i calzini del dr Bertlmann

Illustrazione originale dell’articolo

L’articolo I calzini del dr. Bertlmann fa parte della raccolta di articoli di J.S. Bell di taglio epistemologico intitolata Speakeable and Unspeakeable in Quantum Mechanic.

Mentre lavoravo al secondo capitolo di MQ, per alleggerire un po’ mi sono letto l’articolo di Bell e ho deciso che valesse la pena di tradurlo per renderlo disponibile ad un pubblico italiano più ampio. Detto … fatto

La storia dei calzini spaiati è vera e fa parte delle bizzarrie del dr. Bertlmann per la serie 1968 e dintorni. Bell utilizza l’argomento per spiegare le correlazioni che hanno una origine nel passato anche se l’esempio rischia di essere vagamente fuorviante, perché le correlazioni quantistiche legate all’entanglement si attualizzano nel presente.

Bell e Bertlmann erano due persone fuori dal comune e basta vederli in questa foto del 1980 al CERN per capire che si trattava di due personaggi oltre che fuori dal comune anche fuori dagli schemi.

Bertlmann e Bell al CERN nel 1980

Oggi ho ripreso in mano l’articolo di Bell per festeggiare l’acquisto di “Modern Quantum Mechanic – from Quantum Mechanics to Entanglement and Quantum Information” di Bertlmann che utilizzerò per scrivere la parte finale  del II capitolo di MQ. Lo pubblicherò nei prossimi giorni in attesa degli ultimi paragrafi (le prove sperimentali della violazione quantistica della località, le applicazioni dell’entanglement alla crittografia, al teletrasporto e alla informatica quantistica).

Oggi ho finito la revisione dell’esistente e già così è un bel malloppone.

Il libro di Bertlmann l’avevo scaricato in pdf come faccio con i testi da selezionare in vista di un acquisto e oggi ho deciso di regalarmi per Natale il cartaceo. Su 1000 pagine ce ne sono ben 700 dedicate agli sviluppi recenti della MQ. Che bello sarebbe stato avere il professor Bertlmann, nella primavere del 68, a tenere il corso di Istituzioni di Fisica Teorica… al posto del professor Prosperi che non capiva le nostre domande impertinenti.

Ma che dico?  Bertlmann è’ un mio coetaneo. E’ nato nel 1945 e dunque, ha un anno più di me e nel 68 muoveva i primi passi da studente; il suo dottorato è del 1974 … e si è sposato con una delle leader del movimento femminista austriaco, Renate. Ha scritto anche un importante testo di tipo critico sulla elettrodinamica quantistica.

Che bello questo ritorno a Vienna; la università di Boltzmann, di Mach e poi del circolo  che porta il nome della città. e che ha segnato una svolta nei miei riferimenti culturali generali e poi politici. Questo libro me lo terrò caro.

Segnalo che c’era un errore nel link al primo dei due capitoli di MQ che lo rendeva irraggiungibile. Ho corretto ma lo ripubblico qui Capitolo 0605


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso –L’articolo di John Bell – i calzini del dr Bertlmann





niente paura è solo Schrödinger in compagnia di Hilbert

Inizialmente avevo pensato che, per sbrigarmela con la meccanica quantistica in un corso di Fisica Generale, sarebbe bastato un solo capitolo ma non è andata così. I capitoli, abbastanza corposi, sono diventati due e probabilmente per dare conto di tutti gli sviluppi più recenti diventeranno tre.

Questo primo capitolo, nella prima parte riprende la parte introduttiva che avevo scritto quando ancora insegnavo (nel 2007). L’idea è quella di fornire un quadro di quella fase incasinata iniziata a fine XIX secolo e proseguita sino ai primi due decenni del XX.

Dopo che con gli sviluppi della sintesi maxwelliana dell’elettro‌magnetismo e con la riduzione della termodinamica classica (con le sue leggi generali piuttosto bizzarre) alla meccanica statistica, nel mondo della scienza si era pensato che, dà lì in poi, si sarebbe trattato solo di applicare l’indagine del mondo fisico a modelli che la riconducessero alle leggi generali già note.

Come sappiamo non è andata così; le nuove scoperte evidenziavano originalità della natura che mal si conciliavano con le leggi note. Per esempio, man mano che si faceva strada (con la scoperta dell’elettrone e con il lavori di Rutherford sulla esistenza di un nucleo atomico) una ipotesi di modello atomico di tipo planetario, nascevano problemi legati al fatto che le cariche elettriche in moto circolare (e dunque accelerato) avrebbero dovuto emettere onde elettromagnetiche perdendo energia e gli atomi planetari sarebbero collassati in una infinitesima frazione di secondo.

Il primo paragrafo riprende quanto già descritto nel capitolo 4 relativamente a questo procedere a tentoni ogni qual volta un nuovo esperimento portava alla scoperta di una nuova bizzarria; pian piano ci si rende conto che bisogna rovesciare il quadro teorico di riferimento e creare qualcosa che la facesse finita con le ipotesi ad hoc.

Il secondo paragrafo è dedicato alle diverse strade che vennero intraprese per arrivare alla nuova teoria: nuove regole costruite a partire solo da grandezze osservabili (Heisenberg), allargamento alla nuova meccanica di quanto era stato fatto in ottica nel passare dall’ottica geometrica all’ottica fisica facendo riferimento ad alcuni schemi teorici (i principi variazionali sviluppati in meccanica razionale) in modo che si potessero applicare al nuovo mondo le leggi e i formalismi matematici delle onde (Schrödinger).

Il secondo approccio si è rivelato più semplice da maneggiare e ancora oggi è quello utilizzato in tutto il mondo per presentare la MQ. Se ne occupa il III paragrafo interamente dedicato alla equazione di Schrödinger: processo euristico che ne giustifica la costruzione, forma matematica e principali caratteristiche (primi cenni agli operatori e significato della funzione di stato Y).

Il quarto e quinto paragrafo hanno una impostazione tecnica e riguardano la manipolazione e l’uso della equazione di Schrödinger: scomposizione in dipendenza spaziale e temporale, costruzione delle soluzioni nel caso di una buca di potenziale finita e infinita. Cercando le soluzioni nel caso della buca finita e nella successiva trattazione della barriera di potenziale avrete l’occasione di capire cosa si intendesse in fisica teorica con lo slogan giù la testa e calcolate.

Per un verso avrete la soddisfazione di capire come salta fuori l’effetto tunnel (uno degli effetti sbalorditivi della MQ) e per l’altro vedrete come la costruzione delle soluzioni sia una cosa concettualmente abbastanza semplice ma operativamente complessa per il continuo ricorso a trucchi, cambi di variabile, costruzione grafica delle soluzioni.

L’ultimo paragrafo tratta esclusivamente dei richiami di matematica necessaria alla trattazione generale della M.Q. di cui si occupa il capitolo successivo.

La MQ, nella sua formulazione generale, ha come protagonisti gli operatori, una generalizzazione del concetto di funzione. Gli operatori (le osservabili) sono oggetti matematici che vengono costruiti in maniera che ad ogni grandezza fisica classica corrisponda un operatore quantistico e sia questo operatore a darci le conoscenze sul mondo fisico; ma, attenzione, esistono anche operatori quantistici che non hanno una grandezza fisica tradizionale corrispondente, per esempio lo spin.

Gli operatori agiscono su oggetti chiamati vettori, che operano nel campo dei numeri complessi e che sono la generalizzazione molto ampia degli ordinari vettori dello spazio a 3 dimensioni.

Tutto ciò avviene in uno spazio astratto, detto spazio di Hilbert e l’ultimo paragrafo del capitolo serve a dare al lettore gli strumenti per comprendere la struttura assiomatica della teoria quantistica di cui si occupa il capitolo 06.

Avrete capito che non è obbligatorio leggere tutto o comunque leggere tutto con lo stesso grado di attenzione relativamente ai dettagli. Tutto dipende dal grado di comprensione che vorrete raggiungere. Questo è il livello di compromesso che mi è sembrato utile e necessario.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0605


 




linguaggio comune – linguaggio scientifico – divulgazione

Ogni volta che leggo i testi di fisica della ex URSS resto impressionato dal quanto, tante energie positive, rispetto ad un rapporto razionale con il mondo, siano state gettate dalla finestra insieme alla tanta acqua sporca.

Dello stesso autori potete trovare nel link a fondo pagina un testo dedicato alla natura del magnetismo e un altro sulle quasiparticelle entità a metà strada tra onde e particelle che hanno a che fare con la fisica dei solidi.

Il testo sul magnetisno, alla faccia del divulgativo (la serie si intitola “la scienza per tutti”), va in maggiore profondità di quanto non facciano i testi universitari di “fisica generale” italiani e americani. Credo che loterrè presente nel rivedere la parte del nio corso sul “magnetismo nella materia”.

La introduzione è un po’ lunga ma merita di essere letta.

Quando la scienza percepisce il mondo circostante e trasforma “le cose in sé” in cose “per noi”, quando domina nuovi campi e trasforma le sue conquiste trasformandole in strumenti quotidiani dell’umanità, svolge anche una funzione aggiuntiva. Cioè, compone un’immagine del mondo che viene modificato da ogni generazione successiva e costituisce una delle caratteristiche più importanti di civiltà.

L’immagine del mondo, cioè, la somma totale delle informazioni dell’umanità sulla natura, è conservato in centinaia di volumi di monografie speciali e in decine di migliaia di articoli su riviste scientifiche. A rigor di termini, questa immagine è nota all’umanità nel suo complesso ma non a una singola persona.
Un uomo, anche con la migliore istruzione possibile, conosce solo i dettagli di un piccolo frammento dell’immagine complessiva e gli bastano informazioni approssimative su tutto ciò va oltre il suo campo speciale.

Le difficoltà nell’ottenere l’immagine di tutto il mondo circostante risulta non solo dalla diversità illimitata di dati ma anche dall’esistenza di lingue specializzate. Queste lingue sono mezzi di comunicazione e di sviluppo di strutture logiche all’interno di domini separati domini; queste lingue sono totalmente prive di significato per uno scienziato che lavora in un ambiente remoto e sono solo approssimativamente comprensibili a chi lavora in un campo adiacente.

La generalizzazione dei risultati scientifici e la composizione dell’immagine del mondo richiedono che le descrizioni debbano essere tradotte da uno specialista di quella lingua in una lingua ordinaria (universale). Ed è qui che si incontra l’ostacolo: i linguaggi specializzati sono molto formalizzati in misura maggiore di qualsiasi linguaggio comune della esperienza quotidiana.

La traduzione è sempre difficile. Questo è particolarmente vero per la traduzione da un ambito scientifico in una lingua in cui il significato di ciascun concetto non è strettamente definito, ma può essere facilmente modificato sotto l’influenza del esperienza accumulata dall’utente della lingua. Immagini del mondo create nella mente di persone diverse sono diverse non solo perché le persone hanno digerito quantità ineguali di informazioni ma anche perché queste informazioni sono codificate in lingue diverse.

Un biologo costruisce un’immagine del mondo molto diversa da quello di un fisico. L’immagine di un ingegnere è molto più “meccanicistica” di quello di uno specialista in le discipline umanistiche. La letteratura scientifica popolare è un tentativo di tradurre da un linguaggio scientifico rigoroso in un linguaggio meno formale. Sarebbe sbagliato pensare che gli scienziati nel parlare o pensare su temi professionali impieghino sempre e solo una terminologia scientifica rigorosamente formalizzata. Lungi da ciò.

Non è difficile trovare, ascoltando gli argomenti in una discussione scientifica, o prestando attenzione alla formulazione delle relazioni consegnate ai convegni e seminari, o semplicemente ascoltando gli specialisti parlare in modo informale durante queste conferenze, che ogni branca della scienza genera due linguaggi.
Uno rigoroso e preciso, l’altro molto meno rigoroso.

Questa seconda lingua è una miscela di termini tecnici e parole di tutti i giorni. L’uso ripetuto del linguaggio di tutti i giorni dà a queste parole un significato molto particolare difficile da trovare anche nel miglior dizionario enciclopedico. Ciò che è essenziale, tuttavia, è che l’aggiunta della parte scientifica al significato non sopprime il sapore emotivo della parola.

Non c’è dubbio che le parole di qualsiasi linguaggio umano possiedono un potere magico di messa in moto di catene di immagini associative, stimolanti la mente e stimolanti le emozioni. Questo rende la parola uno strumento molto potente. Questo spiega perché uno scienziato che cerca una soluzione rigorosa utilizzi un modo di colloquiare vivace durante la discussione con gli oppositori del suo punto di vista; non limita il suo linguaggio a un gergo scientifico le cui parole sono precise ma prive di emozione.

La letteratura scientifica popolare familiarizza il lettore con il linguaggio “colloquiale” della scienza.
I termini convenzionali spesso comportano allusioni che sono marginali in un contesto scientifico e quindi possono interferire con la comprensione di una affermazione. La traduzione dal linguaggio scientifico a una lingua convenzionale comporta delle perdite. La precisione viene sacrificata, il che è un prezzo inevitabile della semplificazione.

È possibile, tuttavia, cercare di ridurre il carico di allusioni inutili che si trascinano dietro il linguaggio di ogni giorno. Prendiamo il termine “decadimento”. Un non fisico apprende dall’edizione integrale del “Random House Dictionary of the English Language” (1966) che “decadimento” significa: vi. 1. diminuire in eccellenza, prosperità, salute, ecc.; deteriorare. 2. decomporre; Marcire. 3. (fisico) (di un nucleo radioattivo) trasformarsi spontaneamente in uno solo o più nuclei diversi in un processo in cui vengono emesse particelle, come particelle alfa, dal nucleo, vengono catturati o perduti elettroni o perso, o avviene la fissione.

Un fisico, tuttavia, cercherà di spiegare che il decadimento di un neutrone in un protone, un elettrone, e antineutrino non significa che, prima del decadimento (in parti separate), il neutrone era formato da un protone, elettrone e antineutrino. La parola “decadimento”, dice il fisico, qui significa “trasformazione”, nonostante tutti lo chiamino “decadimento”.

Un altro esempio: urto o “collisione”. Lo stesso dizionario afferma: N. 4. l’atto della collisione; arrivando violentemente in contatto; incidente (come per i treni ferroviari o navi). 2. uno scontro; conflitto. 3. (fisico) l’incontro di particelle o corpi in cui ciascuno esercita una forza sull’altro, causando lo scambio di energia o quantità di moto.

