Il declino della violenza – Steven Pinker
Recensire quest’opera è impegnativo. Si tratta di un volume di circa 900 pagine, denso di informazioni, dati, riferimenti, e con una struttura, in alcune parti, più da ricerca scientifica che da saggio, con 60 pagine di bibliografia, almeno altrettante di note. Si tratta di un lavoro che ha coinvolto più ricercatori e anche studenti di dottorato che hanno aiutato Pinker nella analisi dei dati.
Steven Pinker è un neuroscienziato, di cui anni fa avevo letto un altro libro molto importante per me: L’istinto del Linguaggio, nel quale dimostrava che le strutture linguistiche che sono alla base di ogni lingua, pur nella loro differenza, vengono apprese nella primissima infanzia in virtù di una predisposizione della organizzazione neurale del cervello umano. Ma non voglio commentare ora questi studi, mi pare utile accennarne per aiutare chi non conosce Pinker a farsi una pur vaga idea di che tipo di scienziato sia: non è un sociologo o uno storico, ma, appunto un neuroscienziato. E’ questa sua specializzazione che mi ha attratto in modo particolare facendomi sospettare che avrebbe trattato il tema con un approccio del tutto originale. E non mi sono sbagliato, come ora cercherò di spiegare.
Il titolo suona provocatorio, e ogni volta che accennavo agli amici che stavo leggendo quest’opera raccoglievo commenti scettici. L’idea che la violenza nel tempo attuale sia molto diffusa nel corpo sociale mondiale è fortemente radicata. Ed è l’idea che sta alla base delle proposte politiche che fanno leva sulla paura. Per rompere la barriera di sospetto degli amici spiegavo subito che l’opera si sviluppa su due piani:
- un piano analitico e storico, in cui vengono riportati una serie di dati sulle guerre che affliggono l’umanità fin da quando si documenta la storia, e anche prima in virtù degli studi archeologici.
- un piano più strettamente legato alla personalità scientifica dell’autore, che cerca di trovare le ragioni del declino della violenza in alcune facoltà umane, tra cui l’empatia, ovvero la capacità di comprendere gli stati mentali altrui.
Come dice Pinker stesso: “gran parte del libro esplora la psicologia della violenza e della nonviolenza. La teoria della mente cui mi richiamerò è una sintesi di scienza cognitiva, neuroscienza affettiva e cognitiva, psicologia sociale ed evoluzionistica e altre scienze della natura umana”.
Nei primi capitoli Pinker espone, seguendo una sequenza temporale, una serie di dati sul numero di morti documentati, o che si possono stimare, dovuti, agli inizi, a conflitti tribali e via via a forme di conflitto che assumono sempre più la natura di guerra come oggi la conosciamo.
Il mutare delle forme di conflitto si affianca al mutare delle forme di aggregazione sociale che dalla tribù portano ai regni e principati e agli stati nazionali, agli imperialismi e agli stati moderni, riportando via via progressivamente il ricorso alle armi entro principi di diritto nazionale e internazionale.
Pinker individua sul piano storico sei tendenze principali:
- il passaggio dall’anarchia delle società primitive dedite alla caccia, all’evoluzione verso le società agricole con città e governi prima locali e poi imperiali;
- il processo di civilizzazione, dal tardo medioevo al XX secolo;
- la rivoluzione umanitaria, che prende l’avvio con l’Illuminismo;
- la progressiva riduzione di guerre civili, repressioni e genocidi locali del XX secolo
- la rivoluzione dei diritti, inaugurata simbolicamente con la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948.
E’ a partire dal capitolo VIII che Pinker inizia l’esplorazione le facoltà della mente umana che spingono verso la violenza o verso la pace. Chiama le prime i demoni interiori, ovvero la psicologia della violenza, la dominanza (brama di autorità, prestigio ecc.), la vendetta, il sadismo e infine l’ideologia come sistema di credenze in un quadro utopico che giustifica una violenza illimitata.
Pinker passa poi a descrivere le facoltà che induco a comportamenti orientati alla cooperazione e alla pace, quelli che chiama i migliori angeli, adottando un’espressione di Abramo Lincoln per descrivere le migliori qualità umana, e che riconosce non solo nell’empatia, ma nell’autocontrollo, che permette di valutare le conseguenze di azione che nascono da impulsi, nel senso morale che individua norme e tabù, e infine nella facoltà della ragione.
Nell’ultimo capitolo Pinker cerca di unificare storia e psicologia individuando le forze esterne alla mente e alla natura umana, che favoriscono gli impulsi di pace e guidano la riduzione della violenza. Esse sono:
- il Leviatano, ovvero l’idea e la forma dello Stato e di un sistema giudiziario;
- il commercio che considera come espressione di un gioco di scambio a somma positiva nel quale ogni partecipante trova una forma di vittoria “nella misura in cui il progresso tecnologico permette lo scambio di beni e idee su distanze più lunghe e fra gruppi più ampi di partner commerciali, gli altri divengono più preziosi da vivi che da morti …”;
- la femminizzazione, il progressivo crescere del rispetto verso la donna e i suoi interessi e valori;
- il cosmopolitismo: la diffusione di valori e condizioni e stili di vita diversi, che allargano il cerchio di solidarietà e la visione delle differenze;
- infine la crescita del sapere e di un approccio razionale alle vicende umane.
Appare evidente un forte orientamento positivo e quasi ottimista, anche se lo stesso Pinker non nasconde la natura non lineare con cui i fenomeni si sono evoluti. Soprattutto Pinker mette in luce come i migliori angeli spesso non riescano per nulla a contrastare la violenza e cerca di spiegare come mai ci siano voluti migliaia di anni per consentire alle facoltà positive di dispiegare i loro effetti.
L’ultimo capitolo è forse il più interessante dell’intero volume. Pinker fa piazza pulita di una grande varietà di miti, quale ad esempio la relazione tra empatia e neuroni specchio. Particolarmente interessanti sono i resoconti che mettono in luce come l’empatia possa tramutarsi nel suo opposto in funzione della relazione sociale che intercorre, di competizione o di cooperazione. Gli studi han dimostrato che non esiste nessun centro dell’empatia, pertanto essa di per sé e da sola non può giustificare l’insorgere di comportamenti positivi.
Più interessante è l’osservazione che l’empatia può essere vista come proiezione / assunzione di prospettiva, cioè capacità di mettersi nel punto di vista dell’altro. Ed è questa accezione che risulta più efficace nel discorso sul declino della violenza. