sapere, fare, saper fare, ma soprattutto far sapere – di Franco De Anna

A proposito di classi ghetto. Dobbiamo all’iniziativa di un docente, con qualche ruolo nei media, di una brava giornalista con la sua rubrica di comunicazione con il “pubblico” e di una Ministra sensibile ai media, se si è generalizzata una “diffida rivelatrice”: dobbiamo combattere il fenomeno delle “classi ghetto”, il nostro obiettivo è l’uguaglianza delle condizioni formative.

A innescare il tutto (pare) la lettura delle “restituzioni” dei risultati delle rilevazioni INVALSI che dimostrano casi di elevata variabilità dei risultati tra le classi, anche nella medesima scuola. Ben arrivati, naturalmente, agli interlocutori di cui sopra.

Ricordo solo che da dieci anni la considerazione della alta variabilità dei risultati delle rilevazioni, misurata dentro il sistema e tra le diverse aggregazioni territoriali, nonché tra indirizzi scolastici e, spesso, dentro le istituzioni scolastiche tra le classi, appunto, è uno dei rilievi fondamentali che vengono sottolineati nelle relazioni di accompagnamento alle rilevazioni dell’ INVALSI.

Ma, cosa ancora più significativa, sono sotto gli occhi di chiunque volesse cimentarsi (per esempio nella propria scuola) con l’analisi attenta dei dati restituiti ogni anno da INVALSI. Almeno dieci anni. Comunque ben arrivati. Quella variabilità così estesa è il segno di “NON EQUITÀ” che caratterizza il nostro sistema scolastico, sia tra diverse zone del paese, sia nel funzionamento specifico di alcune scuole.

Ma, come è noto, molti anni si son spesi nella contrapposizione tra chi lanciava anatemi contro quelle rilevazioni e chi ne proponeva, quasi con argomenti speculari, un uso improprio. SI/NO alla valutazione standard degli studenti che han bisogno invece di quella formativa, SI/NO alle classifiche tra scuole e docenti, SI/NO al “la scuola non è una azienda”… e così via…. Di tutto tranne l’approccio (scientifico?) che vorrebbe fare di ogni “dato” un sintomo, uno strumento diagnostico… Qualche cosa che mi aiuta a capire come va la realtà al di là delle mie intenzioni e percezioni, e oltre a quella con la quale sono direttamente in contatto (la MIA scuola, il MIO preside, i MIEI studenti, le MIE opinioni…).

Lo sforzo di sottolineare la differenza tra “rilevazioni nazionali” e “valutazione degli studenti” ha reso roca la voce di alcuni di noi; l’invito a guardare al valore diagnostico della variabilità piuttosto che ai punteggi ci ha quasi ridotti a vox clamans… Ancora oggi vi è chi dice che le “prove INVALSI” non sarebbero adeguate alla “creatività argomentativa” della cultura meridionale… e dunque andrebbero abolite. (Un pensiero affettuoso e comprensivo agli studenti di questi “docenti”…)

Se l’iniziativa degli illustri protagonisti citati in apertura servirà a rilanciare quella attenzione analitica, quell’approccio diagnostico, quell’interrogarsi sulle cause di tali variabilità, io non posso che essere contento ed unirmi all’invito della Ministra: basta con un formazione delle classi che discrimina e rende diseguali.

Vorrei però che, fatto quel passo, vi fosse un altrettanto autorevole invito a dedicare adeguata attenzione alla necessità di esplorare le “cause” di certi “dati”. Sarà l’età, ma l’assenza o la rudimentalità di una “cultura eziologica” in chi si occupa di fenomeni sociali complessi mi è insopportabile. Soprattutto in chi fa il docente e quotidianamente dovrebbe essere alle prese con la ricerca delle “cause” che stanno alla base di risultati che deve misurare a valutare.

Come quelli che …” i bassi risultati delle scuole del Meridione sono condizionati dalla povertà del contesto socio-economico…” e tralasciano di considerare che proprio dove i valori medi dei risultati son più bassi nel confronto nazionale, la variabilità interna è più elevata… Forse ci son altre variabili e cause da considerare…

Ma questa (le differenze tra scuole del sud e del nord) è materia nella quale la ricerca delle cause ha considerazioni storico-politiche che certo chiedono più di due note. Mi basti scongiurare la apparente “razionalità” di chi sostiene che sia questione di “risorse e investimenti”. Qualche pensiero in più per favore.