Ma nella fisica dello stato solido la collisione elettrone-fonone collisione significa che l’elettrone ha “assorbito” il fonone. Un’analogia comica: una collisione tra lupo e lepre. Dopo la collisione, il lupo è solo sul campo.

La scienza dà origine a nuovi concetti quasi ogni giorno, quindi è necessario creare nuovi termini costantemente. Parole del linguaggio comune di tutti i giorni sono spesso presi in prestito per produrre questi termini. Al giorno d’oggi è popolare prendere in prestito le parole un ambito molto lontano dalla scienza.

La fisica di particelle elementari, ad esempio, ha incorporato “stranezza”, “fascino”, “colore” e “gusto”. Questa moda potrebbe essere collegata non tanto con l’inventiva sfrenata dei creatori della nuova fisica ma con i loro tentativi di evitare la concomitante introduzione di sostanze indesiderate nei concetti.
L’autore del nome “quark” per a la particella subnucleonica (M. Gell-Mann) era molto consapevole (o sentiva intuitivamente) che le allusioni ai quark di Joyce non dovessero influenzare la comprensione delle proprietà dell'(allora) ipotetica sub-particella.

La letteratura scientifica popolare aiuta i non addetti ai lavori a percepire il contenuto scientifico delle parole che sono stati estratti dal linguaggio quotidiano e trasferite in un ambiente sconosciuto.
Ma l’obiettivo principale della letteratura scientifica popolare è, ovviamente, rendere edotti un gran numero dei lettori dei progressi della scienza.

Il libro che stai per leggere leggendo ora è un testo di scienza divulgativa sulla meccanica quantistica dello stato solido. Siamo consapevoli dei numerosi libri divulgativi di scienza dedicati alla fisica dello stato solido. Il presente libro è diverso in quanto è un tentativo di concentrarsi esclusivamente sulla fisica quantistica dello stato solido e di ignorare le applicazioni.

È un libro sui metodi di interpretazione degli effetti macroscopici, sulla relazione tra fisica dello stato solido e meccanica quantistica, sulla creazione e l’uso di nuovi concetti…. Ma ho perseguito anche un altro obiettivo: “sollevare il velo” spiegando come si ottengono certi risultati senza limitare la presentazione ad una dettagliata descrizione dei risultati stessi.

Il lettore sarà il giudice se il il tentativo è fallito o è riuscito. Scrivere questo libro è stato un piacere e ho “torturato” i miei amici e parenti, e soprattutto mia moglie, facendoli ascoltare ad alta voce la mia lettura di alcuni passaggi. Loro erano sempre ascoltatori pazienti e meritano la mia più profonda gratitudine.


Questo è l’indice del testo – lo trovate qui Mir Books | Books from the Soviet Era insieme a una miriade di libri scientifici da quelli divulgativi a quelli tostissimi, tutti scaricabili grattuitamente. Molti di quei libri tra la fine degli ann60 e la prima metà degli anni 70 hanno accompagnato la mia formazione scientifica

Instead of an Introduction: Languages of Science
Chapter 1. On Physics in General and Quantum Mechanics in Particular
Introduction to the Next Five Chapters: Solid State Physics
Chapter 2. Phonons
Chapter 3. Two Statistics
Chapter 4. Electrons
Chapter 5. Electrons and Phonons
Chapter 6. Magnons
Concluding Remarks




la forza di Lorentz ne combina di tutti i colori

Il titolo del capitolo “la forza magnetica e le sue applicazioni” va compreso nella sua interezza; descrivere le caratteristiche della forza magnetica è abbastanza semplice, ma sono le svariatissime applicazioni di questa forza a farla da padrone e, non a caso, tra un paragrafo l’altro ci sono ben 27 esercizi abbastanza tosti e svolti in maniera dettagliata.

La forza magnetica nella forma della interazione tra correnti è stata scoperta e studiata da Ampere a inizio 800 nello stesso contesto in cui è nata l’idea di corrente elettrica. Il primo paragrafo è dedicato alla illustrazione di quel contesto storico e agli sviluppi che ne ha fatto l’elettrotecnica con la invenzione degli strumenti di misura a bobina mobile e dei motori a corrente continua. Sul piano delle applicazioni, esemplare il wattmetro, il misuratore della potenza elettrica dove interagiscono magneticamente due bobine una legata alla corrente e l’altra alla d.d.p.

Dopo i doverosi richiami alla storia si passa a questioni in cui il moto delle cariche elettriche si lega strettamente alla fisica moderna e alle sue evoluzioni.

La forza magnetica è di tipo trasversale rispetto al moto delle cariche ed ecco comparire cariche che si muovono su traiettorie circolari. Siamo nei primi decenni del 900 e sulle lastre fotografiche appaiono due particelle che si muovono su due circonferenze tangenti formando un otto. Una è un elettrone e l’altra che, si muove allo stesso modo ma in verso opposto, deve avere carica positiva; siamo in presenza della prima scoperta dell’antimateria.

Le cariche in moto in presenza di campi magnetici possono avere energie anche molto grandi, maggiori di mc2 e in questo caso i calcoli richiedono l’uso della teoria della relatività perché, man mano che l’energia cresce, quella che aumenta non è più la velocità ma la massa della particella. Alcuni esercizi svolti vi insegnano il da farsi.

Il percorso storico legato al 900 prosegue con la presentazione dettagliata dei lavori di J.J. Thomson che portarono, partendo dai raggi catodici, alla scoperta del carattere granulare della elettricità e alla necessità di ripensare l’intera struttura della materia; tutte cose realizzate usando campi elettrici incrociati con campi magnetici, tubi di vetro, pompe a vuoto e grandi capacità sperimentali.

Il successivo balzo in avanti riguarda la scoperta del primo acceleratore di particelle, il ciclotrone, che sfrutta una strana proprietà delle cariche in moto in un campo magnetico: fanno traiettorie circolare con un raggio sempre più ampio man mano che si fa crescere la loro energia ma, meraviglia delle meraviglie, impiegano sempre lo stesso tempo a fare un giro e così gli impulsi di campo elettrico possono essere dati sempre con lo stesso ritmo almeno finché non si entra nel dominio della relatività.

Quando mi sono iscritto a fisica nel 1965, di fianco all’istituto, era stato appena terminata la costruzione di un grande ciclotrone che ha funzionato sino agli anni 80: ferro, rame, tanta energia e tante piccole reazioni nucleari che, con pazienza i laureandi leggevano guardando pellicole fotografiche nel capannino, una baracca di fianco al capannone, dove stava il ciclotrone.

I ciclotroni sono stati superati quando c’è stato bisogno di energie sempre più grandi, ma ci ha pensato la medicina nucleare a farli tornare di moda: oggi si usano come generatori di proiettili  per tutte quelle applicazioni diagnostiche e terapeutiche in cui servono isotopi radioattivi s vita media così breve che occorre fabbricarseli in casa. Se vuoi usare la PET (tomografia ad emissione di positroni) ti serve un ciclotrone.

I ciclotroni nella ricerca sulle particelle e in quella sui costituenti ultimi dell’universo sono stati sostituiti da un’intera famiglia di acceleratori circolari, relativistici e sempre più grandi, i sincrotroni; acceleratori così grandi che i laboratori ormai dentro allo strumento e non viceversa.

Descrivo il più grande oggi esistente quello del CERN con il suo anello di 27 km a 100 m di profondità con i 4 laboratori messi in grandi caverne in 4 punti della circonferenze. I magneti, che devono produrre campi molto intensi, sono messi lungo l’intero anello stanno immersi in elio liquido a 2 kelvin (–271 °C) per poter funzionare in condizioni di superconduttività. Pensate alle complicazioni pratiche …

Al CERN, attualmente si fanno scontrare protoni e antiprotoni che hanno ormai raggiunto l’energia di una zanzara, ma la zanzara è grande un millimetro e invece i protoni sono mille miliardi di volte più piccoli. Ma la ricerca va avanti ed europei e cinesi pensano al prossimo step con un anello di 100 km che lavorerà ad energie più basse ma utilizzerà elettroni ed antielettroni che consentono di tagliare la materia molto meglio, perché, a differenza dei protoni che sono fatti di quark, gli elettroni sono genuinamente elementari.

Dopo avervi parlato degli acceleratori vi parlo di una macchina molto più semplice, lo spettrografo di massa, sempre basato su campi elettrici e magnetici incrociati che ci ha consentito di misurare le masse atomiche e di scoprire che, quasi tutti gli elementi, hanno uno o più fratelli con le stesse proprietà chimiche ma masse leggermente diverse: gli isotopi.

Infine una scoperta del tardo 800 ma che è diventata importantissima nel 900 per indagare la capacità dei solidi di condurre l’elettricità: l’effetto Hall.

Con questo effetto sempre basato sulle stranezze dei campi magnetici siamo stati in grado, elemento per elemento, di misurare quanti elettroni per ogni atomo vengono messi a disposizione per la conduzione e di scoprire che quella che è stata chiamata conduzione per buchi nei semiconduttori (si veda il capitolo 0505) esiste per davvero nella forma di buchi: a nuoversi sono in realtà sempre e solo gli elettroni, ma l’effetto globale, che danno è quello di un moto di cariche positive in verso contrario ed è l’effetto Hall a dimostrarlo in maniera inequivocabile.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0507


 




ma il magnetismo esiste o ha bisogno delle correnti?

C’è una novità che scatta da questo post; i capitoli del corso di fisica contengono una introduzione leggibile anche da chi non entrerà nel merito. E la introduzione uscirà sul mio sito man mano che procedo alle revisioni. Ecco la prima.

Lo scopo di questo capitolo è quello di introdurre la grandezza fondamentale che riguarda i fenomeni magnetici e cioè il vettore induzione magnetica .

Il capitolo si apre con una introduzione di carattere storico-fenomenologica come è nella impostazione di questo corso. La parte di tipo fenomenologica riassume i semplici esperimenti (pratici e/o mentali) che, partendo dalla esistenza dei magneti naturali consentono di arrivare a parlare di poli magnetici e di stabilirne nomenclatura e caratteristiche.

E’ bene sapere che il magnetismo, in origine, è stato studiato come un fenomeno a sé stante e dunque a fine 700 è stata enunciata una legge basata sull’inverso quadrato della distanza in cui comparivano le masse magnetiche e una costante universale (la permeabilità magnetica) che giocava il ruolo della costante dielettrica e. Quando iniziai a studiare la fisica (negli anni 60 del XX secolo) molti testi continuavano ad introdurre il magnetismo attraverso la legge di Coulomb magnetica.

E’ solo a inizio 800 che, osservando le interazioni tra correnti elettriche, che se ne studiano le reciprocità e si arriva a studiare il magnetismo come effetto di correnti elettriche o di cariche in moto. Nel primo paragrafo trovate la genesi e cenni all’epilogo.

Nel secondo paragrafo e terzo vengono descritti i fatti sperimentali che consentono di arrivare alla definizione del vettore B e contestualmente dare la legge che descrive la forza magnetica. La definizione non è semplice da digerire perché il campo magnetico presenta problematiche complicate di orientamento e sul piano delle complicazioni matematiche richiede la introduzione del prodotto vettoriale.

Si definisce la unità di misura, una unità dimensionata malamente perché raramente si hanno campi magnetici dell’ordine del Tesla, ma trattandosi di una grandezza derivata è tutta colpa della definizione dell’unità di corrente. Per altro, con lo sviluppo dei superconduttori, e dell’uso che se ne fa nelle apparecchiature di risonanza magnetica, disponiamo finalmente di campi magnetici in aria dell’ordine del Tesla.

Il quarto paragrafo introduce le due leggi fondamentali dell’elettromagnetismo  che consentono, dato un sistema di correnti elettriche, di determinare punto per punto nello spazio il valore del vettore induzione magnetica. Si tratta di due leggi strutturalmente diverse: la prima ha natura integrale e descrive una proprietà complessiva (nello spazio) del campo magnetico; la seconda ha invece natura differenziale e ci dice, in ogni punto dello spazio quale sia il contributo dato al campo magnetico da ogni piccolo elemento di corrente elettrica.

Come si dimostrano? Non si dimostrano; sono vere e basta e, come molte leggi generali della fisica altro non sono che nostre astrazioni che consentono di descrivere i fenomeni fisici in forma del tutto generale.

Attraverso queste leggi vengono stabilite quelle che esprimono il campo magnetico generato da configurazioni semplici di correnti elettriche quali le spire circolari o i solenoidi (termine introdotto da Ampere) che esprime un insieme di spire ravvicinate (gli avvolgimenti che fanno da base al funzionamento di quasi tutte le macchine elettriche).

Nel quinto paragrafo compare una nuova grandezza fisica che sembra messa lì tanto per dire: il momento magnetico una grandezza che viene definita per l’ago magnetico e per la spira circolare percorsa da corrente. Ma perché complicarsi la vita?

La risposta sta nel fatto che, in fisica atomica e nucleare compaiono proprietà degli atomi e delle particelle elementari che richiedono, per essere descritte, proprio il momento magnetico. Ma c’è di più, per le particelle elementari il momento magnetico è una proprietà intrinseca e non ha bisogno di correnti elettriche. E’ così perché la natura è fatta così. Dunque impariamo a conoscerlo perché ci servirà…

Rispetto alla versione ho completamente eliminato un paragrafo che avevo scritto riscritto più volte e ogni volta che lo rileggevo mi lasciava insoddisfatto: si trattava di descrivere il magnetismo come elemento non sostanziale, ma figlio del campo elettrico in ambito relativistico. Su questo terreno è inutile cercare di divulgare senza introdurre la sostanza (le trasformazioni di Lorentz per il campo elettromagnetico). Non è roba da corsi di fisica generale ed è meglio lasciar perdere.

Il capitolo si chiude con una serie di esercizi di calcolo del campo magnetico utilizzando le due leggi fondamentali. Sono tutti problemi che richiedono l’utilizzo dell’analisi matematica, seppur a livello elementare (in particolare dei rudimenti del calcolo integrale).

