dai postulati, al Momento angolare, alla RMN … fino a John Bell e all’entanglement

La apertura del capitolo è dedicata ai 6 postulati che costituiscono la ossatura della intera MQ e vedrete che si leggono con piacere e senza bisogno di appelli né alla fede né a competenze matematiche improponibili. Lo schema della teoria è semplice, accattivante anche se contro intuitivo.

Oltre ad enunciarli ho dedicato molta attenzione ad illustrarne il significato e a sottolinearne i nessi reciproci.

Il paragrafo successivo è interamente dedicato al principio di indeterminazione facendone vedere la dipendenza dalla struttura assiomatica della teoria. Tutte le coppie di operatori che non commutano, cioè tutte le coppie di operatori  e Ê e  per i quali ÂÊ – Ê risulta diverso da zero sono soggetti ad una indeterminazione quando si cerchi di determinarne simultaneamente il valore; tale indeterminazione è soggetta ad una medesima legge.

Il terzo paragrafo è interamente dedicato alla teoria quantistica del momento angolare una osservabile caratterizzata da una stranezza legata al tema della non commutazione: si tratta di un vettore per il quale sono determinabili una componente e il modulo mentre altre due sono libere e da queste regole seguono le caratteristiche del secondo e terzo numero quantico dei modelli atomici. Data la importanza del tema ho esplicitamente svolto i calcoli che si basano su una coppia di operatori detti di shift perché fanno crescere e decrescere di una stessa quantità i valori del momento angolare ogni volta che si usano.

Il quarto paragrafo tratta di quel particolare momento angolare detto spin che, rispetto ai momenti angolari orbitali, presenta il vantaggio di essere collocato in uno spazio di Hilbert a due dimensioni e di essere pertanto comodo da maneggiare.

Lo spin viene analizzato seguendo due approcci: una introduzione basata sulla esecuzione di esperimenti ideali alla Stern & Gerlach e una seconda trattazione classica basata sulla costruzione delle cosiddette matrici di Pauli, gli operatori introdotti da Wolfang Pauli subito dopo la scoperta dello spin per collocarlo all’interno della struttura teorica della Meccanica Quantistica.

Mentre mi documentavo qua e là, sullo spin ho trovato un testo che, seppur a livello elettronico, e non nucleare, si occupava della trattazione quantistica del fenomeno della risonanza degli spin, così mi è venuta l’idea di approfondire ed è saltato fuori un ampio paragrafo dedicato ai principi di funzionamento della risonanza magnetica nucleare che, in ossequio al politicamente corretto secondo cui la parola nucleare evoca fantasmi, negli states hanno iniziato a chiamare MRI magnetic resonance imaging.

Mi sono dedicato principalmente agli aspetti fisici di funzionamento fermandomi alla soglia degli algoritmi che consentono di trasformare i segnali elettromagnetici di riassestamento in immagini, ma ne è venuto fuori qualcosa di interessante e che raramente si ritrova in un corso di fisica.

La ultima parte del capitolo è dedicata ad argomenti che, quando mi sono laureato erano considerati cose da rompisctole, la discussione su alcuni aspetti strani e inattesi della Meccanica quantistica.

Si tratta di questioni nate intorno alle insoddisfazioni epistemologiche di Einstein che, senza mettere in discussione l’impianto della MQ che aveva contribuito a creare, trovava insoddisfacenti alcune conclusioni che avevano a che fare con il collasso della funzione d’onda quando si esegue una misura.

Per alcuni sistemi quantistici, caratterizzati dalla non separabilità, cioè dalla impossibilità di separare il sistema nei suoi singoli componenti, si verificano (a livello di esperimento mentale) fatti che Einstein definiva sinistri (o diabolici): la misura su uno dei componenti determinerebbe istantaneamente il valore della stessa grandezza sugli altri componenti del sistema a qualsiasi distanza essi si trovino.

La discussione su queste faccende, innescata da Einstein negli anni 30 del 900 è andata avanti come se quelli che ponevano certe questioni fossero dei rompiballe perché l’impianto della MQ era solido e i risultati lo stavano a dimostrare.

