la “coscienza enorme” (Marx) – di Giovanni Cominelli

Sono tutti uguali!: si parla dei partiti, si intende.

La vicenda dei 5 milioni portati all’estero illegalmente e poi scudati, grazie alla legge della voluntary disclosure, che ha coinvolto il governatore della Lombardia, ha aperto una falla persino nell’elettorato leghista più catafratto nella presunta diversità morale leghista.

Il terreno del “tutti uguali” riguarda la questione morale. Non è un’affermazione originale:viene da una lunga storia, incominciata con il Fascismo, proseguita con l’Uomo qualunque, lanciata dalla Lega e da Mani pulite negli anni ‘ 90, rinverdita in questi anni dal M5S. “Tutti eguali!”, eccetto chi lancia l’anatema, che invece si autorappresenta quale “diseguale”.

Ma, se passiamo al terreno programmatico, quell’affermazione si sta trasformando sempre di più in “destra e sinistra sono uguali”. Neppure questa è nuovissima. Non solo perché è una variante della prima, ma anche perché la crisi della sinistra, a partire dalla caduta del sistema degli Stati comunisti, ha reso effettivamente più indefinibile il suo profilo da qualche decennio in qua. L’emergenza da Covid ha accentuato la percezione, già massicciamente diffusa, che “sono tutti uguali” e che “ destra e sinistra non esistono più”.

Che destra e sinistra non esistano più come tali è considerato, a sinistra, un pensiero di destra. Perciò il mio inconscio storico di sinistra si è allarmato, come quando ti attraversano la mente delle idee che non vorresti mai pensare: sono diventato di destra? Eppure… è difficile sottrarsi alla constatazione che i confini programmatici e, alla fine, identitari tra destra e sinistra siano diventati porosi.

Il segnale più clamoroso è, ovviamente, lo spostamento elettorale di milioni di persone, soprattutto di quei ceti che storicamente votavano le forze di sinistra. Si può passare in un quinquennio dal 41% dei voti alla sinistra al 34% alla destra sovranista radicale di Salvini e da questa avviare uno spostamento consistente verso la destra nazionalista radicale di Giorgia Meloni.

Poiché il corpo elettorale è “impazzito” come una maionese, la politica si crede democratica se ne segue la sorte. Così, una classe politica che già fu coraggiosamente “dirigente” si pone in coda come classe “al seguito”, dietro all’intendenza.

La teoria della società liquida per fornire la giustificazione della pigrizia intellettuale dei partiti.

Tuttavia, se l’elettorato si sposta a ondate apparentemente irrazionali, le cause sono percepibili dalla ragione analitica. Si sposta, perché i partiti, di destra e di sinistra, non sono stati in grado di offrire/mantenere nel tempo un profilo identitario aggiornato, attraente e convincente. Il che rinvia ad un deficit intellettuale e analitico nella lettura, alla luce della propria permanente tavola di valori, delle trasformazioni sociali, relazionali, antropologiche generate dal clamoroso salto di sviluppo delle forze produttive. Che, giova ricordarlo, sono il sapere, le scienze, l’educazione, le tecnologie della produzione e della comunicazione globale.

Marx forse non è stato un buon politico, ma certo un eccezionale profeta e visionario. Secondo Romano Màdera, quella di Marx fu “una perfetta diagnosi, una mediocre prognosi e una terapia inconsistente”, egli aveva già predetto nei Grundrisse l’avvento di una “coscienza enorme”, di un “Grosses Bewusstsein”, generato dall’applicazione, dall’ingresso della scienza/tecnologia nella produzione.

Il comunismo nutriva l’ambizione di istituire un nuovo modo di produzione, sostituendosi alla borghesia capitalistica, per generare la coscienza enorme e provocare un salto nella civilizzazione umana. Come si è visto, la statalizzazione integrale delle forze produttive – cioè la statalizzazione dell’uomo – ha bloccato lo sviluppo della coscienza enorme. Ci ha pensato il capitalismo a promuoverla.

A questo punto, la socialdemocrazia si è ritirata sulla trincea della distribuzione, cioè del Welfare. Con ciò è però finita “la funzione nazionale della classe operaia”, sulla quale si era costruita l’intera strategia del PCI, in forza della quale aveva fatto una battaglia distruttiva nei confronti del PSI e, in generale, della socialdemocrazia, in quanto prigioniera di un compromesso con la borghesia capitalistica. Il contenuto di quella funzione era il modo di produzione.