Si tratta di problemi molto formativi che ho selezionato con cura dalla miniera di proposte di un testo classico russo (Irodov) che è ancora il testo di riferimento in ambito internazionale. Naturalmente le soluzioni dettagliate sono fatte da me. Consiglio questi problemi (sei in tutto) perché aiutano a strutturare le proprie capacità di problem solving e perché in qualche caso smentiscono le leggi sui solenoidi spesso presentate come vere quando tali non sono.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0506


 




elettrotecnica ma con gli occhi del fisico

Il titolo la dice lunga sulle caratteristche del capitolo 0505. In origine l’idea era quella di fornire gli elementi essenziali per la applicazione della legge di Ohm; ma poi …

Mettendo mano al secondo paragrafo che rigaurda il funzionamento di pile ed accumulatori mi sono accorto che vabbeh raccontare un po’ di storia della fisica entrando nel merito delle pile a depolarizzazione (tipo pila Daniell), roba di inizio 800 senza le quali non si sarebbero potuti condurre degli esperimenti decenti sulle correnti elettriche e scoprire molte delle leggi del magnetismo…

Vabbeh ma che senso ha parlare degli accumulatori al piombo che la fanno ancora da padroni sulle auto, ma sono destimati a sparire? Appunto e così ho deciso di entrare anche nel merito dei nuovi accumulatori di energia elettrica che tutti utilizziamo da qualche anno: le batterie al Nichel Metal Idruro e quelle al Litio.

Le prime dominano ancora tutto il mondo delle ricaricabili e sono destinate a durare perché hanno una tensione (1.2 V) che si avvicina al valore di 1.5 V delle pile alcaline (non ricaricabili), perché replicando 1.2 volt si possono costruire valori di d.d.p. per tutti i gusti, perché sono riciclabili e poco inquinanti, perché costano poco e, se maneggiate correttamente durano una vita.

Per un certo temo la industria automobilistica ha pensato anche di utilizzarle per l’auto ibrida (Toyota e Honda) dove la batteria ha solo una funzione di tampone per il recupero energetico; ma ormai ci si sta orientando su quelle al litio data la maggiore efficienza (in termini di capacità elettrica) come sulla Fiat Panda che possiedo.

Sia per le batterie al Ni Metal Idruro, sia per quelle alle Litio ho dato una panoramica fornendo in primo luogo le reazioni di ossidoriduzione che le fanno funzionare.

Dopo i primi due paragrafi viene la parte di elettrotecnica: collegamento delle resistenze, reti, reostati e potenziometri, strumenti di misura, shunt, potenza elettrica, fenomeni transitori di carica e scarica dei condensatori… ovviamente con una caterva di esercizi. In questa parte non ho messo cose nuove limitandomi e rileggere il tutto.

Vi segnalo però, da leggere con attenzione, l’ultimo paragrafo dedicato alla sicurezza negli impianti elettrici percé si tratta di una faccenda importante e, anche se non ve ne frega nulla della fisica, è bene che siate informati sulle spine tripolari, sul cacciavite cercafasi, sulla importanza dell’interruttore differenziale, sui valori di pericolosità delle correnti elettriche. Avrei potuto insegnarvi qualche trucco da usare quando il salvavita fa le bizze per colpa di malfunzionamenti di qualche elettrodomestico, ma ho pensato che era meglio non rischiare di fare qualche danno.


Il corso di fisica – le news e gli aggiornamenti del corso – il capitolo 0505


 




La corrente elettrica – la conduzione – metalli e semiconduttori

Ogni anno, nel mondo si vendono più di 1’000 miliardi di chip (140 per ogni abitante della terra); stanno cambiando gli equilibri mondiali per effetto della civiltà del silicio: non solo per effetto della microelettronica e questo da solo basterebbe, ma anche per tutte le problematiche legate alla questione energetica e al fotovoltaico. In termini di miniaturizzazione nei chip i singoli componenti hanno raggiunto la dimensione di qualche nanometro (pari alle dimensioni di quache atomo) e dunque anche l’insegnamento della fisica generale si deve dare una mossa se non vogliamo costruire una civiltà di zombie che camminano con in mano uno smartphone sempre più evoluto, ma hanno un livello di consapevolezza sempre più basso.

Ecco a voi la nuova versione del capitolo 4 della V parte: mi sono fatto una semplice domanda. Ha senso continuare a presentare le correnti elettriche come se non vivessimo ormai nella civiltà del silicio e dei semiconduttori? Così il capitolo che, in origine parlava solo della corrente elettrica e della legge di Ohm è stato quasi integralmente riscritto.

Ho conservato alcune delle cose che consideravo e considero degli elementi di forza:

  • la attenzione al fatto che alcuni elementi che diamo per scontati o per ovvi, tali non sono; parlo della comprensione che la elettricità, storicamente nata come insieme di mondi separati, era una cosa unitaria il cui carattere unitario era da dimostrare attraverso esperimenti in cui si evidenziasse che le diverse forme di elettricità (comune, chimica, termoelettrica, magnetica, animale, …) potevano produrre gli stessi fenomeni; parlo anche del fatto che una legge importante come la legge di Ohm è nata quando non esistevano generatori affidabili e non esistevano gli strumenti di misura con cui la presentiamo oggi e dunque Ohm utilizzò come generatori di corrente delle coppie bimetatalliche e come misuratori del passaggio di corrente degli aghi magnetici
  • la sottolineatura del fatto che la nozione di corrente elettrica è stata elaborata prima che si poitesse iniziare a parlare di cariche in moto e con Ampere la corrente ha un carattere primigenio
  • il fatto che la differenza di potenziale (legata al carattere conservativo della forza elettrica), la forza elettromotrice (legata necessariamente a campi diversi dal campo elettrostatico) e la caduta di tensione sono cose concettualmente diverse diverse anche se si misurano tutte in volt
  • la necessità di utilizzare principi riduzionistici con cui, attraverso modellii, si dà una interpretazione microscopica di eventi macroscopici; ma nel farlo, non bisogna affezionarsi troppo a tali modelli sia perché hanno natura provvisoria, sia perché, spesso, non spiegano molte altre cose, la cui esistenza non va nascosta sotto il tappeto. Per esempio il modello della conduzione nei solidi, basato su un gas di elettroni in moto disordinato, spiega alcune cose relativamente al comportamento dei metalli, ma incontra difficoltà sul altri fronti e non spiega, banalmente, come mai questo gas di elettroni ceda al reticolo cristallino solo la energia del moto ordinato, parte infinitesima di quella del suo moto disordinato anche se, in base al modello, il gas e il reticolo cristallino presentano temperatura molte diverse.

Dunque l’impianto generale è rimasto ma, come accennavo in premessa, ho deciso che era ora di incominciare a parlare seriamente della conduzione nei solidi (metalli, semiconduttori e dielettrici). Parlarne era importante per poter trattare almeno a livello introduttivo dei semiconduttori; ma per trattare della conduzione nei solidi occorre introdurre questioni come livelli energetici discreti, numeri quantici e modifiche ai livelli energetici quando gli atomi si avvicinano e si dispongonoi secondo strutture regolari, come accade nei solidi cristallini in cui si presentano le cosiddette bande.

Ho fatto, ovviamente, delle scelte di compromesso e, senza entrare troppo nei dettagli di tipo tecnico che richiedono conoscenze, sia fisiche, sia matematiche di tipo superiore. Per questa ragione ho lasciato perdere faccende come i livelli di Fermi e la statistica da cui quel concetto deriva. Per la stessa ragione non sono entrato troppo in dettaglio sulle leggi quantitative che riguardano la conduzione nei semiconduttori.

Così le spiegazioni sul funzionamento delle giunzioni da cui nascono i diodi e i transistor sono date in maniera semiqualitativa, ma intanto ci sono e dunque troverete un po’ di cose sugli elementi bipolari (diodi raddrizzatori, zener, led, …) e tripolari (transistor) su cui si basa la moderna microelettronica (naturalmente ci sono anche le celle fotovoltaiche).

Alla fine siamo passati da circa 40 a 70 cartelle, ma non sentitevi obbligati a leggere tutti i paragrafi e soprattutto a leggere le cose in maniera sequenziale. Sul piano applicativo ho scelto, per quanto riguarda le parti nuove di introdurre molto poco perché si tratta di un corso di fisica generale e non di elettronica o di fisica dei solidi.


La pagina del corso di fisica – Il link al capitolo 0504


 




si ricomincia con la fisica

Il lavoro è incominciato a luglio; è stata molto difficoltoso all’inizio perché ho iniziato proponendomi di completare le parti mancanti e in particolare la Meccanica Quantistica con gli annessi e connessi relativi alla evoluzione e agli sbocchi di questa disciplina.

C’era tanto da studiare sia perché la mia formazione non è quella di un teorico (ho fatto l’indirizzo applicativo elettronico-cibernetico), sia perché ci sono risultati molto importanti (teorici e sperimentali) che datano a partire dagli anni 80, almeno 10 anni dopo la mia laurea.

Prima ho dovuto ristudiare quanto avevo già studiato nel 68 (esame di Istituzioni di Fisica Teorica); ho acquistato sia testi storici come il Messiah, sia più recenti ad impronta classica e poi mi sono buttato su cose più recenti ed è impressionante come sia cambiato negli USA il modo di insegnare la Meccanica Quantistica.

Ho lavorato sulle problematiche connesse all’entanglement sino ad ottobre e mi sono fermato dopo la disuguaglianza di Bell e la variante CHSH. Comunque sono pronti due nuovi capitoli 0605 (nuova meccanica che introduce alla teoria assiomatica e ai suoi strumenti matematici) e 0606 (meccanica quantistica, trattazione assiomatica, momento angolare, spin, entanglement, … ). Restano da scrivere le parti sugli esperimenti e i problemi apertti dall’entanglement quantistico (teletrasporto e crittografia) ma non ci vorrà molto perché mi sono già chiarito le idee e ho già studiato.

Da ottobre ho ripreso in mano la quinta parte e i primi tre capitoli che rendo disponibili insieme a questo post sono stati prevalentemente di sistemazione e limatura (migliorata la parte sul campo come gradiente del potenziale e rivista con accesso diretto alle fonti, la parte sull’esperimento di Millikan).

Molto più impegnativo il lavoro su 0504 (corrente continua) che pubblicherò nei prossinmi giorni perché ho deciso di afffrontare il tema della conduzione nei solidi. Questione ardua, perché per trattarne a fondo, bisognerebbe trattare della statistica di Fermi Dirac. Ho usato una linea di compromesso (sottolineando i limiti dei modelli classici di inizio 900) e rinviando le questioni più tecniche alla VI parte quando affonterò anche la teoria dei laser.

Comunque il capitolo è quasi raddoppiato con tutte le problamtiche relative alla conduzione nei semiconduttori inclusi diodi e transistor. Ho tolto di mezzo alcune parti relative alle leggi sulla conduzione nei gas perché datate e poco meritevoli di studio (oggi vanno studiati i plasmi).

Vai alla pagina di segnalazione degli aggiornamenti – Vai al corso di Fisica Generale

Buona lettura, buono studio e vi terrò informati.

 

 




1977-1987: il Frisi, la scienza e la sua filosofia

III edizione – giugno 2024

Il mio primo ingresso al Liceo Scientifico Frisi di Monza fu alla fine di gennaio del 1977, nell’ultimo giorno utile per essere pagato d’estate. Visti i ritardi nelle nomine per i nuovi incarichi di insegnamento, avevo deciso di incominciare a muovermi autonomamente alla ricerca almeno di una supplenza.

Dopo aver lasciato il quotidiano ero a casa a non far nulla da oltre tre mesi perché il provveditorato di Milano ritardava le nomine. Le fece poi a maggio rendendole valide, per il 76/77, solo dal punto di vista giuridico. Telefonavi, andavi in Provveditorato e ti sentivi preso in giro: domani, dopodomani, non sappiamo, …A inizio ottobre avevo rifiutato una proposta di supplenza annuale al Liceo Scientifico di Melzo giuntami da una compagna di università che faceva la Preside incaricata e chi mi sapeva in attesa di impiego. Avevo rifiutato nella illusione di una imminente chiamata ufficiale perché quando inizio un lavoro mi piace finirlo.

Pace, la Battistina e Santanbrogio

In quei mesi, da brianzolo doc, mi sentii molto a disagio nel rimanere a casa non far nulla e mi resi conto di come la condizione di disoccupato corrompesse l’anima; di come il lavoro, con le sue scadenze, i suoi ritmi e i suoi doveri, fosse importante nell’equilibrio psico-fisico di una persona. Forse questa è una delle ragioni per cui, quando vedo in televisione i nostalgici del reddito di cittadinanza sognare di vivere nel limbo per tutta la vita mi vengono le convulsuioni.

Al Frisi fui ricevuto dal professor Pace nell’atrio davanti alla segreteria dove stava il tavolo di comando della Battistina (la capobidella). Pace faceva il vicepreside, ma non voleva sentir parlare di esoneri dall’insegnamento. Lo faceva e basta, come servizio alla comunità. C’era l’intervallo e mi fece impressione una cosa cui non ero abituato dopo l’esperienza di qualche anno prima all’ITIS di Sesto. Suonò la campana di fine intervallo e vidi gli studenti che, da soli, risalivano le rampe di scale e rientravano nelle classi. Per me era una cosa incredibile.

Due parole sulla Battistina. Credo che, dal punto di vista normativo e di inquadramento il capo-bidello non esistesse, ma si trattava di una funzione importante per il Frisi. Chiunque entrasse, dopo essere passato al controllo del custode Santanbrogio, saliva al primo piano e veniva accolto dalla efficientissima Battistina: fogli volanti, telefonate interne e tutto girava come un meccanismo ben oliato.

Alla sua sinistra c’era l’atrio del primo piano, di fronte la sala professori e, alla sua destra, la segreteria, la vicepresidenza e la presidenza. E già che parliamo di bidelli non si può tacere del custode. Era il padrone della scuola fuori dagli orari canonici, voce roca e potente, conosceva uno per uno tutti gli studenti e abitava in un mini appartamento di fronte alla guardiola del centralino, insieme ad una numerosa famiglia.