Ma tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70 un fisico irlandese del CERN che, ufficialmente si occupava di acceleratori, ma nel tempo libero rifletteva sui fondamenti, tirò fuori un teorema del tutto generale (più generale della MQ) che consentiva di sottoporre ad indagine sperimentale l’intera questione.

Una ipotetica teoria realista, che bandisse le indeterminazioni attraverso variabili nascoste, che rispettasse il principio di località secondo cui nessuna informazione e interazione si può propagare a velocità superiore alla velocità della luce, avrebbe dovuto rispettare una determinata diseguaglianza che invece era disattesa dalla MQ.

Fu così che a partire dagli anni 70 iniziarono una serie di esperimenti di verifica del comportamento di sistemi entangled, quelli per i quali si prevedevano i comportamenti sinistri.

L’esperimento decisivo fu realizzato da una equipe francese guidata da Alain Aspect. Le insoddisfazioni di Einstein erano malposte. La MQ è intrinsecamente non locale e gli esperimenti le danno ragione.

Degli esiti ne tratterò in un altro capitolo perché questo viaggia verso le 70 cartelle che, per un capitolo sono tante.

Se arriverete sino in fondo vedrete che, questa volta, gli esercizi e i problemi sono davvero pochi. E’ stata una scelta consapevole; gli aspetti tecnici lasciamoli agli specialisti e cerchiamo invece di rendere consapevoli le persone del fatto che il mondo, su scala microscopica, presenta aspetti inattesi. Cambia la scala e cambiano le leggi.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0606 la meccanica quantistica II parte


 




niente paura è solo Schrödinger in compagnia di Hilbert

Inizialmente avevo pensato che, per sbrigarmela con la meccanica quantistica in un corso di Fisica Generale, sarebbe bastato un solo capitolo ma non è andata così. I capitoli, abbastanza corposi, sono diventati due e probabilmente per dare conto di tutti gli sviluppi più recenti diventeranno tre.

Questo primo capitolo, nella prima parte riprende la parte introduttiva che avevo scritto quando ancora insegnavo (nel 2007). L’idea è quella di fornire un quadro di quella fase incasinata iniziata a fine XIX secolo e proseguita sino ai primi due decenni del XX.

Dopo che con gli sviluppi della sintesi maxwelliana dell’elettro‌magnetismo e con la riduzione della termodinamica classica (con le sue leggi generali piuttosto bizzarre) alla meccanica statistica, nel mondo della scienza si era pensato che, dà lì in poi, si sarebbe trattato solo di applicare l’indagine del mondo fisico a modelli che la riconducessero alle leggi generali già note.

Come sappiamo non è andata così; le nuove scoperte evidenziavano originalità della natura che mal si conciliavano con le leggi note. Per esempio, man mano che si faceva strada (con la scoperta dell’elettrone e con il lavori di Rutherford sulla esistenza di un nucleo atomico) una ipotesi di modello atomico di tipo planetario, nascevano problemi legati al fatto che le cariche elettriche in moto circolare (e dunque accelerato) avrebbero dovuto emettere onde elettromagnetiche perdendo energia e gli atomi planetari sarebbero collassati in una infinitesima frazione di secondo.

Il primo paragrafo riprende quanto già descritto nel capitolo 4 relativamente a questo procedere a tentoni ogni qual volta un nuovo esperimento portava alla scoperta di una nuova bizzarria; pian piano ci si rende conto che bisogna rovesciare il quadro teorico di riferimento e creare qualcosa che la facesse finita con le ipotesi ad hoc.

Il secondo paragrafo è dedicato alle diverse strade che vennero intraprese per arrivare alla nuova teoria: nuove regole costruite a partire solo da grandezze osservabili (Heisenberg), allargamento alla nuova meccanica di quanto era stato fatto in ottica nel passare dall’ottica geometrica all’ottica fisica facendo riferimento ad alcuni schemi teorici (i principi variazionali sviluppati in meccanica razionale) in modo che si potessero applicare al nuovo mondo le leggi e i formalismi matematici delle onde (Schrödinger).

Il secondo approccio si è rivelato più semplice da maneggiare e ancora oggi è quello utilizzato in tutto il mondo per presentare la MQ. Se ne occupa il III paragrafo interamente dedicato alla equazione di Schrödinger: processo euristico che ne giustifica la costruzione, forma matematica e principali caratteristiche (primi cenni agli operatori e significato della funzione di stato Y).

