tradizione.

Parafrasando il "Dio lo vuole" di papa Urbano II del 1095 nell'indire la prima crociata, la Meloni con altrettanta enfasi e un po' meno pudore, lancia il suo "L'Italia lo vuole" e "L'Italia ce lo chiede". Parte così la sua crociata con il vessillo "Dio, Patria, Famiglia" issato sull'alabarda ideologica contro i simboli della decadente e agonizzante cultura di Sx.

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Imma Tataranni sostituto procuratore

Ho visto su Rai Play le due stagioni per un totale di 14 episodi di due ore ciascuno: la Basilicata e Matera, la magistratura inquirente e la polizia giudiziaria, il mondo della provincia meridionale tra libere professioni e istituzioni dello stato, una donna forte e dalla intelligenza fuori dal comune, abiti improponibili cambiati in continuazione, un incedere da caporal maggiore, la mafia e il contiguo mondo degli affari, i problemi di famiglia tra anziani e adolescenti in crescita, l'immigrazione e le adozioni, uno spaccato dell'Italia con i suoi problemi e le sue contraddizioni.

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Calenda come Pierino … quello del lupo

Il primo sentimento è quello di amarezza. Carlo Calenda ha dimostrato una idea della leadership del tutto inadeguata al progetto: unire il centro liberal democratico e costruire la casa dei riformisti. Ha costantemente alzato il prezzo chiedendo a Italia Viva di farsi da parte, di tacere, di non esistere per non disturbare il manovratore e alla fine ha rotto quando è apparso chiaro che il congresso sarebbe stato un congresso serio e con una segreteria contendibile.

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