dal ’68 al 2024

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il 68 del 2024

L’occupazione di circa duecento campus americani – tra cui Berkeley, Harvard, Ucla –  del Trinity College di Dublino, di università in Francia – Sorbona e Sciences PO –  in Kuwait,  in Giordania, in India, in Giappone e i movimenti e le contestazioni alla Sapienza di Roma, alla Statale di Milano e di Torino, all’Alma Mater di Bologna annunciano un nuovo ‘68? Le analogie con quello di cinquant’anni fa non mancano.

Il motore di quello era a due cilindri: uno, la rivendicazione di spazi generazionali di libertà e di consumi dentro la società opulenta; due, la rivolta morale contro le ingiustizie del mondo. Alle spalle l’utopia di una nuova Storia, di “cieli nuovi e terra nuova”. Davanti pareva dispiegarsi un futuro di liberazione universale. “L’umanesimo plenario”, annunciato dalla Populorum Progressio, si poteva toccare solo allungando una mano verso l’orizzonte.

Quali le differenze rispetto all’oggi? Il firmamento che incombe su questo “ ’68 del 2024” è illuminato dalle stesse stelle, ma è luce di stelle morte. L’Età dello Spirito, prevista da Gioachino da Fiore, non è arrivata.

Le società umane, tutte, continuano ad essere colme di ingiustizie, di diseguaglianze, di esclusione, di violenza, di guerre. La violenza non è stata espunta dai comportamenti della specie. Insomma: c’è il Bene e c’è il Male, da sempre. La globalizzazione fa i conti con i propri successi e le proprie contraddizioni.

Otto miliardi di persone continuano ad essere divisi per nazioni, religioni, culture, stati e classi sociali. Per quanto riguarda l’Occidente bianco, la sua egemonia storica è messa in discussione da nuovi competitori globali in ascesa. La guerra preme alle porte dell’Europa da Est e da Sud-Est. L’Africa mediterranea è in ebollizione, quella centrale in rivolta.

Questo mondo complicato, conflittuale, pericoloso viene traguardato attraverso il prisma a tre facce dell’ideologia woke/cancel culture/politically correct. È maledettamente semplice e deformante.  La Storia diventa uno zaino troppo pesante da portare in spalla, meglio disfarsene.

Se l’imperativo categorico morale ci impone di abolire il Male, allora distruggiamo il passato storico, che è il Male, e perciò facciamo tabula rasa dell’Occidente capitalista, colonialista, sfruttatore, dominatore e manipolatore.

Negli anni ’60 era il marxismo la teoria-guida della liberazione, oggi sta diventando l’islamismo. Così lo aveva proposto Komeini a Gorbaciov in una famosa Lettera del 1989. Pare stia accadendo. E così nascono strani puzzle: islamo-marxismo, islamo-fascismo, rosso-brunismo, e, amarum in fundo, ondate di antisemitismo.

Conclusione: come osserva Gilles Keppel, lo studioso francese dell’Islam e del Medioriente, “una parte dell’Occidente si è schierata con i carnefici”, cioè con Hamas contro Israele; proclama nelle Università slogan tipo “Dal fiume al mare”, senza sapere dove si trovano l’uno e l’altro, non muove dito o piazza a difesa delle donne e dei ragazzi iraniani, torturati e impiccati in Iran, chiede di arrendersi a Putin, nel nome della pace.

Gli studenti occupano università prestigiose al grido di “Palestina libera”, confondendo i Palestinesi con Hamas, cancellano il pogrom del 7 di ottobre, dimenticano di chiedere la liberazione degli ostaggi, ignorano che Hamas non vuole uno Stato palestinese, a fianco di Israele,  vuole la sua distruzione. Quali le cause di questa deriva?

La caduta del sapere

La prima l’ha individuata Gilles Keppel, interrogandosi sulla plateale capitolazione di Sciences PO all’ideologia woke: “L’istituzione ha rinunciato al primato del sapere in nome della democratizzazione e dell’internazionalizzazione”.