Il quarto e quinto paragrafo hanno una impostazione tecnica e riguardano la manipolazione e l’uso della equazione di Schrödinger: scomposizione in dipendenza spaziale e temporale, costruzione delle soluzioni nel caso di una buca di potenziale finita e infinita. Cercando le soluzioni nel caso della buca finita e nella successiva trattazione della barriera di potenziale avrete l’occasione di capire cosa si intendesse in fisica teorica con lo slogan giù la testa e calcolate.

Per un verso avrete la soddisfazione di capire come salta fuori l’effetto tunnel (uno degli effetti sbalorditivi della MQ) e per l’altro vedrete come la costruzione delle soluzioni sia una cosa concettualmente abbastanza semplice ma operativamente complessa per il continuo ricorso a trucchi, cambi di variabile, costruzione grafica delle soluzioni.

L’ultimo paragrafo tratta esclusivamente dei richiami di matematica necessaria alla trattazione generale della M.Q. di cui si occupa il capitolo successivo.

La MQ, nella sua formulazione generale, ha come protagonisti gli operatori, una generalizzazione del concetto di funzione. Gli operatori (le osservabili) sono oggetti matematici che vengono costruiti in maniera che ad ogni grandezza fisica classica corrisponda un operatore quantistico e sia questo operatore a darci le conoscenze sul mondo fisico; ma, attenzione, esistono anche operatori quantistici che non hanno una grandezza fisica tradizionale corrispondente, per esempio lo spin.

Gli operatori agiscono su oggetti chiamati vettori, che operano nel campo dei numeri complessi e che sono la generalizzazione molto ampia degli ordinari vettori dello spazio a 3 dimensioni.

Tutto ciò avviene in uno spazio astratto, detto spazio di Hilbert e l’ultimo paragrafo del capitolo serve a dare al lettore gli strumenti per comprendere la struttura assiomatica della teoria quantistica di cui si occupa il capitolo 06.

Avrete capito che non è obbligatorio leggere tutto o comunque leggere tutto con lo stesso grado di attenzione relativamente ai dettagli. Tutto dipende dal grado di comprensione che vorrete raggiungere. Questo è il livello di compromesso che mi è sembrato utile e necessario.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0605


 




la forza di Lorentz ne combina di tutti i colori

Il titolo del capitolo “la forza magnetica e le sue applicazioni” va compreso nella sua interezza; descrivere le caratteristiche della forza magnetica è abbastanza semplice, ma sono le svariatissime applicazioni di questa forza a farla da padrone e, non a caso, tra un paragrafo l’altro ci sono ben 27 esercizi abbastanza tosti e svolti in maniera dettagliata.

La forza magnetica nella forma della interazione tra correnti è stata scoperta e studiata da Ampere a inizio 800 nello stesso contesto in cui è nata l’idea di corrente elettrica. Il primo paragrafo è dedicato alla illustrazione di quel contesto storico e agli sviluppi che ne ha fatto l’elettrotecnica con la invenzione degli strumenti di misura a bobina mobile e dei motori a corrente continua. Sul piano delle applicazioni, esemplare il wattmetro, il misuratore della potenza elettrica dove interagiscono magneticamente due bobine una legata alla corrente e l’altra alla d.d.p.

Dopo i doverosi richiami alla storia si passa a questioni in cui il moto delle cariche elettriche si lega strettamente alla fisica moderna e alle sue evoluzioni.

La forza magnetica è di tipo trasversale rispetto al moto delle cariche ed ecco comparire cariche che si muovono su traiettorie circolari. Siamo nei primi decenni del 900 e sulle lastre fotografiche appaiono due particelle che si muovono su due circonferenze tangenti formando un otto. Una è un elettrone e l’altra che, si muove allo stesso modo ma in verso opposto, deve avere carica positiva; siamo in presenza della prima scoperta dell’antimateria.

Le cariche in moto in presenza di campi magnetici possono avere energie anche molto grandi, maggiori di mc2 e in questo caso i calcoli richiedono l’uso della teoria della relatività perché, man mano che l’energia cresce, quella che aumenta non è più la velocità ma la massa della particella. Alcuni esercizi svolti vi insegnano il da farsi.