Curava la bellezza degli spazi esterni, i fiori e la sicurezza notturna con un paio di canilupo che presidiavano il territorio negli orari di chiusura. Erano due personaggi amati e rispettati da tutti: studenti, professori e restante personale. Se si vuole che una scuola sia in ordine è un bene prevedere un custode che ci abiti e che la senta come casa sua.

il Frisi del Preside Tedesco

Il Preside Tedesco in una delle espressioni esortative e dialogiche che lo contraddistinguevano

Dopo essere stato vagliato da Pace ebbi modo di conoscere il preside, il professor Alfonso Tedesco, un signore dai capelli grigi e dal viso rosso, distinto e pacato, professore di Italiano e Latino.

Tedesco era imparentato con la nobil famiglia dei Galbiati. Aveva sposato Felicetta, preside di scuola media, sorella maggiore di Enrica Galbiati, che allora insegnava lì nel corso B matematica e fisica. Era di origini emiliane, ma stava a Monza da una vita e, prima di fare il Preside, aveva insegnato allo Zucchi Italiano e Latino. Tedesco, con la collaborazione di Carlina Mariani, dirigeva l’UCIM (unione cattolica italiana insegnanti medi).

L’establishment reazionario monzese considerava Tedesco un debole perchè era di idee cattolico democratiche e dialogava con gli studenti. Alla distanza il suo ruolo è stato riconosciuto e l’aula magna del Frisi, grazie ad un comitato di cui ho fatto parte anche io, è stata intitolata al suo nome.

Nel primo incontro mi spiegò che dovevo sostituire la professoressa Lina Saini (che era alla quarta o quinta gravidanza), nel triennio del corso C e dunque avrei avuto Pace come collega oltre alla professoressa Canzi-Amirante di lettere. Non avevo mai visto un liceo dall’interno ma, negli anni di università, avevo dato lezioni private a tanti studenti del Frisi e dunque sapevo quasi tutto sul programma tradizionale di matematica che svolgevano: i problemi con discussione secondo il metodo di Tartinville, le disequazioni, il debordante programma di trigonometria e poi, ovviamente, l’analisi matematica.

in classe

Edo Scioscia durante la autogestione del 78

Senza che altri si offendano, ricorderò di quel primo anno quattro studenti: Maria Scognamiglio di terza, una ciellina underground della serie spiriti liberi, Camozzi, leader  del gruppo promotore (insieme ad Alberto Zangrillo, il futuro medico di Berlusconi, oggi primario al San Raffaele).

Il gruppo promotore raggruppava gli studenti di destra (filo Giornale di Montanelli). Poi c’erano in quarta Edo Scioscia leader incontrastato della assemblea, militante del MLS che, uscito dal Frisi avrebbe messo in piedi il Libraccio, e in quinta Adriano Poletti che più tardi averebbe fatto lungamente il sindaco di Agrate Brianza (e che è morto nel 2023).

Nonostante fossi un supplente diedi qualche taglio personale al programma di matematica e fui anche fortunato. Da anni il principale quesito dello scritto di matematica proponeva con una certa regolarità lo studio di funzione formata da una combinazione lineare di seni e coseni. Erano paginate di conti se si usavano metodi i tradizionali per via delle numerose disequazioni trigonometriche da risolvere.

Ma da fisico sapevo (per via della teoria delle onde armoniche) che una combinazione lineare di seni e coseni corrisponde sempre ad una sinusoide traslata. Feci loro la dimostrazione di quel teorema e insegnai a fare lo studio di funzione in un quarto d’ora (senza usare le derivate) invece che in due ore di conti. Alla maturità uscì proprio quello e non si corse il rischio di fraintendimenti perché gli studenti mi avevano voluto come membro interno. Fu un successone per quelli della C.

collegio docenti e gestione del Liceo

immagini di una assemblea durante la autogestione del 78

Ero supplente ma, per via dei trascorsi, non ero di quelli che si nascondono nel sottoscala, e dunque già al secondo Collegio iniziai ad intervenire.

Il Collegio del Frisi era formato da una agguerrita minoranza di docenti difensori della scuola tradizionale (Moretti, Derla, Spelta, Galbiati, Riva, …), da una maggioranza che noi docenti progressisti definivamo la palude e che amava il quieto vivere (il progresso senza avventure di memoria democristiana), da una minoranza di docenti di sinistra, di varia estrazione che si caratterizzavano per la ricerca delle innovazioni e per il dialogo con gli studenti (Russo, Longo, Cedrazzi, Meroni, Colonnetti, Tedesco, Stefanelli…).

Negli anni successivi la nostra pattuglia si rafforzò con l’arrivo di due colleghe di filosofia, colte e vivaci, provenienti dallo Zucchi (Fabbri e dell’Aquila) e della professoressa Mariagrazia Zanaboni (la Monaco, si diceva allora) di lettere.

Il Preside Tedesco, da buon democristiano, si appoggiava sul centro prendendo a prestito qualche idea della sinistra e puntando a smuovere il pachiderma, ma con giudizio.

articolo del Cittadino in ricordo del professor Tedesco

Dopo la fine dell’anno scolastico, ottenni ope legis la stabilizzazione e, poiché ero abilitato, l’incarico a tempo indeterminato mi  aprì immediatamente la strada all’ingresso in ruolo. Ero un prof engagé e dunque, l’anno successivo fui eletto collaboratore del Preside, consigliere di istituto e consigliere di distretto cose che mi impegnarono per un po’ di anni.

Nel 77/78 l’elezione dei collaboratori fu un vero successo. In passato la palude ci offriva, bontà sua, un posto nel listone unico, e a volte nemmeno quello. Proponemmo una lista contrapposta con tanto di programma e l’elezione ci premiò. Sfidammo la palude ad esplicitare il loro programma, ma non andarono oltre la sottolineatura dello spirito di servizio. Non arrivammo primi, ma comunque finì 2 a 2 tra lo sconcerto dei professori più conservatori. La stessa operazione la feci, anno dopo, appena arrivato allo Zucchi (liste separate, programma, esplicitazione del dissenso, …).

In quell’anno ci fu una specie di autogestione concordata, cioè con partecipazione libera dei docenti ad attività di approfondimento miste (autogestite o coordinate da docenti). Tedesco usò a piene mani me e Fiammetta Cedrazzi come ambasciatori del punto di vista degli adulti (fare le cose per bene, organizzarsi, garantire la democrazia, …).

Tra i docenti ci fu una netta spaccatura all’interno della maggioranza anche con qualche momento di tensione e si determinarono numerosi chiarimenti all’interno della palude tra chi partecipò e chi si schierò con la minoranza più conservatrice che aveva adottato la linea del boicottaggio.

intervento durante un collettivo – al mio fianco Edo Scioscia e sullo sfondo Colonnetti (Filosofia) e Claudio Fontana un alunno futuro docente di filosofia

L’autogestione funzionò bene grazie all’impegno di alcuni quadri del Movimento Studentesco che si impegnarono perché restasse il segno. Il clima politico tra gli studenti era variegato: MLS (dominante), FGCI, autonomia operaia, CL, destra (gruppo promotore). Non era ovvio che le cose andassero bene, ma riuscimmo a tenere insieme la maggioranza della scuola nonostante gli strepiti della parte più retriva del corpo docente.

Erano gli anni del sequestro Moro e anche sul fronte studentesco, come nel resto del paese, emergevano spinte centrifughe verso il mondo della autonomia, contiguo al terrorismo. Vista la mia storia precedente mi sentivo un po’ responsabile e dunque l’impegno per la democrazia e la difesa senza se e senza ma delle istituzione democratiche fu esplicito e con un grande coinvolgimento anche emotivo.

una revisione culturale profonda

In quegli anni si discuteva ancora del carattere gentiliano della nostra scuola e della necessità di superare la cosiddetta cultura retorico umanistica di derivazione crociano-gentiliana per puntare ad una scuola in cui ci fosse un mix tra la tecnologia (di cui si vedeva l’inizio di una grande fase espansiva) e il cosiddetto asse storico-critico-scientifico. Erano anni in cui, con riferimento alla scuola, non ci si limitava a discutere di modalità di gestione o di organizzazione ordinamentale, ma ci si appassionava e si entrava nel merito di modelli culturali di insegnamento. Tutte cose che ora sonoo scomparse e al loro posto c’è solo la autonomia malriuscita.

Non tanto per non essere da meno, ma perché ci credevo, iniziai un complesso e profondo lavoro di trasformazione delle mie convinzioni di fondo mettendo al centro dei miei studi tre cose.

lo studio critico delle scienze dure

Mi impegnai nel rivedere e ristudiare la scienza e in particolare la logica, la matematica e la fisica con approfondimenti di tipo universitario su questioni di base su cui non avevo riflettuto a sufficienza negli anni di università. Per poter insegnare bene e ad un certo livello bisognava che avessi le idee molto chiare sui fondamenti.

Per la fisica utilizzavo, per me e per gli studenti più vivaci intellettualmente, L’indagine del mondo fisico di Giuliano Toraldo di Francia (1916-2011), di cui trovate qui la recensione. Si tratta di un testo nato dalle lezioni tenute da Toraldo ad una scuola di specializzazione per filosofi interessati alla scienza presso l’Università di Firenze. Il testo percorre tutta la fisica con un occhio sempre attento alla storia e alle implicazioni conoscitive delle leggi ed è stato il modello a cui mi sono ispirato nello scrivere il mio corso di Fisica.

Nell’insegnare la matematica, sin dalla terza, tenevo presente che il punto di arrivo era l’analisi matematica e dunque c’era una attenzione agli aspetti di natura concettuale e ad una visione in cui la matematica, anche negli esercizi, fosse vista come una cosa dinamica.

la storia della scienza

Non ci può eessere comprensione dei fondamenti della scienza senza conoscere il contesto in cui sono nate e si sono sviluppate le teorie; dunque storia della scienza nei suoi aspetti sia descrittivi sia metodologici appoggiandomi, come riferimento, ai 7 volumi della storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat, ma conducendo poi approfondimenti di tipo monografico su questioni che mi stavano a cuore o che nascevano dalla esperienza di insegnamento (la storia della termodinamica, la evoluzione dello status dei tre principi della dinamica, la storia e il significato del concetto di campo, la nascita e la evoluzione del concetto di energia, …).

In quegli anni, oltre al geymonattone citato era disponibile, da Feltrinelli una bella collana di testi di storia della fisica che presentava in traduzione il meglio della produzione anglosassone (ne trovate un sunto in coda a questo capitolo).

la filosofia della scienza

Al di là della passione emersa negli ultimi anni di università, mi resi conto che ero profondamente ignorante su questioni fondamentali della cultura europea del 900 e in particolare sulla grande rivoluzione dell’emopirismo e del neo-empirismo (detto anche neopositivismo o empirismo logico).

Mi buttai a capofitto nello studio dei principali pensatori leggendone direttamente le opere e senza fidarmi di sunti o manuali: Moritz Schlick, Philip Frank, Hans Reichenbach, Rudolph Carnap, Friedrich Waissman, sir Karl Raymond Popper, Imre Lakatos, Paul Feyerabend, Orman Quine. Girando per librerie e bancarelle mi sono fatto una biblioteca invidiabile delle loro opere; alcuni testi di Reichenbach, in inglese (uno di calcolo delle probabilità e uno sulla freccia del tempo) li ho acquistati nel 91 a New York durante un viaggio negli USA.

Qualche studente della mia quinta M del 77/78 si ricorda, con sconcerto, l’utilizzo di temi su questioni di carattere metodologico per le valutazioni di fisica a partire da una frase criptica di Max Planck, Ludwig Boltzmann o Werner Heisenberg sulle quali veniva richiesto di sviluppare il tema. Naturalmente si trattava di problematiche che erano state sviscerate a lezione. Qualcosa del tipo “anche nella scienza, come nella religione, non si è beati senza la fede; la fede in una realtà esterna a noi” e via di questo passo.

Questo lavoro di riflessione e contatto sui classici è proseguito negli anni, sempre leggendo (per la scienza e per la riflessione metodologica), le opere originali. Mi dedicai a Boltzmann, Maxwell, Planck, Einstein, Heisenberg, Bohr, Poincarè. Anche in questo caso, oltre ai classici della UTET (Maxwell, Ampere, Newton, Laplace, Helmholtz, Kelvin), sulle bancarelle riuscii a recuperare le vecchie edizioni blù della Boringhieri e le precedenti della Einaudi scientifica (1945-1950). I classici della UTET li acquistai a condizioni molto favorevoli da Fiammetta Cedrazzi che, in uno dei suoi traslochi, aveva deciso di disfarsene.

Come scrisse Lakatos e amava ripetere Geymonat “la filosofia della scienza senza la storia della scienza è vuota, la storia della scienza senza la filosofia della scienza è cieca”. Aggiungo che entrambe servono a dare un senso e a comprendere i fondamenti della scienza, senza i quali non c’è conoscenza ma solo nozionismo.

Mi furono di stimolo anche la Enciclopedia Einaudi pubblicata proprio in quegli anni e un libro Einstein scienziato e filosofo facente parte di una collana (Scienziati e filosofi viventi, a cura di Schlipp) di cui in Italiano sono stati pubblicati solo i libri dedicati ad Einstein e Carnap.

I testi di questa collana iniziano tutti con un saggio di taglio autobiografico-scientifico-culturale scritto dall’interessato e, su di esso intervengono i più grandi scienziati e filosofi della scienza dell’epoca.

Alla fine l’interessato chiude rispondendo alle suggestioni e ai rilievi dei suoi critici. Quello su Einstein è un vero capolavoro e, per fortuna, è stato ristampato da Boringhieri.

Un discorso a parte riguarda la collana di Filosofia della Scienza della Feltrinelli curata da Ludovico Geymonat che avevo conosciuto nel 1969 in occasione dell’esame di filosofia della scienza (Ernest Nagel, la struttura della scienza – problemi di logica nella spiegazione scientifica). Di Nagel è disponibile (presso Boringhieri) anche un bel libriccino dedicato al teorema di Gödel, il teorema dedicato alla indecidibilità delle proposizioni rimanendo all’interno di una medesima teoria (si può dimostrare che la matematica sia esente da contraddizioni?).

Ricominciai da quel malloppo di 650 pagine senza più l’ansia di doverci fare sopra l’esame e mi misi alla ricerca degli altri volumi della collana (ne ho una ventina e ne trovate l’elenco alla fine del capitolo). Al Frisi con gli studenti più bravi lavorammo su un testo di Enrico Bellone I modelli e la concezione del mondo nella fisica moderna da Laplace a Bohr e sulla Filosofia dello spazio e del tempo di Hans Reichenbach tutto dedicato alle implicazioni della teoria della relatività nella teoria della conoscenza.