Le istituzioni accademiche europee e americane, in particolare quelle a indirizzo umanistico, hanno fatto a pezzi le discipline, hanno frammentato gli insegnamenti di storia e di sociologia, sostituiti da corsi sull’anticolonialismo, sulla tratta transatlantica degli schiavi, su sesso e gender, su antirazzismo, su climatologia…  e, si intende, hanno abbassato l’asta delle verifiche. È questa una tendenza generale che risale al ’68, quello vero: innalzare la quantità e abbassare la qualità.

Così, mentre i settori STEM prosperano e sviluppano un’intelligenza tecnocratica asfittica, ma remunerativa, i dipartimenti umanistici – quelli che costruiscono la coscienza pubblica – hanno smarrito la fondamentale distinzione platonica tra δόξα, πίστις, ἐπιστήμη, tra l’opinione, la credenza, la scienza.

Il sapere è diventato opinione. Le classi intellettuali-accademiche, le gerarchie/burocrazie universitarie, “i chierici” si sono chiusi in un sistema autoreferenziale e automoltiplicativo.

Il lassismo, combinato con il valore legale del titolo di studio, ha prodotto una caduta generale del sapere collettivo, coperta da una diffusione massiccia via-social di ogni luogo comune. La caduta dell’insegnamento della Storia e della Geo-storia nella formazione della coscienza delle giovani generazioni incomincia nelle prime classi, si aggrava in quelle superiori.

Quante classi dell’ultimo anno arrivano a oltrepassare il 1945? Se i ragazzi pensano che la Storia contemporanea non esista e che si riduca all’Oggi che sperimentano qui e ora, chi glielo ha fatto credere?

“La trahison morale des clercs”

Un’altra causa, è forse quella decisiva, è quella già sperimentata tragicamente negli Anni ’30 del ‘900: “la trahison des clercs”. Un tradimento morale. Paradossale: perché è proprio nel nome della morale superiore alla Storia che la classe accademico-intellettuale e giornalistica sta rinunciando in questa contingenza storica alla difesa delle libertà. Sta perdendo i fondamenti di ciò che chiamiamo “Europa, Occidente, Democrazia liberale…”.

Come spiegare diversamente la spensierata viltà di interi Senati accademici, che cedono a minoranze violente che chiedono l’interruzione dei rapporti scientifici con le Università israeliane? O il tremore del Rettore dell’Università statale di Milano, che nega un’aula per un convegno su Israele, con il pretesto, smentito dalla Questura di Milano, della mancanza di sicurezza? Come non comprendere che questa è una china, lungo la quale qualsiasi minoranza che abbia capacità, vera o presunta, di minaccia è in grado di privare ogni altra della libertà di manifestazione del proprio pensiero? Che cosa spinge a questi cedimenti? La paura di perdere gli iscritti/clienti e quindi le cattedre e quindi i finanziamenti e quindi il potere di generare cattedre fasulle a mezzo di cattedre fasulle? È questo il miserabile segreto?

Abbiamo spesso ironizzato sulla figura dell’intellettuale organico del ‘900, che pretendeva di mettere le brache al mondo. Ma che dire di questi intellettuali disorganici, chiusi nei propri specialismi (?), nelle proprie carriere, incapaci di “verità e di maestria”, maestri cattivi o assenti o silenziosi? La storia del mondo si è incamminata su una strada pericolosa, i nostri ragazzi non ne vedono le pietre d’inciampo, sono preda del lato tossico dell’utopia, per il quale si inneggia al politically correct, si impianta la polizia morale, si porta l’Intifada nelle Università, ma i “maestri” li assecondano e girano la faccia dall’altra parte per quel loro quieto vivere, che chiamano pace.

È questo il nuovo ’68 o non è piuttosto una variante di quei torbidi movimenti giovanili rosso-bruni degli Anni ’30, che hanno preparato una guerra mondiale? Si ruppero vetri, si bruciarono libri, si finì per bruciare esseri umani. 

Heinrich Heine aveva messo in guardia fin dal 1821, criticando le Burschenschaften studentesche che bruciavano il libri “antitedeschi”: “Dort wo man Bücher verbrennt, verbrennt man auch am Ende Menschen” – Là, dove si bruciano libri, alla fine si bruciano anche uomini-. La fame e sete di giustizia fondata su un’ignoranza coltivata della Storia: questo il lato d’ombra che occorre incessantemente illuminare.

