suoni e immagini da analogico a digitale – di Lorenzo Baldi

Quando ci dedichiamo alla nostra vita digitale, cosa della quale ci siamo moltio occupati questa primavera, il nostro smartphone ci fa ascoltare musica, guardare foto e video, anche leggere libri e giornali. Ma come siamo arrivati a questo punto? Nella nostra esperienza comune, utilizzando Word o Excel, sappiamo che il PC è nato elaborando testi e numeri e questa è stata la sua primaria ragione di esistere.

Ma attraverso quale percorso i contenuti audiovisivi sono passati dal mondo analogico a quello digitale? E come ogni contenuto ha finito per essere elaborato e diffuso attraverso una sola, grande, rete di macchine informatiche, di diverso uso e misura, collegate tra loro?

Ho messo in tabella alcune delle date che hanno lasciato il segno nel mondo della scrittura, del suono e delle immagini. Tra queste date, distanti più di 500 anni, scorre la storia dei mezzi di comunicazione di massa. La musica e le immagini, fisse e in movimento, diventano protagoniste della comunicazione su larga scala e a grande distanza, a partire da poco più di un secolo fa. Il testo scritto diventerà così solo una parte della comunicazione, l’audiovisivo, si trasformerà in uno strumento di tutti e per tutti.

Scriverò solo dell'ultimo quarto di secolo del novecento e dei primi anni di questo e lo farò andando a vedere che cosa succedeva dietro le quinte, nel mondo della produzione audiovisiva, che ha anticipato e reso possibile la confluenza di tutti i media in una sola rete informatica. Seguiremo soprattutto il mondo del video, che è stata la frontiera più avanzata da conquistare, per le risorse software e hardware necessarie a trattare quantità ingenti di dati. In mezzo a quei cambiamenti c'è anche la mia storia professionale visibile attraverso un font di tipo diverso.

date che hanno lasciato il segno

1455

Gütenberg pubblica la Bibbia stampata con caratteri mobili.

1885

I fratelli Lumière proiettano il primo film a Parigi

1888

nasce negli Stati Uniti la Columbia Records che commercializza le prime registrazioni musicali su disco. Contemporaneamente, Eastman Kodak mette sul mercato la prima macchina fotografica per i consumatori.

1919

in molte diverse nazioni iniziano le prime trasmissioni radiofoniche regolari.

1932

la BBC inizia regolari trasmissioni televisive in Gran Bretagna.

1971

Nippon Columbia pubblica Something, di Steve Marcus, la prima registrazione audio digitale.

1976

nasce il VHS che porterà la registrazione video in ogni casa.

1982

Philips e Sony lanciano il primo formato digitale per la distribuzione musicale, il Compact Disc.

1985

Page Maker e Apple, con la prima stampante laser da ufficio, aprono la strada all’editoria completamente computerizzata.

1989

Avid presenta il software Media Composer che dà la luce al montaggio video su Macintosh.

1991

Il primo browser internet viene reso pubblico dai ricercatori del CERN. Con Digidesign Pro Tools la registrazione e il montaggio audio basati su Apple Macintosh si diffondono negli studi di registrazione.

1992

Ampex presenta DCT, il primo sistema di registrazione video digitale.

2000

George Lucas gira Star Wars Episodio II – L'attacco dei cloni con una camera cinematografica digitale.

2004

Panasonic, con il formato P2, sostituisce le schede magnetiche al nastro per la produzione video.

2007

Apple presenta il primo iPhone.

Negli anni ‘80, le tecnologie analogiche sono in piena maturità. Proprio quell’anno nasce la prima telecamera professionale dotata di un registratore video incorporato, si chiama Betacam e la produce la Sony. Grazie ad essa i telegiornali sono presenti in tempo reale e su larga scala, sul luogo degli avvenimenti. Con la pellicola 16 mm era impossibile, lo impedivano i tempi morti per lo sviluppo e il montaggio (e qualche incertezza nel risultato).