Lo studio critico della scienza mi ha abbastanza trasformato facendomi rivedere e approfondire questioni come la verità, la razionalità, il fallibilismo; ho abbandonato definitivamente l’idea del socialismo scientifico e del marxismo salvandone solo la capacità di leggere e interpretare la storia.

Se ripenso a quegli anni mi viene da sorridere al pensiero che i professori più rozzi e le famiglie monzesi più retrive mi considerassero un pericoloso rivoluzionario comunista. Mi nutrivo della cultura europea e statunitense più avanzata e cercavo di farla apprezzare agli studenti, ma in tutto il mondo il maccartismo è duro a morire e poi, per certa gente, la cultura è una cosa che va presa solo in piccole dosi perché potrebbe fare male.

qualche ricordo frisino

i rientri pomeridiani

Carletto Pozzoli e Dario Giove da ragazzi prima di diventare dei fisici con una bella carriera alle spalle

Fuori della scuola, si fece a casa mia anche un piccolo seminario con tre studenti (Dario Giove, Carletto Pozzoli, Elisabetta Galbiati) che, usciti dal Frisi si iscrissero a Fisica. Leggevamo e discutevamo insieme le Lectures on Physics di Feynman e io cercavo di trasmettere loro il modo giusto di studiare all’università, quello che a me non avevano insegnato.

Per fortuna nella scuola non c’erano tutte quelle forme di sindacalizzazione al ribasso che sono emerse negli anni successivi, quando andai a lavorare nel privato. Così se si faceva qualche ora in più nel pomeriggio la si faceva gratis fermandosi per un panino e una partita a Tressette al circolino di via Sempione.

Di pomeriggio facevo due attività; un po’ di laboratorio di Fisica, nel laboratorio del III piano, con esperienze avanzate ma di tipo dimostrativo e la discussione critica di saggi sulla scienza utilizzando la disponibilità della biblioteca che, sull’argomento, era ben fornita. Queste attività erano aperte anche ad alunni di altre classi. Disporre di una pompa a vuoto, di rocchetti di Rumkhorf, di tubi a vuoto permette di fare cose molto belle e suggestive sia dul fronte dei raggi  X e catodici, sia su quello della termodinamica come far bollire acqua a temperatura ambiente, osservare che mentre bolle si raffredda, …

Nei primi anni, nel corso M, ricevevo in III gli studenti che avevano fatto il biennio alla succursale di Villasanta e che venivano da tutta la zona a nord di Monza sino a Casatenovo. Mi piacevano quelle classi di brianzoli doc spartani, concreti e anche bravi. Cosa del tutto eccezionale, eravano in ben 5 docenti maschi:  Meroni, Colonnetti, Cereda facevano la triade e poi c’erano anche Fontana (educ) e Bevilacqua (inglese) che, dopo le dimissioni di Pace, era diventato vicepreside.

La 5M era nell’aula di fronte alla Presidenza (dove ora c’è la segreteria amministrativa) e il povero Tedesco si prese anche qualche scherzone goliardico da parte dei più sciamannati (leggi Fiorenzuoli): per esempio un ordine di pasticcini fatto passare come ordine della Presidenza regolarmente consegnati e rimasti da pagare.

Poi sono passato nel corso L e, nel giro di qualche anno, ho incominciato a sentirmi sottoutilizzato. Tedesco era andato in pensione e la gestione successiva, un po’ sciatta e improntata alla pura amministrazione dell’esistente, non mi entusiasmava.

il nemico del Papa

dal sito de Il Cittadino di Monza e Brianza

Nel 1983 sono salito agli onori del pulpito di Villasanta, anche se l’ho saputo solo qualche anno dopo. Il 21 maggio ci fu la visita di papa Woytila all’autodromo di Monza. I presidi delle scuole monzesi decisero che le lezioni si sarebbero svolte regolarmente pur consentendo una sorta di via libera alle assenze studentesche.

In una classe avevo programmato da tempo un compito in classe e non lo rinviai pur chiarendo che chi l’avesse saltato, come facevo solitamente, non avrebbe avuto problemi, salvo rifare il compito. Era la stessa linea che usavo per le assenze politiche, sei libero di scioperare o andare in manifestazione ma poi il compito lo rifai.

A distanza di anni mi è stato riferito che don Bruno Perego, coadiutore del Parroco all’oratorio maschile di Villasanta e organizzatore dei ciellini al Frisi, fece, dal pulpito, in occasione di una messa domenicale, una filippica contro di me: pensate …  un professore, dirò di più … un nostro concittadino, ha impedito che … Sembra che un bel po’ di persone abbiano pensato a Meroni, più noto di me in paese. Mah, robe da chiodi.

Mentre per fisica rinviavo ai classici che ho citato, e solo episodicamente mi avvalevo di miei appunti, per matematica (geometria analitica, goniometria, elementi generali di analisi) avevo messo a punto delle dispense abbastanza complete e che ho ancora, rigorosamente scritte a mano e che venivano fotocopiate usufruendo del monte fotocopie di cui ogni classe disponeva. Lo stesso valeva per la correzione dei compiti in classe (gli antenati di quello che trovate ora sul sito).

gli esami di maturità

La prima parte dell’estate la si passava facendo gli esami di maturità o da membro interno o da commissario esterno. Quell’esame era una cosa utile per la formazione degli studenti e per la cultura dei docenti che avevano l’occasione di andare in giro per l’Italia e farsi una esperienza diretta sul funzionamento della nostra scuola (conoscenza di colleghi con storie e culture diverse, scambio di esperienze).

Per questa ragione non mi sono mai tirato in dietro; ho fatto più volte il membro interno e sono stato da esterno a Milano, Bergamo e Roma. Un anno avemmo come presidente un preside di scuola media, il professor Bertè, il padre di Loredana Bertè e di Mia Martini, poco generoso nei giudizi su quelle figlie che per lui erano delle scapestrate di cui si vergognava.

In quegli anni la prova scritta di matematica aveva un testo con proposta di 4 quesiti e veniva richiesto di affrontarne almeno due. Un problema di geometria analitica orientato all’analisi, due problemi di analisi sullo studio di funzioni e una domanda di teoria. La domanda di teoria era il salvagente dei somari che piazzavano il libro di testo da copiare in tutti i nascondigli possibili dei servizi igienici.

Nel 78 la domanda di teoria riguardava il teorema sulla “continuità delle funzioni derivabili“. Se una funzione ammette in ogni suo punto retta tangente, non può fare salti o avere spigoli. Ma lo studente che aveva letto frettolosamente lo Zwirner nei servizi igienici ci mise del suo, scambiò l’ipotesi con la tesi e scrisse “se una funzione è continua allora è derivabile” e passò a metà classe l’enunciato sbagliato con la dimostrazione (copiata) giusta.

Per capire l’errore basta pensare che se una funzione fa un angolo è continua ma lì non ammette retta tangente. E’ un controesempio semplice. Ero stato nominato commissario esterno  dopo lo svolgimento della prova e dunque non avevo assistito al fattaccio, ma scripta manent e mi ritrovai a dover valutare compiti scritti fotocopia l’uno dell’altro con un doppio errore: errore nell’enunciato del teorema richiesto, errore logico nel presentare una dimostrazione che non dimostrava quanto dichiarato ma il teorema inverso. Non fui tenero con quella classe di un liceo milanese.

l’informatica

Passavano gli anni (1986) e sentivo il bisogno di fare qualcosa di diverso; avevo iniziato ad introdurre a scuola l’Informatica (c’erano l’ MSDOS e i primi Pc) e l’occasione mi fu data dal reincontro con Oskian che non sentivo più dai primi mesi del 77.

Ci rivedemmo in occasione di una vicenda, per lui,  molto spiacevole e per me incredibile. Dopo che ce n’eravamo andati da AO lui era rimasto formalmene proprietario della Grafica Effeti dove si stampava il Quotidiano dei Lavoratori. Lo era diventato in quanto segretario politico.

Alla Grafica, che stampava il QdL per conto di Democrazia Proletaria ci fu un incidente sul lavoro in cui un tipografo ci rimise la mano. C’erano, al di là della vertenza in sede civile, anche aspetti di natura penale che ricaddero su di lui. Era tra lo sconcertato e l’incazzato perchè il gruppo dirigente di DP che gestiva la tipografia aveva deciso di fare il pesce in barile.

Lui era alla ricerca di qualcuno disposto a testimoniare che, al di là dell’aspetto formale sulla proprietà, dalla primavera del 77 non c’entrava più nulla con la Grafica Effeti. In quel periodo era a Roma e faceva il vicesegretario del Pdup. Non so come riuscì a mettersi in contattocon me e così ci si rivide e testimoniai su quegli aspetti. Tutti gli altri erano spariti e i responsabili tacevano per convenienza.

Aveva una società che stava passando dalla attività di consulenza a quella propriamente informatica (la SISDO) e mi propose di lavorare con lui. Se ne parla ampiamente nel prossimo capitolo. Eravamo a metà degli anni 80 e incominciai, un paio di pomeriggi alla settimana, ad andare a MIlano, in viale Bianca Maria, pagato sostanzialmente per studiare (un po’ di informatica e un po’ di marketing).

Nel corso dell’86 incominciò ad introdurmi più a fondo nell’azienda che, allora, si occupava di Informatica gestionale su piattaforme PDP-VAX della Digital. Avevo compiuto i 40 anni e mi dissi che quello era l’ultimo momento per mollare tutto e cambiare. Fu così che, alla fine dell’anno scolastico 86/87 diedi le dimissioni dalla scuola, per la seconda volta, ed iniziai a lavorare nel privato. Ma quella non è stata l’ultima volta in cui ho cambiato tutto.


Fiammetta Cedrazzi (1941-2019) – per finire con un ricordo

A maggio 2019 è venuta a mancare un pilastro nella mia storia di docente al Frisi; era andata in pensione nei primi anni duemila.

Fiammetta è stata una protagonista di una fase irripetibile della mia vita e della vita del Frisi e parlo degli anni dal 1977 alla metà degli anni 80. In quel momento nel nostro liceo c’erano una serie di persone diverse per carattere per sensibilità politica e per modelli culturali di riferimento, ma si respirava in questa scuola il sapore della cultura vera, la passione nei confronti dei giovani, il senso di cosa volesse dire essere un docente.

Era finita l’epoca iniziata nel 68 e continuata in tono sempre minore e sempre con maggiore settarismo fino alla metà degli anni 70. Ne incominciava una nuova in cui si confrontavano il desiderio di cambiamento nella democrazia con le pulsioni violente dell’Autonomia e del nascente terrorismo. Quello era il contesto di contorno in cui si sviluppava il nostro desiderio di fare scuola per trasmettere una visione critica della cultura e della vita. Ma è sbagliato dire trasmettere, si deve dire costruire insieme.

Mi univa a Fiammetta la passione per le scienze dure e al di là di esse ciascuno di noi proseguiva per la sua strada, io più verso la filosofia e la storia, lei più verso la letteratura e l’arte incluse la musica e il balletto. Così quelli furono anni di studio approfondito, molto più approfondito di quello degli anni universitari, che pure non erano stati uno scherzo. Di certo né lei né io facevamo parte di quella tipologia di professori che entra in classe e dice Aprite il libro a pagina 147. Oppure Brambilla vieni alla lavagna e fai questo esercizio.

Mi ha sempre colpito il fatto che desse del lei agli studenti e addirittura, come è giusto dal punto di vista grammaticale del loro quando si passava al plurale. Mi sembrava un po’ un vezzo e mi chiedevo sempre come ci si sentisse ad essere dall’altra parte. Io mi sarei sentito a disagio perché già respiri un dislivello culturale ed esperienziale immenso e in più ti viene detto di stare al tuo posto.

Prima di tutto veniva la scuola con le sue regole, il senso del dovere, la sua serietà. Poi veniva tutto il resto, ma tutto il resto era filtrato attraverso la metodica del rigore e dell’esercizio critico della ragione: perché si fa così? Cosa c’è sotto? Quali sono i gradi di libertà? Si può operare diversamente? Cosa succede ad una teoria assiomatica se cambio un postulato? Qual è la dinamica della conoscenza scientifica? Alcuni elementi del carattere di Fiammetta venivano dal fatto che da bambina era cresciuta dentro il carcere minorile Beccaria di cui il padre era il direttore.

In quegli anni 70 e 80 non era vietato parlare d’altro, ma quel parlare d’altro doveva avere un senso e noi docenti di matematica e fisica eravamo in maggiore difficoltà rispetto ad altri docenti (come quelli di lettere) sempre presi dalla necessità di affrontare la miriade di questioni legate all’essere docenti di scienze dure in un liceo scientifico nato come figlio di un Dio minore del liceo classico, mentre la società che non cambiava i suoi ordinamenti ci richiedeva di essere protagonisti e di costruire dei profili di uscita con giovani colti e critici, maturi, ma anche tanto preparati sul versante scientifico in termini di competenze.

Tutto questo ci rendeva un po’ marziani per via della necessità di non perdere mai tempo e contemporaneamente, quando guardavamo negli occhi i nostri studenti e le nostre studentesse, capivamo che avevano voglia e bisogno di parlare anche di altre cose e allora usavamo i ritagli di tempo o i pomeriggi, tanto in quegli anni non si usavano ancora certi orridi neologismi come attività aggiuntive funzionali o non funzionali all’insegnamento. Si restava a scuola perché era opportuno farlo.

Mi spiace che il concorso che istituì la figura del dirigente scolastico non sia venuto fuori in quegli anni, ma solo nel 2004, perché Fiammetta sarebbe stata un’ottima dirigente, anzi una dirigente eccezionale, capace di stare sui tre denti della forchetta su cui dovevamo riuscire a stare in equilibrio: la organizzazione della scuola, la leadership educativa e la innovazione.