Informazioni su Giovanni Cominelli

Giovanni Cominelli, iscritto a Filosofia all’Università Cattolica di Milano dal 1963 al 1965, alla Frei Universität nel 1965/66, laureato in filosofia con Enzo Paci all’Università statale di Milano nel marzo del 1968. Negli anni ’70 é stato membro della Segreteria nazionale del Movimento studentesco/Movimento lavoratori per il Socialismo. Eletto nel 1980 in Consiglio comunale a Milano per l’MLS-PDUP nel 1980, nel 1981 è subentrato come Consigliere regionale a Luciana Castellina, fino al 1990. Nel novembre del 1982 è entrato nel PCI, su posizioni riformiste e miglioriste. E’ uscito dal PCI-PDS nel 2000, aderendo ai Radicali fino al 2004. Iscritto al PD dal 2015. Esperto di politiche scolastiche, dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la Valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta della Fiera di Verona dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Compagnia delle Opere dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Svolge attività di formazione nelle scuole. Collabora alla Rivista mensile Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative su Il Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009). Oggi editorialista de L’ECO DI BERGAMO e di santalessandro.org, settimanale della Diocesi di Bergamo. Scrive sul Sussidiario.
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8 risposte a dal ’68 al 2024

  1. Lorenzo Galbiati scrive:

    PS non sono riuscito a postare il link al video che trovate su youtube (watch?v=8as9n_J-Pvo) Si noti che Craxi viene applaudito dalla Sinistra e contestato dal centro ma soprattutto dalla Destra, con Tremaglia ben visibile: già allora era chiaro da che parte stesse il fascismo: con il sostegno della potenza coloniale occupante, Israele.

    Mi chiedo come mai ci si metta tanto in Italia a capire che non siamo più al tempo della marcia su Roma, o al 10 novembre 1938 o all’8 settembre 1943. Le categorie politiche sono cambiate completamente con il dopoguerra, la decolonizzazione e la creazione di Israele grazie al sostegno occidentale all’Onu e alla Pulizia etnica della Palestina, le cui vittime sono state i genitori e i nonni di chi vive oggi nelle tende di Gaza.

  2. Lorenzo Galbiati scrive:

    Craxi, 6 novembre 1985, in Parlamento, precisa che difende la “legittimità” della lotta armata dell’Olp, dicendo però che non la sostiene perché lotta armata e terrorismo non porteranno a nulla di buono, solo a vittime innocenti. Ricorda che la lotta armata per l’indipendenza è considerata legittima dall’Onu. E che pure Mazzini fomentava insurrezioni armate (terrorismo, di fatto, aggiungo io) dal suo esilio di Londra. Sottoscrivo ogni parola. Oggi come ieri, non è cambiato nulla, c’è solo Hamas al posto dell’Olp. E c’è solo il fatto che non avendo noi occidentali offerto ai palestinesi una alternativa nonviolenta, anzi, avendo sostenuto e armato gli oppressori israeliani sempre e comunque, questi si sono sentiti legittimati ad arrivare perfino al genocidio. E noi siamo loro complici.

  3. Ennio Abate scrive:

    Partendo (col piede sbagliato) da una lettura “millenaristica” del ‘68 (“l’imperativo categorico morale ci impone di abolire il Male”), che già allora fu solo di una parte di quel movimento, mentre Cominelli l’estende alla sua totalità, dove si può arrivare, se non allo stanco e avvizzito paternalismo liquidatore (“La Storia diventa uno zaino troppo pesante da portare in spalla, meglio disfarsene.”), che trasuda da tutto il dottissimo scritto?
    Ci saranno pure tra i giovani d’oggi gente che pensa che la soluzione stia nel far “tabula rasa dell’Occidente capitalista, colonialista, sfruttatore, dominatore e manipolatore”, come – sul fronte opposto – ci sarà gente che vuol continuare indisturbata a esportare “guerre democratiche”, ma come si fa a ragionare sulla base di questi fanatismi superstiziosi, ammucchiandoli tra l’altro in un calderone malefico e generico (“islamo-marxismo, islamo-fascismo, rosso-brunismo, e, amarum in fundo, ondate di antisemitismo”).
    Cominelli mi pare il tizio che gridava: Al lupo! Al lupo! Ma stravede e/o inganna.
    Tutti “gli studenti occupano università prestigiose al grido di “Palestina libera”, confondendo i Palestinesi con Hamas “? Ma dai! Se persino il buon Sanders riesce a distinguere che lo slogan Free Palestine non è in blocco antisemitismo, perché Cominelli si mette i paraocchi?
    Siamo seri! “La trahison des clercs” la fa lui.