Il percorso storico legato al 900 prosegue con la presentazione dettagliata dei lavori di J.J. Thomson che portarono, partendo dai raggi catodici, alla scoperta del carattere granulare della elettricità e alla necessità di ripensare l’intera struttura della materia; tutte cose realizzate usando campi elettrici incrociati con campi magnetici, tubi di vetro, pompe a vuoto e grandi capacità sperimentali.

Il successivo balzo in avanti riguarda la scoperta del primo acceleratore di particelle, il ciclotrone, che sfrutta una strana proprietà delle cariche in moto in un campo magnetico: fanno traiettorie circolare con un raggio sempre più ampio man mano che si fa crescere la loro energia ma, meraviglia delle meraviglie, impiegano sempre lo stesso tempo a fare un giro e così gli impulsi di campo elettrico possono essere dati sempre con lo stesso ritmo almeno finché non si entra nel dominio della relatività.

Quando mi sono iscritto a fisica nel 1965, di fianco all’istituto, era stato appena terminata la costruzione di un grande ciclotrone che ha funzionato sino agli anni 80: ferro, rame, tanta energia e tante piccole reazioni nucleari che, con pazienza i laureandi leggevano guardando pellicole fotografiche nel capannino, una baracca di fianco al capannone, dove stava il ciclotrone.

I ciclotroni sono stati superati quando c’è stato bisogno di energie sempre più grandi, ma ci ha pensato la medicina nucleare a farli tornare di moda: oggi si usano come generatori di proiettili  per tutte quelle applicazioni diagnostiche e terapeutiche in cui servono isotopi radioattivi s vita media così breve che occorre fabbricarseli in casa. Se vuoi usare la PET (tomografia ad emissione di positroni) ti serve un ciclotrone.

I ciclotroni nella ricerca sulle particelle e in quella sui costituenti ultimi dell’universo sono stati sostituiti da un’intera famiglia di acceleratori circolari, relativistici e sempre più grandi, i sincrotroni; acceleratori così grandi che i laboratori ormai dentro allo strumento e non viceversa.

Descrivo il più grande oggi esistente quello del CERN con il suo anello di 27 km a 100 m di profondità con i 4 laboratori messi in grandi caverne in 4 punti della circonferenze. I magneti, che devono produrre campi molto intensi, sono messi lungo l’intero anello stanno immersi in elio liquido a 2 kelvin (–271 °C) per poter funzionare in condizioni di superconduttività. Pensate alle complicazioni pratiche …

Al CERN, attualmente si fanno scontrare protoni e antiprotoni che hanno ormai raggiunto l’energia di una zanzara, ma la zanzara è grande un millimetro e invece i protoni sono mille miliardi di volte più piccoli. Ma la ricerca va avanti ed europei e cinesi pensano al prossimo step con un anello di 100 km che lavorerà ad energie più basse ma utilizzerà elettroni ed antielettroni che consentono di tagliare la materia molto meglio, perché, a differenza dei protoni che sono fatti di quark, gli elettroni sono genuinamente elementari.

Dopo avervi parlato degli acceleratori vi parlo di una macchina molto più semplice, lo spettrografo di massa, sempre basato su campi elettrici e magnetici incrociati che ci ha consentito di misurare le masse atomiche e di scoprire che, quasi tutti gli elementi, hanno uno o più fratelli con le stesse proprietà chimiche ma masse leggermente diverse: gli isotopi.

Infine una scoperta del tardo 800 ma che è diventata importantissima nel 900 per indagare la capacità dei solidi di condurre l’elettricità: l’effetto Hall.

Con questo effetto sempre basato sulle stranezze dei campi magnetici siamo stati in grado, elemento per elemento, di misurare quanti elettroni per ogni atomo vengono messi a disposizione per la conduzione e di scoprire che quella che è stata chiamata conduzione per buchi nei semiconduttori (si veda il capitolo 0505) esiste per davvero nella forma di buchi: a nuoversi sono in realtà sempre e solo gli elettroni, ma l’effetto globale, che danno è quello di un moto di cariche positive in verso contrario ed è l’effetto Hall a dimostrarlo in maniera inequivocabile.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0507


 




ma il magnetismo esiste o ha bisogno delle correnti?