Invece in quegli anni la scuola italiana era ancora la scuola delle circolari del ministero con scritto si trasmette per opportuna conoscenza e norma, del preside come prolungamento finale di una organizzazione centrale che partiva da Roma e così Fiammetta non fu ritenuta degna, dai colleghi, nemmeno di fare la vicepreside anche se, era del tutto evidente, che sarebbe stata una grande vicepreside, naturalmente per occuparsi della direzione di marcia della scuola e non della sostituzione dei colleghi assenti con le supplenze brevi o della firma dei permessi di entrata in ritardo. Così al più potevamo aspirare a fare i consiglieri del principe, tenuti in panchina e consultati di nascosto (e lo abbiamo fatto).

Sul piano umano e personale era una persona molto riservata e, d’altra parte, lo sono anch’io, tanto è vero che ormai mi chiamano nonno orso. Quindi non me la sento di avanzare critiche sulla sua riservatezza che l’ha indotta ad una sorta di chiusura a riccio. Mi spiace tantissimo come si sia svolta la fase finale della sua vita, molto marcata dalla solitudine e dalla chiusura in se stessi e io penso di essere stato un po’ vigliacco a non farmi vivo e ad obbedire alla sua richiesta di non voler vedere nessuno intorno. D’altra parte confesso che il cancro mi mette sempre a disagio nel rapportarmi con chi ne viene colpito. La mia struttura razionale si ribella e se la unisco alla mancanza di un credo nell’aldilà misuro un senso di impotenza e di rabbia.


La pagina con l’indice della mia autobiografia da cui potete scegliere i capitoli da leggere


I commenti che aggiungono ricordi o correggono imprecisioni sono benvenuti. Si accede ai commenti scendendo al di sotto dell’articolo. Li si scorre e si arriva  ad un apposito editor


Appendice: la collana giallo ocra della Feltrinelli


Feltrinelli – la collana di Filosofia della scienza curata da Geymonat

Willard Van Orman Quine, Manuale di logica | Ettore Casari, Lineamenti di logica matematica | Ludovico Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza | Carl G. Hempel, La formazione dei concetti e delle teorie nella scienza empirica | Evert W. Beth, I fondamenti logici della matematica | Ettore Casari, Questioni di filosofia della matematica |
Maria Luisa dalla Chiara Scabia, Modelli sintattici e semantici delle teorie elementari | Emil Ungerer, Fondamenti teorici delle scienze biologiche | M.E. Omelyanovskij, V.A. Fock e altri, L’interpretazione della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS | Enrico Bellone, I modelli e la concezione del mondo nella fisica moderna. Da Laplace a Bohr | Imre Lakatos e Alan Musgrave (a cura di), Critica e crescita della conoscenza | Hans Reichenbach, Filosofia dello spazio e del tempo | Ludovico Geymonat, Scienza e realismo | Pietro Redondi, Epistemologia e storia della scienza | Imre Lakatos, Dimostrazioni e confutazioni. La logica della scoperta matematica | Mary B. Hesse, Modelli e analogie nella scienza |

e quella di bianco e viola di Storia della scienza curata da Paolo Rossi

Marie Boas, Il Rinascimento scientifico 1450/1630 | Alistair C. Crombie, Da S. Agostino a Galileo. Storia della scienza dal V al XVII secolo | E. J. Dijksterhuis, Il meccanicismo e l’immagine del mondo. Dai Presocratici a Newton | J. L. E. Dreyer, Storia dell’astronomia da Talete a Keplero | Yehuda Elkana, La scoperta della conservazione dell’energia | John C. Greene, La morte di Adamo. L’evoluzionismo e la sua influenza sul pensiero occidentale | A. Rupert Hall, Da Galileo a Newton (1630/1720) – La Rivoluzione scientifica 1500/1800. La formazione dell’atteggiamento scientifico moderno | Mary B. Hesse, Forze e campi. Il concetto di azione a distanza nella storia della fisica | Max Jammer, Storia del concetto di forza. Studio sulle fondazioni della dinamica | Max Jammer, Storia del concetto di massa nella fisica classica e moderna | Morris Kline, La matematica nella cultura occidentale | Alexandre Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito | Paolo Rossi, I filosofi e le macchine 1400/1700 | Philip P. Wiener, Aaron Noland , Le radici del pensiero scientifico |


 




1965-1970: volevamo cambiare il mondo

III edizione – giugno 2024

Alla fine del 65 ho iniziato l’Università e, contemporaneamente, ho interrotto i rapporti con la Fgsi, pur avendo ripreso la tessera del 66 funzionale a ingrossare le fila del neonato Movimento Socialista Autonomo (poi confluito nella Sinistra Indipendente).

Non mi convincevano la prospettata unificazione con i socialdemocratici e la impronta poco coraggiosa che aveva preso il centro sinistra. C’era poi aperta la ferita della guerra con il Vietnam. In quegli anni la politica ed i suoi riferimenti erano ancora un elemento di contorno rispetto ai mille altri interessi: più che militare ci si documentava.

prima del 68

Il mio riferimento politico culturale, piano piano, divenne il PCI, un rapporto mediato dalla lettura sistematica di Rinascita che, per almeno 7 anni, sarebbe stato il mio strumento di riflessione e crescita politica.

le riviste

Non ebbi mai rapporti diretti con il partito nè a Villasanta nè a Monza e mi limitai a farmi recapitare, all’indirizzo di Federico Ripamonti, il capo storico del PCI di Villasanta, ma anche amico di papà, l’abbonamento al settimanale.

Passavo da casa sua a ritirarlo la domenica mattina. Era la applicazione delle tecniche non conflittuali da adottare in famiglia; noltre l’abbonamento per gli studenti era davvero conveniente in termini di costo. Un anno vinsi pure una bici Bottecchia sport rossa che utilizzai poi per parecchio tempo e alla fine l’ho regalata ad un immigrato che ne aveva bisogno.

Tramite la versione on line sono finalmente riuscito a recuperare una breve lettera, che ricordavo di avere mandato, e che con titolo Checchè ne dica Ottaviani venne pubblicata; è nel numero 30 del 23 luglio del 66. ll cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio, che amava autodefinirsi il carabiniere dell’Ortodossia, era il nemico giurato di ogni rinnovamento all’interno del mondo cattolico.

A Monza ci si vedeva e si dialogava intorno alla Biblioteca Civica e, per un certo periodo, insieme a Maurizio Antonietti, che ne prospettava il rinnovamento e lo spostamento in senso progressista, aderii e mi diedi da fare per la FUCI (la federazione degli universitari cattolici) mentre a Milano avevo aderito alla Intesa Universitaria (la associazione dei cattolici progressisti).

alcune delle riviste e dei periodici che hanno segnato la mia evoluzione politica: cattolici del dissenso, sinistra socialista, PCI

Tra il 66 e il 67 ci fu un fiorire di riviste e settimanali facenti capo al mondo cattolico progressista: Questitalia del veneziano Vladimiro Dorigo democristiano, ma molto di sinistra, Testimonianze del gruppo fiorentino raccolto intorno a padre Ernesto Balducci, Settegiorni un settimanale sponsorizzato da Carlo Donat Cattin e diretto da Ruggero Orfei e Piero Pratesi. Il mio spostamento a sinistra andava di pari passo ad una sofferta battaglia per il rinnovamento della religione e per aperture culturali tra mondo cattolico e movimento operaio; iniziai a leggere anche l’Astrolabio diretto da Ferruccio Parri e Problemi del socialismo di Lelio Basso (uno dei padri costituenti, socialista di sinistra, poi psiuppino che pensava ad una sinistra non comunista di tipo luxemburghiano).

gli angeli del fango

Nel novembre 1966, in occasione della alluvione di Firenze, partimmo in un buon gruppo per partecipare al progetto di estrazione dalla fanghiglia dei libri della Biblioteca Nazionale. Organizzavano Ugi e Intesa di Matematica e Fisica e fu così che incominciammo a conoscerci e a fare gruppo.

Mi ricordo una loggia, tipo quello di piazza Signoria (ma più piccola), e noi pieni di fango (un fango liquido tra l’ocra e il verdastro) che ci riposiamo un po’. Il fango era dovunque e ce n’era tantissimo nei sotterranei della Biblioteca Nazionale. Sento il sapore di un panino con il pane senza sale con il salame toscano, quello con il grasso non macinato e inserito a pezzi grandi, che vedevo per la prima volta.

Forse abbiamo fatto più scena che sostanza; ogni tanto ci penso. Ma siamo andati subito e ci era chiaro che bisognava andare.

hanno fatto un deserto …

il manifesto di convocazione, con il teschio, la bandiera americana e la citazione di Tacito

Passò qualche mese e l’UGI raccolse un appello internazionale, mi pare  partito dagli studenti americani, per manifestare a fianco del Vietnam.

Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace, diceva una frase di Tacito stampata su una bandiera americana con il teschio. E’ stata la mia prima manifestazione.

Ci sono andato in pulman con Flavio Crippa e i suoi amici della Fgci di Lecco; tanti giovani, tante bandiere vietnamite, un po’ di bandiere rosse. Non mi piaceva la guerra del Vietnam; ma quelli come me ci tenevano a sottolineare che non eravamo antiamericani, eravamo contro quello che gli americani stavano facendo. C’era stato in Grecia il golpe dei colonnelli e il clima si stava surriscaldando.

Dopo quello di Lelio Basso, che rappresentava il tribunale Russel, ci fu il tentato comizio di Giorgio La Pira sindaco di Firenze. Per me, allora, La Pira era un un mito, come lo erano padre Balducci, don Milani o la comunità dell’Isolotto; erano l’esempio che si poteva essere cattolici ed essere in prima linea nella lotta contro l’ingiustizia.

Quella sera ebbi il primo incontro con quelle che avremmo poi chiamato le contraddizioni in seno al popolo. La Pira aveva appena iniziato a parlare con il suo stile profetico che lo portava a fare il Sindaco delle città della pace, a viaggiare tra Mosca e Washington per fare l’ambasciatore dei diritti del Vietnam. Dopo poche parole fu subito subissato dai fischi dei marxisti leninisti. E poi, a manifestazione finita, ci fu lo scontro con la polizia accuratamente ricercato da alcuni. Che paura; città sconosciuta; botti dei lacrimogeni; cercammo di arrivare al pullman; ma perché i fischi, ma perché gli scontri? Non eravamo venuti per la pace?

convegno dell’Intesa a Castelveccana

Estate 1967 Castelveccana: convegno estivo dell’Intesa in un convento di suore sul Lago Maggiore. Si discute della imminente lotta alla Cattolica contro l’aumento delle tasse. Ci sono anche due dei tre che più tardi saranno espulsi, Pero e Spada (ma non c’è Capanna). L’Intesa per noi giovani cattolici impegnati a sinistra è lo sbocco naturale: progressismo, incontro con la sinistra laica dell’Ugi.

C’è anche il segretario nazionale Pierluigi Covatta, che ha 3 o 4 anni più di noi, è cresciuto nelle file del movimento giovanile democristiano e ha guidato l’organizzazione all’incontro con i comunisti. Brillante, ironico; ricordo un piccolo aneddoto sulla ignoranza nel mondo democristiano. Era ad una riunione di deputati DC e fu presentato come presidente nazionale dell’UNURI (l’organismo nazionale delle rappresentante studentesche). Venne avvicinato da un deputato che gli fece i complimenti: lei così giovane e già così esperto di cavalli. Il deputato aveva confuso l’UNURI con l’UNIRE (unione nazionale per l’incremento delle razze equine).

Ha diretto MondoOperaio, la rivista teorica del PSI dopo aver fatto il maitre a penser del PSI nel primo progetto riformista di Craxi.  Covatta è morto nel 2021.

il terzo mondo

Acccanto a Rinascita la mia formazione politica sta avvenendo con la lettura di libri di taglio terzomondista (non si diceva ancora antimperialista). Il giorno precedente quello dei miei 21 anni, che allora era la maggiore età, arrivò la notizia della morte di Che Guevara. Era il 7 ottobre 1967.

il cadavere di Che Guevara mostrato in pubblico dai suoi assassini.

Quelle foto di Che Guevara massacrato di botte prima di essere riempito di pallottole lasciarono il segno. Sembrava il Cristo morto del Mantegna e quella foto avrebbe inciso nelle coscienze di molti giovani.

Il mondialismo era quello che ci sentivamo dentro. Non dicevamo lotta all’imperialismo o internazionalismo proletario; mondialismo mi pare più attinente alle pulsioni della mia generazione. Era qualcosa che aveva a che fare con una sorta di senso di colpa del ricco Occidente nei confronti del resto del mondo.

Gli anni ‘60 sono stati gli anni del disfacimento degli ex imperi coloniali, della conquista dell’indipendenza da parte di molti stati di Asia e Africa, mentre in America Latina si guardava all’esempio di Cuba, alla Trilaterale, al movimento dei non allineati. Non ci sorreggevano grandi analisi su ciò che accadeva o sulle nuovi classi dirigenti di quei paesi, ci bastava l’idea che forse qualcosa stesse cambiando e che si potesse andare verso un ordine internazionale più giusto.

Si navigava a vista, accanto a qualche libro di Pierre Jalée come “il saccheggio del terzo mondo”, che ci introduceva ai problemi del mercato mondiale e a quello delle materie prime, ricordo un articolo di Rinascita in cui, per la prima volta, scoprii che, invece di parlare di primo, secondo e terzo mondo, meglio sarebbe stato parlare di paesi sottosviluppati e paesi sottosviluppanti, con le ovvie conseguenze del caso in termini di responsabilità.

il 1968, la prima occupazione, le mie prime elezioni

antefatto

I movimenti hanno sempre una causa immediata di tipo casuale e, nel caso di fisica, tutto partì dalla reazione esagerata del direttore di istituto, professor Caldirola ad un problema banale: una assemblea non terminata nell’orario previsto. La presiedeva Roberto Biorcio, più vecchio di noi di un paio d’anni. Biorcio era il presidente del parlamentino studentesco di tutta la Statale.

Il professor Caldirola non voleva che l’assemblea continuasse nella sua ora e non mi ricordo proprio perché la volessimo fare. Biorcio lo incalzava e si muoveva secondo i moduli della non violenza; me lo ricordo a braccia alzate che resiste davanti alla lavagna mentre Caldirola tenta di buttarlo fuori.