Già dal 1971 erano stati introdotti registratori a cassette professionali che si chiamavano U-matic, ma erano scarsi per qualità e non molto pratici visto che richiedevano la presenza di due tecnici, uno per la telecamera e l’altro per il registratore. Furono comunque il primo passo e la RAI fu tra le prime grandi stazioni nazionali a dare la caccia alle notizie con una telecamera.

Quando, nel 1982, ho aperto la partita I.V.A. l‘ho fatto per cominciare a produrre contenuti audiovisivi. La mia prima attrezzatura video era amatoriale, composta da una telecamera con un registratore VHS separato. Con un secondo registratore, riuscivo ad assemblare (più che a montare) diversi spezzoni di video.

A metà degli anni ’80 potei permettermi una telecamera professionale e, nell’autunno del ’89, un sistema di montaggio U-matic. Era talmente pieno di difetti che 3 anni dopo lo sostituii con i Betacam. Raggiungere un buon livello tecnologico nel mondo del video mi costò circa 250 milioni di lire in 6 anni.

Mentre salivo i gradini della tecnica incominciavo a mettere a fuoco un mercato, quello della formazione e della comunicazione interna alle imprese, utlizzando tutta la gamma dei mezzi di comunicazione: fotografia, audio, video, CD interattivi, carta stampata.

“Vai con l’Ampex”, si sentiva dire alla Domenica Sportiva. La videoregistrazione su nastro magnetico è stata resa possibile, nel 1956, dalla omonima società americana, e in Rai essa è diventata sinonimo di videoregistratore. La videoregistrazione allargò la platea dei produttori di contenuti, prima limitata a cinema e stazioni tv. Prese impulso la produzione di video aziendali, in passato appannaggio solo di industrie molto grandi, come Olivetti, Fiat, Montedison, che avevano accesso al mondo del cinema.

Si cominciò ad usare il video in campo culturale e artistico: per restare in Italia, una bella fioritura: art/tapes/22, a Firenze, dal 1973; il Centro Video Arte di Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, dal 1972 al 1994; la cineteca Giaccari, a Varese; Studio Azzurro, a Milano; e molti altri. Le famiglie in formazione iniziarono ad affiancare un video al tradizionale album di matrimonio.

Nel 1982-83 ho realizzato un produzione televisiva destinata all’infanzia, per la Televisione della Svizzera Italiana. Mi chiesero di utilizzare dei videoregistratori Ampex che impiegavano, ancora, un nastro magnetico alto 2 pollici, erano obbligatoriamente installati in un ambiente dotato di aria condizionata ed usavano un sistema ad aria compressa per frenare la rotazione delle bobine, piuttosto pesanti.

Erano macchine enormi e delicate. Nel centro di produzione che le ospitava, c’erano due testine di registrazione diverse: quelle nuove venivano montate solo per i clienti più esigenti e importanti e il trapianto richiedeva lunghe operazioni di taratura.

Molti problemi ostacolavano ancora la diffusione dell’audiovisivo, primo dei quali era il costo molto elevato delle attrezzature. Il secondo problema era la difficoltà di apportare modifiche ai filmati. Il montaggio video, allora, avveniva copiando, uno dopo l’altro, i contributi su nastro o cassetta, da un lettore ad un registratore. Ogni volta che si voleva cambiare qualcosa, alterando la durata di una scena, da quel punto in poi si doveva ripetere il lavoro da capo. Da questo punto di vista il cinema, con l’incollaggio fisico della pellicola, era molto più flessibile.

La prima applicazione dell’informatica al montaggio video nasce per risolvere, in parte, questo problema. Al computer non si chiedeva ancora di memorizzare le immagini, ma solo le informazioni necessarie a eseguire il montaggio, comandando i videoregistratori e chiedendo all’operatore di sostituire i nastri. Un po’ come i file di Adobe Illustrator, o i pdf, che contengono le istruzioni per disegnare la pagina e non tutti i pixel che la compongono.