C’è una novità che scatta da questo post; i capitoli del corso di fisica contengono una introduzione leggibile anche da chi non entrerà nel merito. E la introduzione uscirà sul mio sito man mano che procedo alle revisioni. Ecco la prima.

Lo scopo di questo capitolo è quello di introdurre la grandezza fondamentale che riguarda i fenomeni magnetici e cioè il vettore induzione magnetica .

Il capitolo si apre con una introduzione di carattere storico-fenomenologica come è nella impostazione di questo corso. La parte di tipo fenomenologica riassume i semplici esperimenti (pratici e/o mentali) che, partendo dalla esistenza dei magneti naturali consentono di arrivare a parlare di poli magnetici e di stabilirne nomenclatura e caratteristiche.

E’ bene sapere che il magnetismo, in origine, è stato studiato come un fenomeno a sé stante e dunque a fine 700 è stata enunciata una legge basata sull’inverso quadrato della distanza in cui comparivano le masse magnetiche e una costante universale (la permeabilità magnetica) che giocava il ruolo della costante dielettrica e. Quando iniziai a studiare la fisica (negli anni 60 del XX secolo) molti testi continuavano ad introdurre il magnetismo attraverso la legge di Coulomb magnetica.

E’ solo a inizio 800 che, osservando le interazioni tra correnti elettriche, che se ne studiano le reciprocità e si arriva a studiare il magnetismo come effetto di correnti elettriche o di cariche in moto. Nel primo paragrafo trovate la genesi e cenni all’epilogo.

Nel secondo paragrafo e terzo vengono descritti i fatti sperimentali che consentono di arrivare alla definizione del vettore B e contestualmente dare la legge che descrive la forza magnetica. La definizione non è semplice da digerire perché il campo magnetico presenta problematiche complicate di orientamento e sul piano delle complicazioni matematiche richiede la introduzione del prodotto vettoriale.

Si definisce la unità di misura, una unità dimensionata malamente perché raramente si hanno campi magnetici dell’ordine del Tesla, ma trattandosi di una grandezza derivata è tutta colpa della definizione dell’unità di corrente. Per altro, con lo sviluppo dei superconduttori, e dell’uso che se ne fa nelle apparecchiature di risonanza magnetica, disponiamo finalmente di campi magnetici in aria dell’ordine del Tesla.

Il quarto paragrafo introduce le due leggi fondamentali dell’elettromagnetismo  che consentono, dato un sistema di correnti elettriche, di determinare punto per punto nello spazio il valore del vettore induzione magnetica. Si tratta di due leggi strutturalmente diverse: la prima ha natura integrale e descrive una proprietà complessiva (nello spazio) del campo magnetico; la seconda ha invece natura differenziale e ci dice, in ogni punto dello spazio quale sia il contributo dato al campo magnetico da ogni piccolo elemento di corrente elettrica.

Come si dimostrano? Non si dimostrano; sono vere e basta e, come molte leggi generali della fisica altro non sono che nostre astrazioni che consentono di descrivere i fenomeni fisici in forma del tutto generale.

Attraverso queste leggi vengono stabilite quelle che esprimono il campo magnetico generato da configurazioni semplici di correnti elettriche quali le spire circolari o i solenoidi (termine introdotto da Ampere) che esprime un insieme di spire ravvicinate (gli avvolgimenti che fanno da base al funzionamento di quasi tutte le macchine elettriche).

Nel quinto paragrafo compare una nuova grandezza fisica che sembra messa lì tanto per dire: il momento magnetico una grandezza che viene definita per l’ago magnetico e per la spira circolare percorsa da corrente. Ma perché complicarsi la vita?

