Velocemente, distrattamente ed evasivamente consumiamo immagini in un flusso ininterrotto, ma quest’esposizione non corrisponde ad un’alzarsi dell’asticella della nostra capacità di lettura, anche perché sappiamo che il guardabile è, comunque, a portata di occhi, è reperibile, non fugge via (anzi, c’insegue).
Ben consci della sua presenza, siamo portati a non prenderne cura, ci limitiamo a guardare quel che appare; vedere, è un altro paio di maniche: consente di approssimarsi alla scoperta interpretativa e costituisce il tramite per varcare la soglia oltre la quale è possibile addentrarsi nella contemplazione.
I film di Sergio Leone, per esempio, rendono bene queste differenze: l’atteso duello tra i due contendenti è lì, in sospensione, cattura l’attenzione con una sfilza di dettagli, il tempo si dilata (l’attimo diventa interminabile; l’eternità deve riflettersi nell’attimo), ma ancora nessuno dei due estrae la pistola: …l’incombente spezzone musicale (di Morricone) deve ultimarsi. In quegli infiniti minuti vengono radunate le differenze che intercorrono tra guardare e vedere, ascoltare e sentire: per coglierle (e gustarsele) occorre la contemplazione.
Ma, se durante tutte le ore di veglia, diventiamo preda del disordine delle immagini, attraverso gli innumerevoli mezzi messi in circolo, e diventiamo pure preda del frastuono, noi, non siamo più fruitori: diventiamo, appunto, prede.
E se ci pensiamo bene, tutto questo avviene anche con le parole, che diciamo e che scriviamo. Essendo così facilmente disponibili nel self-service che ci portiamo appresso, può accadere che siano loro ad imporsi a noi. Per evitare tutto questo ambaradan, occorre allenarsi nel famoso centro benessere Assenza&Silenzio:
in questa spa che non costa niente ci vado prima dell’aurora, prima della colazione. E’ qui che, tra le altre cose, posso incontrare lo spunto per un post.