Eseguire modifiche portava via tempo, una cassetta via l’altra, riavvolgi e copia ogni volta, ma il risultato ora diventava ripetibile. Si poteva risparmiare denaro, abbozzando il montaggio in una sala, con attrezzature meno costose, per poi rifinirlo in quella principale, meglio dotata. Negli anni ’70, un computer di questo tipo riempiva un discreto armadietto e, da solo, costava 250 mila dollari. A fine anni ’80, coll’arrivo di PC abbastanza potenti, questo modo di lavorare divenne uno standard, a costi accessibili, ma non ancora alla portata di tutti.

la grande transizione verso il digitale

Alla fine degli anni ’80 ho prodotto una serie di audiolibri per un corso di management. I nastri analogici (i soli che, a quel tempo, noi comuni mortali potevamo permetterci) si assemblavano tagliandoli fisicamente e unendo gli spezzoni con linguette adesive. Si cercava il punto giusto ruotando a mano le bobine e guai a sbagliare perché tornare in sala di incisione costava tanti soldi.

Oggi, col digitale, si corregge un difetto di pronuncia, si cambia una parola, pescando una sillaba qua e inserendola là, si toglie il respiro dalla voce degli attori, insomma siamo su un altro pianeta.

Il mondo dell’audio, nell’evoluzione verso il digitale, sta un passo più avanti, perché la quantità di dati da trattare è molto inferiore a quella contenuta nelle immagini in movimento. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 gli studi di registrazione di più alto livello, cominciano a trasformare i suoni in dati numerici registrati su nastro. A quel tempo, anche i grandi computer registravano ancora i dati su nastro e, oggi, si fanno i backup si continuano a fare con questi supporti magnetici.

Nel 1982 Philips e Sony lanciano il primo formato di distribuzione digitale, il Compact Disc,  all’origine dei CD, DVD e BLU-RAY che continuiamo ad usare. Non c’è più il soffio del nastro (soprattutto in cassetta) o, sul vinile, il rumore dovuto ai graffi e alla polvere. Aumenta la gamma dinamica riproducibile (la differenza tra i suoni più deboli e quelli più forti) e non c’è quasi più il rischio di danneggiare i supporti.

Nel 1985 Apple lancia il desktop publishing trasferendo, in pochi anni, dentro i suoi Macintosh l’intero processo di stampa, dalla scrittura alla lastra. Nel 1989, la giapponese Fuji mette in vendita la prima macchina fotografica completamente digitale: un sistema, completo di archivio su registratore digitale a cassette per conservare le foto, che registrava immagini formate da 400 mila punti e costava 20 mila dollari. Per avere un termine di paragone teniamo presente che le immagini del vostro smartphone contengono 12 milioni di punti, o anche di più. Una macchina fotografica professionale, oggi, quadruplica questo valore. Nel 1990 viene resa disponibile la  la versione 1.0 di Photoshop. Il suono e le immagini fisse si avviano a tradursi in una sequenza di dati numerici, pronti per essere elaborati dentro un computer.

Nel 2001 ho realizzato il primo lavoro professionale con una macchina fotografica digitale. Si trattava della brochure istituzionale di una catena di supermercati. In quel momento il procedimento più diffuso era ancora fotografia analogica, scansionata con macchine a tamburo complesse e costose.

Lo stampatore era scettico, ma passammo direttamente i file al tecnico che correggeva il colore delle scansioni e, malgrado il carattere semiprofessionale della macchina fotografica, il lavoro venne benissimo. Il minor costo ripagò letteralmente in un giorno la fotocamera.

Per i PC del tempo (ma in proporzione alle nostre esigenze, anche per quelli di oggi) l’ostacolo da superare, prima ancora della potenza di calcolo, è la mole dei dati da archiviare. La soluzione stva nella compressione dei dati: è uno di quegli affari per matematici che hanno un grande impatto sulla vita di tutti.