    P.s.
    E mi fermo qui perché mi sento male a leggere uno scritto così strumentale e propagandistico.
    Per il resto condivido alcune delle obiezioni fatte da Furio Petrossi.
    (ho tolto il link esterno perché poi a distanza di tempo danno errori 404 che creano problemi con i motori di ricerca – Claudio Cereda)

  4. Claudio Cereda scrive:

    Grazie Furio per aver affermato la esistenza di un altro punto di vista. Questa volta Giovanni è stato Tranchant e i “Pensieri in LIbertà” sono benvenuti.

  5. Furio Petrossi scrive:

    Sembra che non ci siano “cause” nelle proteste, ma solo “occasioni”.
    Perché mai “La Storia diventa uno zaino troppo pesante”? Forse che “La Storia” esiste come ente? E’ una disciplina sul passato o una teoria sul futuro? O è data da una serie di “storie”? Storie di oppressione e di violenza, anche di disumanità, disumanità che consiste nel rendere “oggetto” chi si ha di fronte – contro.
    Affermare “Negli anni ’60 era il marxismo la teoria-guida della liberazione” non significa scoprire i motivi per cui non lo è più. Forse i tentativi di aggiustamento a-posteriori di un marxismo che non ha funzionato si sono rotti. La “cesura epistemologiga” althusseriana è una favola per credenti, né più né meno di quanto lo sia l’Islam. Tesi – antitesi – sintesi? Un ciarpame hegeliano d’altri tempi. Per di più tedesco… Tesi e antitesi si compenetrano e la sintesi non c’è, quasi mai.
    Che l’islamismo stia diventando la nuova “Storia” è osservazione assai superficiale. Quando negli anni settanta si glorificava la lotta palestinese del FDPLP che ammazzava bambini negli scuolabus eravamo invece marxisti? Di questa teoria sì è “meglio disfarsene”. O certo qui la barbarie degli stupri e dei rapimenti, le milletrecento morti sporche sembrano dimenticate, ed è – in effetti – orribile. Decine di migliaia di morti pulite e la prigione al posto del rapimento non sono segno di maggiore civiltà. Chi è “carnefice”. Tutti! Lo sono tutti! In modo diverso, ma carnefici, non “difensori di…”.
    Sul fare “tabula rasa dell’Occidente capitalista, colonialista, sfruttatore, dominatore e manipolatore” non nego che ci sia una tendenza puramente ideologica, anche se dire “ideologica” sarebbe un complimento. Però, salvo colpi di coda, il crollo dell’Impero Occidentale è visibile a tutti. Anche per una demografia che non riproduce per figliazione cultura e non sa integrarla con il nuovo, il nuovo che avanza – sembra una barzelletta. E con il suo crollo quello della parte migliore dei suoi valori. Ovviamente anche della parte peggiore. E’ anche la parte peggiore dell’Occidente che ha impedito il successo di quella migliore. Le satrapie ormai conquistano l’Occidente, del resto al termine “democrazia” noi abbiamo sempre aggiunto un aggettivo: “borghese” o “proletaria”? Ora “proletaria” non lo è più. Definitivamente.
    Forse bisognerebbe guardare oltre, i numeri. I numeri sono sempre quantità. Ma guardiamo a molte singole persone, alla loro qualità. A giovani e intellettuali che pensano, che scrivono, che costruiscono siti per il dialogo (Sicha Mekomit https://www.mekomit.co.il ad esempio), mettendo assieme ebrei, arabi, cristiani e atei. Ne ho letti diversi. Perdio, leggiamo almeno Haaretz, visto che c’è l’edizione inglese,c’è il sito, e vediamo cosa dice sulla situazione, su Gaza, sul Governo Israeliano. Non sono Woke.

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