peronismo – di Giovanni Cominelli

I  risultati del referendum costituzionale documentano in modo netto, sia per la proporzione dei votanti tra il SI’ e il NO sia per la massa dei non-votanti, che la maggioranza degli italiani odia la politica, così come è configurata nella forma-partito. Ha votato il 53,52%; il  46,48% si è astenuto, per indifferenza, per odio, per sfiducia totale? Dei votanti, circa il 70% dei votanti ha detto SÍ, circa il 30% ha detto NO.

Servirebbero calcoli più raffinati, ma è evidente che gran parte del SÍ, eccetto una sua piccola componente “riformista”, ha votato per odio della ”casta” politico-partitica. Che gli elettori abbiano votato per le riforme è solo una patetica autoillusione. Le tappe del disamore verso la politica e le sue cause sono state raccontate da molti più volte.

Senza troppe forzature, si potrebbe farne risalire l’inizio al ’68, se collochiamo la vicenda dell’Uomo Qualunque nella preistoria della Repubblica. L’effetto finale, accelerato dopo il 1989, è stato la decomposizione dei partiti, la dispersione del loro patrimonio di biografie, storie, esperienze, centri studi, riviste, scuole-quadri, sezioni territoriali, legami sociali, liturgie. Sì, la forma-partito continua ad esistere, perché è un’istituzione della Repubblica e un meccanismo essenziale della costruzione della rappresentanza democratica, ma è un albero scheletrito, con le radici disseccate.

A macerarsi nell’angoscia e nella frustrazione sono, per lo più, i frammenti delle antiche classi dirigenti, ormai free-floating nel vacuum della politica, che vivono la sensazione tipica dei naufraghi, sopravvissuti all’affondamento della nave, ma sempre lontani dalla terraferma. A sinistra, gli “homines novi”  dei nuovi “partiti-scheletro” o “partiti-ameba” accusano impietosamente i gruppi dirigenti precedenti di avere tradito e abbandonato le proprie basi sociali, di essersi lasciati sedurre dalla socialdemocrazia prima e dal neo-liberismo poi, dando più importanza ai ceti ZTL, ai centri invece che alle periferie, al cervello invece che alla pancia…

Ora, il mutamento genetico della politica-partito non è primariamente un problema della politica, è una questione bruciante della società italiana. Le democrazie si reggono su un elettorato informato. L’accesso a quantità e qualità dell’informazione/sapere/conoscenza decide della politica, delle sue strutture, dell’evoluzione dei partiti e dei sistemi di partito e, in definitiva, del sistema istituzionale del regime democratico.

La formazione della coscienza pubblica è sempre stata fortemente condizionata dall’evoluzione tecnologica. A partire dagli anni ’70, le Radio private, le TV private, i computer, i cellulari, la Rete, i social-media hanno completamente sconvolto i canali tradizionali di flusso del sapere “pubblico”: la radio, i giornali, la TV di Stato, i partiti, le associazioni, le scuole e le Università. I partiti avevano presidiato quei canali di formazione del sapere pubblico, dosando quantità e qualità dei flussi. Ne gestivano il monopolio, spartito democraticamente in oligopoli. L’altissima cupola dell’Infosfera ha superato dall’alto i punti di presidio politico-partitico-statuale terrestre

Non si può capire né la storia né la politica degli ultimi quarant’anni, se non si muove da questa metamorfosi strutturale, che ha modificato il rapporto tra individuo, sapere e sapere pubblico. Se i partiti erano il cervello collettivo per i settori sociali e culturali fondamentali della società italiana, un’anossia culturale diffusa li ha progressivamente paralizzati. L’illusione di essere inaggirabili, in quanto forma garantita costituzionalmente, li ha rinchiusi nelle mura di un’autosufficienza fatale. Il nuovo sistema di comunicazione e formazione della coscienza pubblica li ha distrutti.

Gli individui hanno incominciato a cercare frammenti di sapere e di sapere pubblico su un mercato più vasto. Il sapere, l’informazione, la comunicazione sono sfuggiti allo Stato – in senso ampio – per essere offerti dal Mercato, a beneficio di tutti.

La spinta socio-culturale del populismo nasce da questa orgogliosa possibilità di avere un accesso diretto al sapere, senza mediazioni, e dal risentito rifiuto del privilegio del sapere/potere -finora patrimonio esclusivo di una classe dirigente -, e del “divide” che ne è derivato.

Singolare e paradigmatico il destino di Forza Italia. Essa è nata come proiezione politica dell’onda socio-culturale sollevata da Mediaset sul mercato individuale della comunicazione e della formazione della coscienza pubblica. Ma di questo tsunami culturale Forza Italia, che pure aveva risposto alle domande di massa di spettacolarizzazione, personalizzazione, emozionalizzazione, individualizzazione della politica, è diventata una vittima.

Era fatale che i vecchi partiti tramontassero e i nuovi sorgessero sull’orizzonte?

Nulla nella storia è fatale. I vecchi partiti sono tramontati per due ragioni.