Le sigle ci sono, ormai, familiari e si standardizzano a partire dal 1992: MP3 per l’audio, JPEG per le fotografie, MPEG per il video, che nel 1998 evolverà nel più noto MP4 e, poi, nel recentissimo HEVC la cui ’introduzione ci costringerà presto a sostituire i vecchi televisori. Tutte queste tecniche producono una riduzione dei dati necessari a immagazzinare un contenuto che può andare da 10 a 100 e più volte.

Si basano tutte sul compromesso tra una riduzione della quantità di dati piuttosto importante e una perdita di informazioni relativamente piccola. Ai tecnici è lasciata la possibilità di fare le scelte migliori per ogni applicazione.

Dopo alcuni anni di lavoro con gli Amiga della Commodore (ne ho parlato qui), nel 1991 ero passato al Macintosh. In quell’anno Apple presentò Quick Time, un’architettura software per la riproduzione dei video su computer. Ma come portare i video dentro il computer? Ci pensò una piccola società, chiamata Supermac, che creò la prima scheda per Apple, capace di digitalizzare il video e venduta ad un prezzo accessibile.

La scheda si chiamava Video Spigot e il software accluso Real Time: fu venduto a Adobe, dando vita a Première, oggi il software di montaggio video più usato nel mondo. Con l’aiuto di questa scheda creai il mio primo CD interattivo, contenente anche video, un corso di formazione per la Coop.

Intanto a Boston, siamo nel 1989, una startup chiamata Avid comincia a costruire, attorno agli onnipresenti Apple Macintosh, dei sistemi di montaggio completamente basati su computer. Una scheda di acquisizione e compressione traduce il segnale video contenuto nei nastri, trasformandolo da analogico in digitale e memorizzandolo sui dischi rigidi.

Attraverso un’interfaccia grafica, il software costruisce un data base che elenca, per tutti i contributi, i punti di ingresso e di uscita di ogni scena. Il materiale originale non viene copiato o modificato e il montaggio può essere variato in qualsiasi modo e momento.

All’inizio, questi sistemi hanno una qualità insufficiente per la messa in onda televisiva: si usano perciò, per costruire e affinare il montaggio, producendo un set di istruzioni per assemblare le pellicole, o i nastri magnetici. Nel giro di pochi anni, la qualità migliora e consente di montare direttamente, anche per la TV. Contemporaneamente, Digidesign sviluppa, sempre su Macintosh, lo stesso concetto per l’audio, dove il computer esegue direttamente anche la registrazione multitraccia dei musicisti, o attori, presenti nello studio. Le due compagnie confluiranno, creando un colosso presente in tutte le maggiori produzioni cinematografiche, stazioni televisive e sale di registrazione musicale.

Nel 1995 un Avid Media Composer entrò nel mio studio: assieme al Macintosh più potente, pieno di schede e con due grandi monitor (ancora col tubo catodico), c’erano 8 hard disk da 9 GB l’uno, che potevano contenere circa 1 ora e 1/2 di immagini video. Una volta al mese andavano smontati e puliti internamente, perché la polvere si accumulava, facendoli surriscaldare.

Un Avid ostava 120 milioni di vecchie lire e, a comprarlo, mi aiutò Giulio Tremonti, con la detassazione degli investimenti. Per il contratto di assistenza ci volevano altri 5 milioni ogni anno. Ma quando sorse un problema, trovai la soluzione da solo e la segnalai io a loro (la sharing community ha una lunga storia, fatta anche di spine). Un paio d’anni più tardi, ci volle poi un robusto aggiornamento di software e hardware, milionate a diecine, come si diceva, allora, tra piccoli imprenditori lombardi.

Sono stato quasi sempre veloce a imparare l’uso del software. Ma quando accesi il Media Composer per una prima sessione, in un paio d’ore non riuscii a fare un passo; ricordo ancora il terrore di aver fatto una scelta sbagliata che, per fortuna, svanì, dopo un buon sonno e un tentativo più fortunato. Passare dalla vecchia postazione a quella nuova, con al centro il computer, mi creò non pochi problemi ergonomici.