Perduta l’illusione di una coscienza enorme costruita dall’azione socio-politica e istituzionale della classe operaia, la sinistra che proviene dal PCI sembra avere smarrito l’idea che il movimento di liberazione umana dai vincoli e dai bisogni del “qui e ora” continua a passare attraverso il modo di produzione e attraverso lo sviluppo produttivo. Se “sinistra” storicamente vuol dire liberazione e innovazione versus oppressione e conservazione, rappresentate queste ultime da Nobiltà e Clero fino al 1789, e dalla Borghesia a partire dal 1848 –almeno secondo la narrazione marxiana – “sinistra” deve voler dire educazione, sapere scientifico, innovazione tecnologica, sviluppo umano.

Cioè: questa non è un’opzione programmatica tra le altre, ne è il fondamento. Viceversa, ciò che viene avanti, tanto nell’azione di governo quanto nell’elaborazione programmatica delle forze che lo sostengono, è un’indefinita melassa, in cui tutti gli interessi, le pressioni elettorali, la conservazione dello stato di cose presente sono mescolati. Liberare le forze produttive dall’oppressione burocratico-amministrativa e investire grandi cifre nell’educazione, ricerca, tecnologie implicherebbe delle scelte di constituency elettorale.

Accontentare i sindacati della scuola e del pubblico impiego, rinviare di continuo la riforma fiscale, dilatare la Pubblica amministrazione, disseminare di trappole giuridico-amministrative il percorso delle imprese e del lavoro significa rinunciare alla politica di sviluppo delle forze produttive. Accontentare ogni interesse non si può!

E la destra? Lo stimolo alla produzione non è fornito dalla riforma del sistema educativo, universitario e di Ricerca, ma dalla fuga delle tasse, dall’assistenzialismo universale, dal ricorso, truffaldino al 25% in tempo di Covid, alla cassa integrazione generalizzata, dal reddito di cittadinanza e da quota 100.

Non c’è da meravigliarsi se sinistra e destra sono percepite come uguali, l’unica differenza rimanendo quella relativa ai destinatari della distribuzione di denaro e ai modi di far crescere il debito pubblico: farsi aiutare aiutare dall’Europa, con l’ovvio dovere di rimborsare capitale e pagare gli interessi con soldi e/o riforme o accumulare autarchicamente debito sulle spalle delle nuove generazioni.

Ciò che appare è che destra e sinistra hanno perso l’asse della “coscienza enorme”, prima oggetto di competizione/conflitto tra la borghesia e il proletariato e adesso miserevolmente abbandonato da ambedue. Ora, senza questo asse e questo conflitto, che cosa diventa la politica se non un’antica politica democristiano-dorotea?

Quella che già profeticamente Augusto Del Noce denunciava come rischio – la corrente dei “dorotei” era nata nel marzo del 1959 – al Convegno della Democrazia cristiana di Santa Margherita Ligure del 9-11 ottobre 1959: “… dar luogo ad un partito che rappresenti la difesa dell’uomo di Guicciardini, inteso come colui che si propone di condursi in modo e con tanta prudenza da riuscire a godersi questa vita e l’altra, senza mai nulla sacrificare dei suoi interessi e dei suoi comodi”.

Questa antropologia guicciardiniana non è forse quella oggi egemone nella società, nella politica, ne governo del dopo (?)-Covid? Il documento proposto da Gianni Cuperlo, esponente del PD, intitolato “Radicalità per ricostruire- Creare un’Alleanza per il dopo”, vede un sacco di cose, ma non vede la coscienza enorme. La cornucopia di proposte programmatiche, di riforme, di spese e di regalie, alla fine, si riduce ad un’enciclopedia, la cui radicalità consiste nell’elencare tutte le riforme possibili e necessarie, fuorché decidere l’essenziale.