Invece richiamo la complessità della ricerca delle cause anche rispetto alla “variabilità tra le classi”. La fenomenologia individuata dagli “illustri” di cui sopra è certamente reale: la individuazione “equieterogenea” (così si dice…) delle classi è un principio-etichetta che a volte sottende pratiche del tutto contraddittorie. Ma c’è anche altro.
In generale: noi usiamo un contenitore (la classe) solidamente definito sul piano amministrativo, anagrafico, organizzativo, come sempre adeguato e sensato rispetto alla attività didattica, pedagogica, formativa. La sua identità/rigidità amministrativa finisce invece per ingabbiare e spesso mortificare la problematica pedagogica e didattica, ed anche quella della equità nella erogazione di un “diritto all’istruzione”.

Un paio di esempi.

Nella attività generalizzata ed organizzata di consulenza alle scuole per la elaborazione dei progetti di Miglioramento che prestiamo come Rete nella mia Regione, mi è capitato di discutere con nuclei di valutazione su certi dati di variabilità elevata tra le classi nei risultati delle rilevazioni INVALSI e le cause sono nel più dei casi diverse da improprietà nella formazione delle classi come quelle denunciate nei media e diffidate dalla Ministra.

Risposte alle mie domande “… ma quella classe (scuola media) è stata formata con quelli che hanno scelto Tedesco…” (Per qualche ragione particolare quelli che scelgono il tedesco sono i migliori, e i risultati di quella classe sono la causa dell’elevata variabilità dei risultati…). Non c’è a monte alcuna volontà di discriminazione, ma la soluzione al vulnus alla equità richiede una organizzazione capace di scogliere e ricombinare il gruppo classi per alcune materie condizionate dalla opzionalità delle famiglie. Nulla di drammatico: si organizza l’orario per classi parallele e gruppi che si ricombinano…Ma bisogna, per farlo, adottare modelli organizzativi ed ambientali flessibili..

Ma, la Ministra ha mai pensato che un effetto simile di disuguaglianza lo producono le opzioni relative al tempo pieno? Ai nostri tempi, Ministra, il Tempo Pieno rispondeva ad una ipotesi pedagogico-didattica avanzata… Oggi, a volte, rappresenta una scelta di “servizio” che finisce, a volte, per concentrare in alcune classi le condizioni socio-economico-culturali più deprivate… (dati INVALSi alla mano…) Che fare in quel caso? Una diffida ai Presidi per porre attenzione alla formazione delle classi? O riprendiamo in mano il problema dei tempi scuola?

La variabilità dei dati sulle rilevazioni del Biennio (obbligo???!!!) è indicativa anche di altro. Sempre da esperienza sul campo (ma se volete si possono analizzare i dati di sistema…). Istituto Superiore con più indirizzi: Liceo scientifico, Liceo Linguistico, Liceo socio pedagogico… Rilevazione INVALSI su Matematica e Italiano con livelli di variabilità tra le classi inaccettabili… Certo: l’organizzazione delle classi avviene sulla base delle scelte di indirizzo fin dal primo anno… La matematica e l’italiano del liceo linguistico piuttosto che del pedagogico sono “ovviamente”(???!!!) diverse, nell’apprendimento e nell’insegnamento. Ma non è obbligo scolastico? Non dovrebbe garantire un set di saperi, conoscenze, competenze “di cittadinanza” e dunque “uguali”??!!!

La Ministra potrebbe vincolare gli Istituti Superiori a non rendere operativi gli indirizzi se non dal triennio in poi? Magari affiancando una forte formazione comune uguale per il biennio (insegnamenti fondamentali), con un relativo e contenuto ventaglio di insegnamenti complementari ed opzionali, per finalità vocazionali e orientative, utilizzando la flessibilità del monte ore dell’autonomia (può superare il 30% del curricolo… ma richiede una effettiva “progettazione” e flessibilità nell’impegno dei docenti…)
Potrei naturalmente ampliare analisi, diagnosi e proposte che possono trovare base su un uso appropriato e sensato di ciò che ci racconta (pur con tutti i suoi difetti) il Sistema Nazionale di Valutazione.

Chissà se il collega Lorenzoni, l’illustre Concita De Gregorio, l’autorevole quotidiano che forma opinione “progressista”, vorranno sviluppare con la loro autorevolezza qualche considerazione in merito e ispirare una decisione altrettanto autorevole della Ministra.

 

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Informazioni su Franco De Anna

Franco De Anna, classe 1946, ora in pensione, è stato uno degli animatori del primo movimento di Scienze a Milano nel 1968 (era a Scienze Naturali). Dal 1999 sino agli anni più recenti ha fatto l'ispettore scolastico nella Regione Marche occupandosi tra le altre cose, sul piano nazionale, delle tematiche della autonomia e rendicontazione sociale della scuola. E' stato segretario milanese, regionale lombardo e poi nazionale della Cgil Scuola. Ha diretto il centro studi della Camera del Lavoro di Milano, l'IRRSAR e l'IRRE. E' autore di numerose pubblicazioni (libri e saggi su riviste specializzate).
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