Grazie ai file compressi MP3, verso metà degli anni ’90, internet comincia a riempirsi di brani musicali distribuiti in modo illegale che, a fine decennio, confluiranno in milioni di Apple iPod (cominciava l’assalto ai diritti d’autore che si smorzò, poi, con iTunes).

Sul finire degli anni ‘90, un telefono cellulare, il giapponese Kyocera VP-210, incorpora per la prima volta una macchina fotografica digitale. Anche il mondo della ripresa video professionale segue, non senza incidenti di percorso, la strada del digitale. Ma i dati si registrano ancora su nastro.

Ampex, che aveva mostrato la via della registrazione analogica, arriva per prima. Presenta nel, 1992, un sistema di registrazione digitale a cassetta. Problemi finanziari pregressi e il grande investimento compiuto, la porteranno al collasso. Ci riprova Sony, riuscendo, con il Digital Betacam e il Betacam SX: soluzioni specializzate che avranno risultati diversi nei diversi mercati. Finalmente il video è arrivato dove l’audio era giunto già 15 anni prima.

la comunicazione diventa democratica

In quel periodo, gli affari andavano bene, l’Avid l’avevo pagato tutto e subito. Ma bisognava passare al digitale anche con le riprese.

Vado a Montreux, in Svizzera, ad una fiera dedicata alle grandi stazioni Tv europee, dove avrei potuto vedere e toccare le novità della ripresa video digitale. Sony ha uno slogan che recita: “Your Business, Our Vision”. Vuol dire: “pensa a lavorare, con che attrezzature te lo dico io” e somiglia a quello dei Supermercati GS, miei clienti del tempo: “GS sa quel che vuoi”. Un marketing piuttosto aggressivo.

Parto innamorato di una telecamera bellissima, ma totalmente inadatta ai miei scopi, e di un sistema di videoregistrazione nuovissimo che sarebbe perfetto per la CNN, ma con più di qualche problema nelle mie applicazioni. Trovo il mio bravo, affidabile, venditore che mi spiega e rispiega la Vision di Sony: per me va bene il sistema DVcam, che a me sembra poco professionale ma… per fortuna ho seguito il consiglio.

Il formato DV nasce per la registrazione digitale amatoriale ma, a differenza del VHS, la qualità è all’altezza dei migliori sistemi di acquisizione analogica. Sony e Panasonic ne estraggono dei formati professionali, che si differenziano per pochi dettagli. Con la condivisione dello stesso formato  dei dati tra macchine amatoriali e professionali, nascono versioni professionali di piccole telecamere, a prezzi molto più bassi.

Insieme a Sony, Apple introduce l’interfaccia Firewire, con la quale il video, solo se in formato DV, può essere trasferito nel computer, direttamente dalla camera, o da un lettore, senza l’aggiunta di schede costose: ripresa e montaggio diventano una possibilità aperta a (quasi) tutti e nasce una nuova figura: il Videomaker. Quello che era un lavoro di squadra può essere svolto anche da una sola persona.

Fatto buon viso a cattivo gioco e accettata la “Vision” di Sony, mi trovo con le mie nuove cassette DV. Apple ha appena presentato il suo software di montaggio video, Final Cut Pro. Allora scommetto: vuoi vedere che un computer da 5 milioni di lire fa lo stesso lavoro dell’Avid 24 volte più caro?

Acquisto, installo e provo a rifare, col nuovo sistema, l’ultimo lavoro consegnato a un cliente. Ripeto ogni dettaglio del montaggio, ogni effetto, senza problemi. Vendo il mio Avid. Si aprono anni nei quali, finalmente, lavoro per me oltre che per pagare le attrezzature e le tasse.