Alla fine, per poter continuare, ci prestò l’aula il professor Loinger, fisico teorico, uno dei decani di Fisica. Tanta voglia di fare qualcosa, ma cosa? Si dice che l’appetito vien mangiando. Iniziò un lungo dibattito durato giorni; si fece strada, pian piano, l’idea di occupare l’Università (come stava accadendo in giro per l’Italia).

una ciliegia tira l’altra …

assemblea generale di scienze in aula A – si riconoscono tra gli altri Giorgio De Michelis, Sergio Bianchini, Bruno Manelli e Daniele Marini – dietro di lui il mitico Robuschi, detto Robuschiele per il tono profetico dei suoi intrventi (Ezechiele)

Si trattava di una assemblea vera; noi con tanta voglia di essere; gli altri, i nostri compagni di corso, perplessi e incuriositi; alcuni ci accusarono di essere pagati dai comunisti con le semplificazioni che la destra qualunquista ha sempre avuto e che aveva anche allora. Ma si discuteva, tutti avevano diritto di parola e si replicava cercando di convincere

Si andava affermando la democrazia assembleare; alla fine venne il momento di decidere sul da farsi; ci fu una votazione per appello nominale di coloro che nei giorni precedenti, libretto alla mano, si erano iscritti al voto; una votazione durata ore ed ore.

Le aule B e C furono collegate via audio con l’aula A (grazie ai prodigi di Flavio Crippa, fin da allora eccezionale addetto alla logistica). Si veniva chiamati e ci si dichiarava favorevoli o contrari; quando il numero dei favorevoli raggiunse il quorum, a chiamata ancora in corso, scoppiò un applauso liberatorio; quel quorum significava OCCUPAZIONE.

Era il 28 febbraio 1968 e il documento per la occupazione diceva tra l’altro:


Nella lezione, il professore impartisce nozioni che gli studenti sono tenuti ad apprendere con lo studio individuale. I contenuti dell’insegnamento sono proposti in forma frammentaria senza che sia mai richiesta una sintesi a livello di critica della scienza e una chiarificazione dei nessi tra attività universitarie, professioni, sviluppo sociale ed economico.

Durante l’esame il professore controlla, in modo spesso arbitrario, l’apprendimento nozionistico. L’imposizione di questo sterile nozionismo porta lo studente a uno studio mnemonico che limita o impedisce lo sviluppo critico e la maturazione della sua personalità.

Una volta laureato, lo studente si troverà di fronte a una società che non conosce e che non sa criticare, nella quale dovrà inserirsi per vivere diventando inconsciamente lo strumento che garantisce la stabilità di questo ordine sociale. Questa situazione della didattica si perpetua grazie alle condizioni di totale passività degli studenti, assuefatti ormai ai metodi autoritari presenti a tutti i livelli scolastici. Si presenta quindi l’importanza dell’obiettivo della contestazione dell’autoritarismo accademico mediante l’introduzione del dibattito a tutti i livelli delle attività universitarie e della affermazione delle esigenze di cui gli studenti sono portatori.


in aula A durante la assermblea di occupazione

Su Pensieri in Libertà c’è una pagina di documentazione con la mozione integrale, il regolamento di assemblea, il regolamento per la affissione dei manifesti, …

Eravamo in una facoltà scientifica e dunque, ci siamo dettidobbiamo essere seri:  a dormire i ragazzi da una parte le ragazze da un’altra. Bisogna rimettere bene in ordine tutto la mattina. Ciascuno contrattò con la famiglia il diritto di dormire nella facoltà occupata: fortunati quelli con la famiglia di sinistra che non avevano problemi.

Il movimento raggruppava tutti i corsi di laurea di scienze, con la eccezione di chimica, che confluirà nel 68/69.

la contestazione

Abbiamo scoperto che il mondo dei formalismi, delle persone per bene, non ci stava più bene che, per noi, volevamo decidere noi. Volevamo dare un taglio alle cose più assurde, in una parola volevamo la democrazia diretta. Quando ce la siamo presa, ci siamo accorti quasi subito di essere finiti in un mondo magico da cui non volevamo più uscire, perché dentro quel mondo non valevano più le regole assurde dell’altro mondo.

Poiché non si poteva vivere solo in assemblea, abbiamo incominciato ad inventare altre forme di organizzazione: strutture decentrate come le commissioni a tema, i gruppi di lavoro, i gruppi di intervento; obiettivi di lotta contro la selezione e contro la scuola di classe, che avevano come strumento primario quello di controllare i ritmi di insegnamento in modo che non andassero in contrasto con quelli di apprendimento.

un po’ di colore

Una foto mostra le ragazze che fanno le pulizie la mattina perché noi di scienze della prima ora siamo molto moralisti e ci teniamo a smentire quello che dicono certi giornali sulla università trasformata in un bordello. Deve essere tutto in ordine; peccato che a pulire siano le ragazze.

sullo sfondo Alberto Bertoni

Come siamo diversi: Basilio (Rizzo) è un mito: non è battezzato ed è di famiglia comunista, ma gioca alle carte come gli altri, anzi di più, a briscola con suo nonno.

Ci sono i cattolici compresi quelli che tra breve daranno vita a Comunione e Liberazione sulle ceneri della implosione di Gioventù studentesca, i cattolici di sinistra già toccati da Fuci e Intesa, gli studenti di sinistra, quelli di sinistra ma che forse sono ancora più a sinistra, quelli dello Psiup, gli anarchici, gli hippies, i situazionisti, qualche operaista in gestazione.

I bidelli di fisica sono con noi (quante partite a tressette e al due con Gino e Giancarlo).

la organizzazione

Si mette in piedi il Comitato di Agitazione nella ex sala della facoltà (di fronte alla biblioteca) dove si facevano le sedute di laurea e dove un tavolo gigantesco ci permetterà di fare riunioni ordinate. Il Comitato di Agitazione è una sorta di ufficio di direzione che serve a dare continuità al lavoro.

Incominciamo a fare i tatse bao (i giornali murali ripresi dalla rivoluzione culturale cinese) usando i fondi delle bobine di carta da quotidiano procurati da Flavio. I nostri tatse bao hanno il titolo rigorosamente a pennello con vernice ad acqua di colore rosso e sono inconfondibili nella storia del movimento milanese. I titoli dei gruppi in cui si articola l’assemblea li vedete nella foto: didattica di massa, ricerca di massa, preparazione all’insegnamento, scuola – società – ristrutturazione, diritto allo studio, sbocchi professionali.

non chiedetemi perché quel giorno fossi in giacca e cravatta – non mi ricordo

Poi il grande lavoro su Lettera ad una professoressa che viene ristampata in migliaia di copie e che leggeremo e discuteremo pagina per pagina nei gruppi di studio. Me la sono riletta un paio d’anni fa e direi che c’era del buono e del meno buono (si veda l’articolo rileggendo Lettera ad una professoressa).

L’occupazione è finita. Non ricordo cosa abbiamo ottenuto perché i ricordi si sovrappongono tra le mie tre occupazioni (68,69 e 70).

Ci fu un tentativo di controllo dei ritmi di insegnamento e di quelli di apprendimento (una esigenza giusta con un obiettivo improponibile e irrealizzabile se assunto senza mediazioni) e comunque dopo quella occupazione e la successiva portammo a casa: i semestri, i corsi serali, le dispense oltre ad alcun piccole liberalizzazioni sui piani di studio.

le elezioni della primavera 1968 e lo PSIUP

In quella primavera si tennero le elezioni politiche e io votavo per la prima volta (solo alla Camera). Politicamente mi stavo avvicinando allo PSIUP che avevo iniziato a frequentare in quel di Monza con due amici (Mao Soardi e Lino Di Martino) che poi fecero i professori a Matematica.

Votai PSIUP e in quei mesi lessi e rilessi un  libro per me importante “Il socialismo difficile” di Andrè Gorz condirettore (con Sartre) di Les Temps Modernes. Si incominciava a cercare una nuova teoria; eravamo curiosi di marxismo; si trattava di un’opera a più mani cui avevano collaborato esponenti del movimento operaio italiano come Foa, Garavini e Trentin. Si esponeva un modello di lotta per il socialismo che passava attraverso profonde riforme di struttura e ci si respirava aria di libertà. Erano i cosiddetti riformisti rivoluzionari, una definizione che trovavo consona alle mie idee.

Nel corso dell’estate 1968 accaddero due eventi importanti per la mia evoluzione politica: la invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici e il convegno del movimento di scienze a Fontanella presso l’abbazia di padre Turoldo.

Mi ero iscritto allo Psiup da meno di 15 giorni e mi ritrovai immediatamente alla opposizione vista la presa di posizione ambigua di quel partito sui carri armati russi a Praga. Così, fatta eccezione per il lavoro politico a Monza in occasione della lotta della Candy con la fondazione del CUB, il mio frapporto con lo PSIUP finì prima ancora di incominciare.

A Monza la  sede dello PSIUP era in via Anita Garibaldi, sulla destra del Tribunale ed era annessa ad un circolo socialista in riva al Lambro (oggi ci sono solo condomini signorili). Più che per far politica andavamo ad ascoltare i racconti dell’avvocato Giovanbattista Stucchi, uno dei comandanti del CLN Alta Italia, uno di quelli che si vedono sfilare con Longo e Mattei nella famosa foto della liberazione di Milano (rappresentava le brigate Matteotti).

Estate 1968 convegno del movimento a Fontanella

Fontanella è una frazione di Sotto il Monte, il paese di Giovanni XXIII e a Fontanella padre David Maria Turoldo (intellettuale, poeta, predicatore, organizzatore) aveva messo in piedi intorno ad una abbazia medioevale un centro studi dei Servi di Maria l’ordine religioso di cui faceva parte.

A Fontanella abbiamo fatto il convegno residenziale estivo del movimento. Pochi giorni di nuovo insieme (eravamo una cinquantina) per discutere cosa fare nel 68/69. Abbiamo lavorato e a me è rimasto in mente la pace di quel posto. Turoldo ci lasciò discutere per giorni senza mai interferire e poi prese la parola l’ultimo giorno; riprese qualche elemento della sua ricca storia personale che copriva tutto il dopoguerra e ci rivolse un invito esplicito a non farci strumentalizzare. Ricordo ancora la replica irata di Sergio Bianchini che si stava avvicinando ai marxisti leninisti.

A Fontanella ho anche conosciuto Oskian (Aurelio Campi) che nel primo anno di movimento si era mosso nell’ombra (anche perché allora era un greco-armeno apolide) e che durante il convegno esercitò una netta leadership conquistando alla neonata Avanguardia Operaia una buona fetta del gruppo dirigente.

Con lui ebbi modo di approfondire le cose che avevo appreso dal libro di Gorz. Era leninista e me le smontò una per una, ma senza strafare. Era iniziato il mio percorso verso Avanguardia Operaia. Paradossalmente, quando nel 1975, da segretario generale di Avanguardia Operaia si trovo a dover definire la nostra strategia di medio periodo, egli parlò di lotta rivoluzionaria per le riforme.  Gorz aveva ragione?

la religione e il cristianesimo

La rottura con la religione è stata graduale e, come detto, è avvenuta prima con la Chiesa e poi con Dio. Il mio processo di contestazione-rinnovamento è iniziato all’inizio degli anni ‘60 con l’adesione a Gioventù Studentesca: ricerca di rapporti umani autentici e rapporto con il Divino mediato da una comunità: il contrario del formalismo e della disumanità della Chiesa brianzola di paese fatta di riti, organizzazione e mancanza di discussione.

Da GS me ne sono andato quando l’integralismo è diventato dominante e gli spazi per un nuovo umanesimo sono diventati solo quelli interni al cattolicesimo. Lasciata GS, non ho lasciato il cattolicesimo (che ormai preferivo chiamare cristianesimo): attenzione al rinnovamento post conciliare, lettura delle riviste del rinnovamento, frequentazione di sacerdoti e comunità eterodosse, delusione per la figura di Papa Montini sul piano umano (troppo pastina) e sul piano intellettuale e teologico con i passi indietro rispetto a Papa Giovanni il Papa Buono.

abbazia di Sant’Egidio a Fontanella nei pressi di Sotto il Monte

E’ stata una trasformazione lenta che ha avuto il suo strappo decisivo proprio a cavallo del ‘68-‘69, quando mi presi alcuni giorni di riflessione presso la comunità di Padre Turoldo. Lì ho trovato gente molto in gamba disposta a concepire percorsi personali e un po’ eretici dentro la Chiesa (teologi puri, teologi della liberazione).

Oltre a padre Turoldo, fuori classifica sul piano della personalità e della esperienza umana, ebbi modo di conoscere alcuni altri Servi di Maria (intellettuali a tutto tondo e anche frati latino-americani con simpatie per la rivoluzione). In Uruguay era il tempo dei Tupamaros. Scrissi anche un saggio per la loro rivista trimestrale (Servitium). Ma c’erano di mezzo le assurdità del mondo cattolico con i suoi riti, la sua etica reazionaria, il principio di autorità; avevo 22 anni e avevo incominciato a fare sesso con Bruna.

Da Turoldo e dai suoi teologi venni invitato a considerarmi una pecorella con diritto alla autonomia di pensiero, ma dopo alcuni dolorosi ripensamenti, decisi che la cosa non aveva senso e finì così, naturalmente in maniera graduale, prima il mio rapporto con la religione e poi quello con la trascendenza.

intermezzo lavorativo

Come campavo, visto che nel ’65, con i miei avevo preso l’impegno di cavarmela da solo? Nei primi due anni ero molto preso dallo studio e così mi limitai a qualche lezione privata e a partire dal 67 le mie entrate diventarono più regolari:

Docente nelle scuole serali di tipo professionale; ho insegnato sia ad Arcore, sia a Macherio per tre anni; si trattava di fornire rudimenti di matematica in corsi che venivano organizzati in accordo con i comuni entro strutture scolastiche.

Lezioni private; qualche cosa tra Villasanta e Monza, con preferenza a lavori di tipo continuativo (assistenza per l’intero anno scolastico a figli di famiglie facoltose) e poi a Milano; sempre per alunni di liceo.

Ho anche lasciato un credito di almeno centomila lire di allora ad una famiglia di corso Magenta. Palazzo signorile, famiglia con maggiordomo in livrea; capofamiglia un primario dell’ospedale di Vimercate. Il rampollo faceva il Gonzaga (uno dei licei privati prestigiosi di Milano).