altri articoli su questi temi alla pagina 1968 e oltre

Info su Giovanni Cominelli

Giovanni Cominelli, iscritto a Filosofia all’Università Cattolica di Milano dal 1963 al 1965, alla Frei Universität nel 1965/66, laureato in filosofia con Enzo Paci all’Università statale di Milano nel marzo del 1968. Negli anni ’70 é stato membro della Segreteria nazionale del Movimento studentesco/Movimento lavoratori per il Socialismo. Eletto nel 1980 in Consiglio comunale a Milano per l’MLS-PDUP nel 1980, nel 1981 è subentrato come Consigliere regionale a Luciana Castellina, fino al 1990. Nel novembre del 1982 è entrato nel PCI, su posizioni riformiste e miglioriste. E’ uscito dal PCI-PDS nel 2000, aderendo ai Radicali fino al 2004. Iscritto al PD dal 2015. Esperto di politiche scolastiche, dal 1985 al 2000 responsabile scuola del Pci-Pds-Ds in Lombardia e membro della Commissione nazionale scuola. Membro del Gruppo di lavoro per la Valutazione, istituito nel 2001 dal ministro Moratti, fino al 2004. Dal 2002 al 2004 membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi, poi consulente per la comunicazione fino al 2005. Dal 2003 al 2005 ha organizzato la manifestazione Job&Orienta della Fiera di Verona dedicata all’istruzione. Membro del Cda dell’Indire dal 2005 al 2006, è stato responsabile delle politiche educative della Compagnia delle Opere dal 2005 al 2007 e della Fondazione per la Sussidiarietà fino al luglio 2010. Ricercatore presso il Cisem nel 2010. Svolge attività di formazione nelle scuole. Collabora alla Rivista mensile Nuova secondaria. Ha scritto di politiche educative su Il Riformista, Tempi, Il Foglio, Avvenire, Il Sole 24 Ore e i libri La caduta del vento leggero (2007) e La scuola è finita… forse (2009). Oggi editorialista de L’ECO DI BERGAMO e di santalessandro.org, settimanale della Diocesi di Bergamo. Scrive sul Sussidiario.
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14 risposte a la “coscienza enorme” (Marx) – di Giovanni Cominelli

  1. Claudio Cereda scrive:

    La mia cultura è debole sul versante filosofico e devo dire che certe disquisizioni non mi appassionano (mi riferisco a quelle che, già nella terminologia utilizzata, vengono dall'idealismo).
    Ho però cercate di leggere e capire (vedi l'intervista di oltre un'ora che ho linkato nel commento precedente) e le cose che ho capito, non ancora citate nella discussione, sono queste:

    1) Il libro è la riedizione di una cosa che Màdera ha scritto nel 1976 quando ha tirato la riga sopra 8 anni di impegno totale (dalle 5 di mattina alle 2 di notte dice lui). Il Gruppo Gramsci dopo una serie di oscillazioni si scioglieva tra Tony Negri e l'autonomia. E' lo stesso periodo in cui, la riga, ce l'ho messa anche io. Il punto di partenza che lo spinge a scrivere è un "avevamo sbagliato tutto ed eravamo stati presuntuosi" (concordo)

    2) Màdera è convinto che Marx sia stato comunque un grande utopista nel senso buono del termine. Ha studiato il capitalismo e non avrebbe concluso con le più note leggi sulla contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro su cui si fondano gli assiomi del socialismo scientifico (o meglio ci sarebbe arrivato alla fine della sua vita). Anzi in tarda età avrebbe considerato quasi inevitabile la sopravvivenza del capitalismo per la insuperabilità del tema del feticismo che rende tutto merce. I rapporti sociali, rapporti tra gli uomini, si fanno merce e rendono invisibile la contraddizione perché tutto appare naturale.

    3) Secondo Màdera un Marx volontarista? Mi è sembrato di sì, ma in maniera molto diversa da Lenin. Niente anello più debole, niente partito della avanguardia della avanguardia: lo sviluppo connaturato ai rapporti capitalistici (ma io direi lo sviluppo connaturato alla civiltà umana, alla scienza e alla tecnologia) lavora per una coscienza enorme, cioè per il disvelamento dei rapporti sociali e per la costruzione di un nuovo umanesimo (e non è un caso che Màdera, visto il suo percorso accademico e culturale successivo, ci metta poi la psicoanalisi junghiana, ma anche i temi della misericordia).

    4) Mi ha incuriosito il lavoro di ricerca per una filosofia della autobiografia (tema che mi è caro) che la sua scuola filosofica pratica da anni.

    5) Un’ultima precisazione di tipo terminologico. Sia Daniele Marini, sia Lino di Martino sottolineano che forse coscienza è un termine inadeguato e sarebbe meglio parlare di conoscenza o di consapevolezza. Come è noto il significato di una medesima parola cambia nelle diverse lingue. Così, grazie a quella tecnologia che Marx non possedeva, sono andato a verificare in rete e sia la versione spagnola, sia quella francese dei Grundrisse, usano coscienza. Credo che basti intendersi

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