Un giorno, scopro un software americano che registra il DV su un PC portatile, lo monitora e ne controlla la qualità. Sarebbe bello, mi dico, tornare dalle riprese e copiare i dati da un computer all’altro. Detto fatto, il fabbro mi prepara una piastra porta-computer che monto su un cavalletto con ruote e ho creato un videoregistratore digitale portatile.

Infatti, restava ancora da liberarsi dei nastri magnetici. Trasferirli dentro al PC è un lavoro lungo e noioso, che richiede un lettore e la presenza costante di un operatore. Molto più comodo registrare i file su un supporto informatico, dal quale copiarli direttamente sugli hard disk. Nel 2004 Panasonic introduce nel mondo del video professionale di alto livello le schede P2 ed altri la imiteranno, rivolgendosi man mano a fasce di mercato più larghe. Ormai da qualche anno, con prestazioni sempre più alte e dimensioni sempre più piccole, le schede di memoria diffuse nel mondo fotografico hanno raggiunto prestazioni più che sufficienti a registrare il video, anche alle risoluzioni più alte.

Mi sono formato nel mondo delle immagini attraverso la fotografia. Ma, per più di 20 anni, non ho mai voluto eseguire personalmente le videoriprese, preferendo affidarmi a operatori professionisti. Il peso e la dimensione delle telecamere mi intimidivano e mi mancava, anche, la visione diretta della scena, attraverso un mirino ottico.

Solo con la nascita di telecamere più compatte e la  crescente necessità di contenere i costi di produzione, ho cominciato a maneggiare la telecamera, fino a trasformarmi, da produttore, in “videomaker”. Avevo acquistato, per mio uso personale, la prima macchina fotografica in grado di registrare dei video, ma di questa funzione non mi ero occupato: avevo già una “vera” videocamera. Eppure, proprio dalle macchine fotografiche, stava per cominciare un’altra piccola rivoluzione.

Nel 2000, George Lucas gira Star Wars: Episodio II – L'attacco dei cloni con una camera cinematografica digitale, realizzata in collaborazione da Sony e Panavision. Nel 2007 le camere Red rendono un po’ più accessibile il mondo, ancora esoterico, del cinema digitale. Pochi anni dopo Arri, leader delle cineprese 35 mm impiegate negli Studios di Hollywood, dimostra che i dinosauri possono evolversi. Attraversa indenne il passaggio dall’analogico al digitale e mantiene la sua posizione di numero uno nel mercato cinematografico.

Nel 2012 Canon lancia la Eos 5D Mk II, una macchina fotografica per amatori evoluti che mette nelle mani di migliaia di appassionati e professionisti la possibilità di girare dei video con un risultato visivo paragonabile a quello del cinema. Lo deve, soprattutto, al suo sensore di grande dimensione e ad una gamma di ottiche in grado di coprire ogni necessità. Con quest’ultimo passo si compie, contemporaneamente, la confluenza di cinema e video e quella tra il mondo professionale e quello amatoriale.

Avviandomi verso il momento di lasciare il lavoro fatto per campare, ho seguito questa tendenza, dedicandomi a produrre dei video per il mondo dell’arte, che ho sempre seguito e frequentato con interesse. È stato bello rimettere al centro la qualità fotografica delle riprese, dopo anni dedicati alla comunicazione aziendale, soprattutto ricca di contenuti. I risultati, se avete voglia, potete vederli qui.

la vita digitale: dove si va?

Di questa storia che, ormai, ha raggiunto il presente, quali sono le grandi tendenze da ritenere?

  • In primo luogo, nelle reti informatiche confluisce il trattamento digitale dei testi, delle immagini e dei suoni, creando una piattaforma tecnica universale di comunicazione. Nazioni come la Svizzera hanno già abolito il digitale terrestre e distribuiscono la TV nazionale tramite internet; le grandi stazioni televisive stanno trasformando le infrastrutture interne, sostituendo i protocolli IP (quelli di internet) alle vecchie interfacce digitali specializzate. Il cinema viene distribuito nelle sale attraverso reti satellitari. Leggiamo libri, giornali e riviste su un tablet.