Venivo ricevuto dal maggiordomo che mi faceva accomodare e aggiungeva “un momento che le chiamo il signorino“; la cosa mi metteva molto a disagio. Aggiungo che in un paio di occasioni mi fu detto “mi spiace, il signorino non c’è e si è dimenticato di avvertirla“. Da Città Studi, per andare in corso Magenta ci mettevo almeno tre quarti d’ora e la cosa del signorino, che avrei preso a calci nel culo, mi seccava. Al terzo episodio non mi hanno più visto nè sentito. Una questione di dignità e la scelta di non richiedere quanto mi spettava fu un punto di orgoglio.

Redazione di testi per le enciclopedie: la De Agostini, o altri editori, si rivolgevano ad un docente universitario di grido per la redazione di quelle enciclopedie a dispense e liui subappaltava. Non si guadagnava molto ma in compenso non c’erano tempi morti e problemi di viaggio.

Beppo Occhialini

Tecnico universitario: dal 1969 al luglio 70 ho lavorato come tecnico universitario part time (in prova e su fondi CNR) presso il gruppo di Fisica dello Spazio del professor Occhialini. Non si guadagnava molto ma ci pagavo le tasse, i trasporti, la mensa e la cambiale di 23’600 lire mensili per l’acquisto della 500 comperata a inizio ’68 firmando 29 cambiali.

Quel posto di lavoro mi avrebbe poi aperto la strada per la carriera universitaria. Mentre ero a militare il posto fu trasformato in quello di tecnico di ruolo, ed essendomi nel frattempo laureato sarei diventato automaticamente ricercatore universitario di ruolo. Quando tornai da militare il professor Occhialini che mi stimava, stima reciproca, mi chiamò per sapere che intenzioni avevo. Mi guardò negli occhi ed io risposi: la fisica mi piace, ma la politica viene prima. E così rinunciai alla carriera universitaria prima di cominciare.

il 1969 e l’impegno in AO

Lo scopo di questo capitolo è quello di parlare della mia evoluzione politica e dunque vedremo come sono cambiate le mie idee con la adesione al comunismo rivoluzionario e quello che facevo in politica.

il rapporto con Oskian (Aurelio Campi)

Come ho già detto era iniziato un rapporto stretto e continuativo con Oskian del quale mi colpivano favorevolmente la chiarezza, la molteplicità di interessi e la grande cultura.

Quasi tutti i giorni mangiavamo o alla casa dello studente o all’altra mensa di via Venezian e poi si passava a casa sua e di Claudia Sorlini, la sua compagna, per le chiacchiere a ruota libera, ed è da queste chiacchiere che è maturata la adesione al progetto di AO.

Percepivo quanto il lavoro da fare fosse molto, difficile e da svolgere con pazienza. Costruzione del consenso attraverso il dialogo e tanto lavoro politico anche minuto. Su una parete c’erano i 45 volumi delle opere di Lenin ed è a Lenin che Oskian faceva continuamente riferimento come esempio da tenere presente nel lavoro politico. Leggeva regolarmente Le Monde e il settimanale filopadronale “Mondo Economico”. Claudia interveniva ad attenuare certe spigolosità con un po’ di saggio pragmatismo bresciano e femminile.

la prima cellula di AO

Metà del mio tempo lo dedicavo allo studio della storia, della economia politica e a quello dei classici. Quelli li studiavo bene cercando di approfondire il contesto, perché una delle prime cose che mi capitò di fare fu il lavoro di docente in gruppi di studio di formazione politica (a quei tempi, sui giornali, ci chiamavano i professorini di AO).

C’era da mettere in piedi la cellula di AO di fisica, di cui fui il primo segretario (era la prima delle Università, poi Scienze, poi Città Studi dopo il coinvolgimento di Ingegneria, Agraria e Medicina). Tra lavoro politico, lavoro materiale come dipendente universitario part time e pendolarismo, quello fu un anno in cui, scientemente, combinai piuttosto poco in termini di crediti universitari. Avevo finito il III anno in pari con gli esami e nel corso del IV anno non ne diedi nemmeno uno dopo aver rinunciato a dare Elettronica applicata che pure avevo studiato con impegno.

Il rapporto con Avanguardia Operaia nel corso del 1969 passò attraverso la partecipazione ad assemblee di orientamento che si tenevano la domenica mattina alla sede di via Bacchiglione o il sabato pomeriggio in quella di via Giason del Maino.

com’era la AO che incontrai

i primi numeri della rivista mensile di AO

La nascente Avanguardia Operaia, oltre che per il lavoro nei confronti delle grandi fabbriche attraverso i Cub, lavoro in cui non ero direttamente coinvolto, si caratterizzava per la formazione di militanti ideologicamente e politicamente formati su alcuni capisaldi:

  • una tiepida adesione ai processi in atto in Cina, ma senza strafare
  • un riferimento al fallimento della rivoluzione d’ottobre, tradita dallo stalinismo prima e dalla burocrazia poi, ma di cui si salvava l’impianto leninista (con gli annessi e connessi della presa del potere e della dittatura del proletariato)
  • una posizione di appoggio ai movimenti di liberazione in tutto il mondo che strizzava l’occhio ai trascorsi trotskisti di alcuni esponenti del gruppo dirigente. Massimo Gorla (che era stato nella segreteria della IV internazionale) con numerosi di quei movimenti intrattenevano rapporti sistematici anche se con una selezione degli interlocutori eccessivamente viziata da criteri di tipo ideologico. Si veda per esempio l’appoggio al Fronte Democratico Popolare di Liberazione della Palestina, che era DOC dal punto di vista ideologico, ma contava molto poco rispetto ad Al Fatah
  • una visione del processo rivoluzionario in Italia come processo di lungo periodo e la sottolineatura che ci trovavamo nella fase di creazione delle condizioni per la formazione del partito rivoluzionario di tipo leninista (avanguardia del proletariato); di più non si diceva e non si poteva dire, ma era una bella demarcazione da gruppi e partitini che si autoproclavano partito rivoluzionario
  • un giudizio nei confronti del Movimento operaio organizzato e in particolare del Partito Comunista come di partito che aveva tradito, dopo la parentesi gramsciana, la lotta per il socialismo; su questo punto c’erano grande intransigenza e contrapposizione aperta. Nel numero uno di Avanguardia Operaia il PCI è definito essere l’ala sinistra della borghesia  (una sciocchezza che non ho mai digerito). In realtà trovavo che il giudizio sull’impianto teorico del PCI fosse parecchio schematico ma non me la sentivo di affrontare la questione, anche per denolezze teoriche e storiche mie.
  • nei confronti delle altre forze della sinistra rivoluzionaria i giudizi le collocavano nei diversi compartimenti del panorama arlecchino della sinistra rivoluzionaria: spontaneisti, economicisti, stalinisti, filo revisionisti, …Questo modo di procedere era tipico di tutte le organizzazioni allora presenti e si caratterizzava per un alto livello di concorrenza competizione

In sintesi: difesa del leninismo con critica della degenerazione staliniana, lotta per il socialismo senza la pretesa di essere i migliori del mondo, rottura molto netta con PCI e sindacati, sulle questioni centrali del processo rivoluzionario in Italia … si vedrà.

la formazione politico-ideologica

Avanguardia operaia sin dal 1969 prestò grande attenzione alla formazione politica ideologica dei suoi militanti e quindi, da subito, realizzò una rivista bimestrale, poi divenuta mensile, in cui si alternavano saggi di orientamento storico-politico, relazioni relative al lavoro di massa e informative sui rapporti con gli altri gruppi in giro per l’Italia

i classici in un estratto della mia biblioteca

Per quanto mi riguarda continuavo ad utilizzare la lettura attenta di Rinascita come strumento di orientamento relativo alle problematiche del nostro paese, visto che trovavo eccessivamente schematici e deduttivi gli editoriali della rivista.

Alla attenzione alla politica quotidiana affiancavo uno studio sistematico del leninismo, in particolare con le opere che consideravamo fondamentali per la sua comprensione e assimilazione:

  • stato e rivoluzione per le questioni di orientamento generale sul comunismo
  • che fare? sulle problematiche del partito rivoluzionario e della sua costruzione
  • l’imperialismo fase suprema del capitalismo per l’analisi del panorama mondiale
  • l’estremismo malattia infantile del comunismo per comprendere la storia del bolscevismo
  • la rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky sulle problematiche di demarcazione tra socialisti e comunisti

Prima di affrontare Lenin avevo studiato il Trattato di Economia marxista di Ernest Mandel, un’opera in due volumi che costituisce una ottima introduzione non solo alle problematiche della economia politica ma anche al materialismo storico.

Leggiucchiavo qualcosa di Trotsky, che mi piaceva dal punto di vista stilistico e comunicativo, mentre nella prima fase, con la eccezione del Manifesto del Partito Comunista e della concezione materialistica della storia non lessi nulla di Marx, rinviando ad altri momenti la lettura del primo libro del capitale.

idealismo e materialismo

A proposito della concezione materialista della storia (un estratto della Ideologia Tedesca) ho un ricordo kafkiano di un gruppo di studio alla cellula di Fisica sul tema classe in sè e classe per sè. Questioni che rinviavano all’idealismo hegeliano, argomento che mi era del tutto sconosciuto e a cui cercavamo di sopperire leggendo le note del curatore.

Con il senno di poi mi viene da dire, a proposito dell’impegno editoriale degli Editori Riuniti nella diffusione delle opere di Marx e di Lenin, quanto fossero masochisti questi esponenti dell’ala sinistra della borghesia. Confesso, per quanto riguarda gli odiati revisionisti, di essermi sempre rifatto alle fonti dirette leggendo La storia del PCI  di Paolo Spriano che nel 69 era giunta al secondo dei cinque volumi (che continuai poi a leggere negli anni successivi).

Paolo Spriano per me era un mito dopo che mi capitò di leggere un suo corsivo su Rinascita in cui si ironizzava sul giornalismo alla Panorama proposto dal fondatore Lamberto Sechi che con la scusa dei fatti separati dalle opinioni sfornava articoli facili da leggere ma di una superficialità assoluta e simili a chiacchiere da cortile. Spriano sosteneva, in contrapposizione, che sognava un settimanale in cui gli articoli iniziassero dicendo io la penso così e seguivano le argomentazioni.

cosa è mancato al movimento? Le mie colpe

Con l’inizio dell’anno accademico 69/70 ho preso atto che avevo trascorso un intero anno senza dare esami e che bisognava rimediare. Ho continuato il lavoro part-time alla cattedra di Fisica dello Spazio, ma mi sono impegnato per finire l’Università. In pochi mesi recuperai il tempo perduto: 4 esami e tesi di laurea e così alla fine di luglio del 70 mi ritrovai ad essere dottore in fisica e pronto per andare a militare.

Quello che sono ora non è certamente ciò che ero allora, ma nei diversi incontri fatti per il 40° e il 50° del nostro movimento di Scienze mi sono interrogato sul se e quanto avremmo potuto lavorare diversamente, se e quanto la mancanza di una battaglia di natura culturale fosse stata responsabilità nostra.

In quegli anni utilizzammo una impostazione vertenziale con obiettivi strutturati che riguardavano essenzialmente il diritto allo studio, il miglioramento delle condizioni materiali per gli studenti, il diritto di organizzazione politico culturale, la attivazione dei corsi pomeridiani e serali per i lavoratori studenti, la proposta dei semestri e il controllo sui ritmi di insegnamento e di apprendimento. I corsi serali nei primi anni ebbero un grande successo e consentirono a molti tecnici delle aziende milanesi di laurearsi.

Nella scelta degli obiettivi c’era un limite genetico, legato alla scelta di non mischiarci con il dibattito politico ideologico, come si faceva alle facoltà umanistiche. Con il linguaggio di allora parlerei di un vizio di economicismo. Non volevamo aprire la discussione sulla cultura scientifica, sul neopositivismo, sul materialismo dialettico, sul ruolo della ricerca scientifica e al più ci limitavamo ad affermare il carattere non neutrale  della scienza, ma in realtà non ne sapevamo molto.

Eravamo pieni buona volontà, desiderosi di fare meglio, ma anche estremamente ignoranti (nel senso etimologico del termine) e dunque, mentre altrove si tentavano i contro-corsi, noi ci dedicammo a far funzionare meglio (sul piano dei risultati) la macchina universitaria. D’altra parte, con poche eccezioni, non ci aiutarono i docenti, a loro volta piuttosto impreparati e sconcertati nel sentirsi rivolgere domande sui fondamenti o sul senso di ciò che ci proponevano: studenti critici, desiderosi di capire, interessati a fare domande e, dall’altra parte, docenti sconcertati che al più rigiravano la domanda, ma non sapevano cosa rispondere.

Nell’estate del 1969, anziché occuparsi di queste cose il Comitato di Agitazione sfornò un documento, pubblicato con evidenza su uno dei primi numeri di Avanguardia Operaia, in cui il tema principale al termine del secondo anno di movimento sembrava essere la discussione metodologica sul rapporto tra movimento di massa e organizzazioni politiche e sul fatto che il rapporto con la classe operaia dovesse passare attraverso la mediazione della organizzazione rivoluzionaria. Lo potete leggere qui l’ideologia prende il sopravvento (estate 1969) ma vi anticipo che è parecchio noioso.

Mancando la riflessione sulla scienza il movimento moriva per asfissia su obiettivi giusti ma limitati e su cui non si poteva pretendere di campare per anni. Non a caso nell’anno 70/71 (mentre ero a militare) ci fu una grande lotta seguita da una grande sconfitta, perché il movimento, mancando di una strategia propositiva si infilò, senza capacità di mediazione, nel cul de sac del controllo totale dei tempi di insegnamento e apprendimento. Non seppe mediare e non portò a casa nulla.

Mi interrogo spesso sulle mie responsabilità, ma alla fine mi assolvo. Ero un emerito ignorante; per fare la riflessione critica sulla scienza serviva un bagaglio culturale che non avevo e che avrei acquisito solo più tardi.


Questo articolo va letto insieme a 1965-1970 L’Università e la scienza che riguarda lo stesso periodo ma è riferito in senso stretto agli studi universitari.

La pagina con l’indice della mia autobiografia da cui potete scegliere i capitoli da leggere e vedere una sintesi di ciascuno