La prima: fin dall’inizio dell’insorgenza nella società civile del Kulturkampf populista, i gruppi dirigenti non hanno avuto la lucidità intellettuale e il coraggio morale della battaglia sui fondamenti teorici ed etici della “mente euro-occidentale”, nella quale il “Logos” è il motore della civilizzazione e la politica democratico-rappresentativa è l’infrastruttura. E’ – era? – una mente fondata sulla tensione incessante della Ragione verso la Realtà totale. Forse la tradizione cattolico-democristiana poco liberale e quella crocio-gramsciana per nulla liberale non hanno aiutato né a cogliere la sfida intellettuale né quella tecnologica. La seconda: la perenne “sacra fames” dorotea e consociativa del potere ha portato ai cedimenti intellettuali e morali al populismo.

I nuovi partiti sono emersi per le ragioni opposte. Hanno decisamente assecondato, rilanciato e gonfiato tutte le pulsioni dell’irrazionalismo, che è l’altra corrente carsica e minoritaria della storia intellettuale euro-occidentale. Hanno saputo utilizzare con spregiudicatezza i nuovi mezzi di comunicazione. La cultura populistica – l’ ”uno vale uno”, la democrazia diretta, la casta corrotta, il sapere e le competenze me li procuro da me, l’individualismo radicale sotto le false specie dell’organicismo e l’odio dell’altro, l’autarchia sovranista – è nata prima di Grillo, di Salvini e di Meloni, è stata ed è ancora coccolata dalle Reti Mediaset, si è radicata profondamente nel Paese, ha allargato il ventaglio della propria rappresentanza: il M5S, la Lega di Salvini, FdI di Meloni, settori del PD meridionale – si veda alla voce Emiliano. E’ maggioranza culturale nel Paese, soprattutto nel Centro-Sud.

Il fatto che il populismo si sia spalmato sull’intero sistema politico indebolisce il M5S, ma non la propria carica eversiva. Non il fascismo di ritorno, non il fascismo eterno, ma il populismo è il pericolo più grave e la minaccia della convivenza civile. Salvini e Meloni sono pericolosi per il futuro del Paese non per le ragioni che quotidianamente l’ANPI denuncia, ma perché sono peronisti. Il peronismo all’italiana, con il suo disprezzo per la democrazia rappresentativa, e la sua politica economica dei “pani e dei pesci”, è motore di declino del Paese.

 

Info su Giovanni Cominelli

Giovanni Cominelli, iscritto a Filosofia all’Università Cattolica di Milano dal 1963 al 1965, alla Frei Universität nel 1965/66, laureato in filosofia con Enzo Paci all’Università statale di Milano nel marzo del 1968. Negli anni ’70 é stato membro della Segreteria nazionale del Movimento studentesco/Movimento lavoratori per il Socialismo. Eletto nel 1980 in Consiglio comunale a Milano per l’MLS-PDUP nel 1980, nel 1981 è subentrato come Consigliere regionale a Luciana Castellina, fino al 1990. Nel novembre del 1982 è entrato nel PCI, su posizioni riformiste e miglioriste. E’ uscito dal PCI-PDS nel 2000, aderendo ai Radicali fino al 2004. Iscritto al PD dal 2015. Esperto di politiche scolastiche, dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la Valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta della Fiera di Verona dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Compagnia delle Opere dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Svolge attività di formazione nelle scuole. Collabora alla Rivista mensile Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative su Il Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009). Oggi editorialista de L’ECO DI BERGAMO e di santalessandro.org, settimanale della Diocesi di Bergamo. Scrive sul Sussidiario.
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Una risposta a peronismo – di Giovanni Cominelli

  1. Furio Petrossi scrive:

    Trovo un punto di riflessione importante nella frase "Il fatto che il populismo si sia spalmato sull’intero sistema politico indebolisce il M5S, ma non la propria carica eversiva".
    Indubbiamente il '68 costituì una feroce critica alla democrazia rappresentativa nella sua forma partitocratica; non fu contro i partiti, infatti se ne formarono molti, con la pretesa di guidare i movimenti (organizzazioni più complesse del "Popolo").
    Forse i Radicali furono ancor più duri nella critica, bisogna ricordare che attraverso i partiti passava una parte di sottogoverno e di gestione clientelare (Emilia Romagna compresa). Accanto ai partiti c'erano i Sindacati e c'erano i "Poteri Forti".
    Sull'odio dell'altro, o almeno sul disprezzo, direi che la categorizzazione estesamente diffusa nella sinistra contribuì in qualche misura: ricordo ancora la Segretaria provinciale dell CGIL-Scuola dirmi all'orecchio, a proposito di un iscritto alla CGIL "Quello è un fascista!".
    I partiti restano ancora vivi nella politica locale, a livello comunale, dove la qualità delle persone conta. La "semplificazione" tipica del populismo è però una sfida: "la semplicità che è difficile a farsi"… Ricordo di aver suggerito l'elaborazione di un programma di 7-10 punti per le comunali. La mia proposta fu accolta, ne seguì un programma di quattro pagine fitte a corpo 6 suddiviso in dieci parti (con i titoli a corpo 8)… Tuttavia sarebbe stato comunque un lavoro inutile, di fronte al solo punto di chi vinse: non vogliamo milleduecento pachistani e trecento afghani girare per il centro città.
    Il populismo pervasivo è facilitato dalla crisi delle grandi narrazioni (di emancipazione, ragione, crescita spirituale, di libero mercato, di progresso scientifico, magari anche di cittadinanza europea) che giustificavano il raccogliersi attorno a istituzioni e partiti e che formulavano una qualche strategia di lunga durata. Magari è il tempo di partiti usa e getta, legati alla specifica realizzazione di progetti a medio termine, o forse mi sbaglio.

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