Siamo alle soglie della introduzione del 5G con il quale, potenzialmente, ogni telefono cellulare potrà ricevere e trasmettere audio e video in tutto il mondo, senza limitazioni. Sony, già oggi, offre un servizio a pagamento, a prezzi estremamente accessibili, con il quale si può produrre e distribuire via internet un programma tv, con immagini in streaming provenienti da tutto il mondo.

  • In secondo luogo questa storia racconta che la produzione di musica, di immagini, fisse o in movimento, ma anche la produzione di libri o fanzine, diventa alla portata di tutti.

L’audiovisivo continua a comunicare dall’alto in basso, con Netflix, o la TV commerciale, ma diventa anche strumento di dialogo, creatività e comunicazione dal basso. Le boy band producono video e CD e a questa produzione guardano i talent scout delle case discografiche. Chiunque può pubblicare un blog e Youtube si riempie di Vloggers. I costi di accesso sono scesi vertiginosamente e uno smartphone può bastare, per cominciare. Tutto questo, probabilmente, si dovrebbe insegnare a scuola: un po’ meglio.

  • Il terzo punto è che, in questo passaggio, Apple ha un ruolo chiave, dall’alto e dal basso.Negli anni ’90 i Macintosh mettono a disposizione dei professionisti potenza e facilità operativa, necessarie a non imbrigliare la creatività nei labirinti del tecnicismo. Due decenni dopo, Apple inventa lo smartphone, terminale personale e portatile per produrre, fruire e scambiare contenuti, declinati in ogni linguaggio.

Noi, utenti di questi prodotti e servizi, siamo culturalmente inadeguati, se guardiamo alla potenza degli strumenti che siamo chiamati a gestire. E si vede!

  • Quarto, i confini rigidi che, per un secolo, hanno separato il mondo professionale da quello degli amatori cominciano ormai a confondersi. Restano, importantissime, le differenze nei capitali in gioco, nelle modalità organizzative, nei flussi di lavoro. Ma si può provare a ottenere un risultato di qualità superando barriere di accesso, tecniche ed economiche, molto accettabili. Si può fare bene da soli o in piccoli gruppi. E, tra i talenti che sono richiesti, oggi prevale la creatività sulla tecnica.
  • Quinto e ultimo, la comunicazione dematerializzata e basata sui dati pone il problema della sua archiviazione, affidata alla tecnologia. Che, per definizione, si evolve in tempi brevissimi ed è esposta a guasti e ad attacchi. Una strategia che preservi il patrimonio personale e collettivo degli archivi digitali dall’obsolescenza degli strumenti e dai rischi connessi alla tecnologia è un problema che ci riguarda ormai tutti.
     
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Informazioni su Lorenzo Baldi

Lorenzo Baldi, classe 1952, dopo aver parecchio studiato non si è mai laureato. Ha collaborato al “Quotidiano dei lavoratori” e al “Manifesto” e si è iscritto al Pci alla fine degli anni ’70. È stato consigliere comunale a Saronno (VA), fino al 1990, anno nel quale ha lasciato il partito e la politica attiva. Svolge la sua attività professionale nel campo della comunicazione ed ha creato dal 1982 una piccola società che si occupa di formazione e comunicazione interna per grandi aziende di servizi, soprattutto nell’ambito della distribuzione organizzata. Nel corso di questa attività ha accompagnato l’introduzione nelle aziende dei mezzi di comunicazione audiovisiva, attraversando tutte le fasi della produzione analogica e digitale e della distribuzione fisica e virtuale dei contenuti. Parallelamente, ha coltivato un interesse particolare per l’arte contemporanea che, dopo un lungo intermezzo che ha seguito le pubblicazioni e mostre degli anni ’80, lo ha portato a creare un progetto no-profit di documentazione video, rivolto al mondo dell’arte, attraverso il sito web videoforart.it
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