La risposta sta nel fatto che, in fisica atomica e nucleare compaiono proprietà degli atomi e delle particelle elementari che richiedono, per essere descritte, proprio il momento magnetico. Ma c’è di più, per le particelle elementari il momento magnetico è una proprietà intrinseca e non ha bisogno di correnti elettriche. E’ così perché la natura è fatta così. Dunque impariamo a conoscerlo perché ci servirà…

Rispetto alla versione ho completamente eliminato un paragrafo che avevo scritto riscritto più volte e ogni volta che lo rileggevo mi lasciava insoddisfatto: si trattava di descrivere il magnetismo come elemento non sostanziale, ma figlio del campo elettrico in ambito relativistico. Su questo terreno è inutile cercare di divulgare senza introdurre la sostanza (le trasformazioni di Lorentz per il campo elettromagnetico). Non è roba da corsi di fisica generale ed è meglio lasciar perdere.

Il capitolo si chiude con una serie di esercizi di calcolo del campo magnetico utilizzando le due leggi fondamentali. Sono tutti problemi che richiedono l’utilizzo dell’analisi matematica, seppur a livello elementare (in particolare dei rudimenti del calcolo integrale).

Si tratta di problemi molto formativi che ho selezionato con cura dalla miniera di proposte di un testo classico russo (Irodov) che è ancora il testo di riferimento in ambito internazionale. Naturalmente le soluzioni dettagliate sono fatte da me. Consiglio questi problemi (sei in tutto) perché aiutano a strutturare le proprie capacità di problem solving e perché in qualche caso smentiscono le leggi sui solenoidi spesso presentate come vere quando tali non sono.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0506


 




elettrotecnica ma con gli occhi del fisico

Il titolo la dice lunga sulle caratteristche del capitolo 0505. In origine l’idea era quella di fornire gli elementi essenziali per la applicazione della legge di Ohm; ma poi …

Mettendo mano al secondo paragrafo che rigaurda il funzionamento di pile ed accumulatori mi sono accorto che vabbeh raccontare un po’ di storia della fisica entrando nel merito delle pile a depolarizzazione (tipo pila Daniell), roba di inizio 800 senza le quali non si sarebbero potuti condurre degli esperimenti decenti sulle correnti elettriche e scoprire molte delle leggi del magnetismo…

Vabbeh ma che senso ha parlare degli accumulatori al piombo che la fanno ancora da padroni sulle auto, ma sono destimati a sparire? Appunto e così ho deciso di entrare anche nel merito dei nuovi accumulatori di energia elettrica che tutti utilizziamo da qualche anno: le batterie al Nichel Metal Idruro e quelle al Litio.

Le prime dominano ancora tutto il mondo delle ricaricabili e sono destinate a durare perché hanno una tensione (1.2 V) che si avvicina al valore di 1.5 V delle pile alcaline (non ricaricabili), perché replicando 1.2 volt si possono costruire valori di d.d.p. per tutti i gusti, perché sono riciclabili e poco inquinanti, perché costano poco e, se maneggiate correttamente durano una vita.

Per un certo temo la industria automobilistica ha pensato anche di utilizzarle per l’auto ibrida (Toyota e Honda) dove la batteria ha solo una funzione di tampone per il recupero energetico; ma ormai ci si sta orientando su quelle al litio data la maggiore efficienza (in termini di capacità elettrica) come sulla Fiat Panda che possiedo.

Sia per le batterie al Ni Metal Idruro, sia per quelle alle Litio ho dato una panoramica fornendo in primo luogo le reazioni di ossidoriduzione che le fanno funzionare.

Dopo i primi due paragrafi viene la parte di elettrotecnica: collegamento delle resistenze, reti, reostati e potenziometri, strumenti di misura, shunt, potenza elettrica, fenomeni transitori di carica e scarica dei condensatori… ovviamente con una caterva di esercizi. In questa parte non ho messo cose nuove limitandomi e rileggere il tutto.

Vi segnalo però, da leggere con attenzione, l’ultimo paragrafo dedicato alla sicurezza negli impianti elettrici percé si tratta di una faccenda importante e, anche se non ve ne frega nulla della fisica, è bene che siate informati sulle spine tripolari, sul cacciavite cercafasi, sulla importanza dell’interruttore differenziale, sui valori di pericolosità delle correnti elettriche. Avrei potuto insegnarvi qualche trucco da usare quando il salvavita fa le bizze per colpa di malfunzionamenti di qualche elettrodomestico, ma ho pensato che era meglio non rischiare di fare qualche danno.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0505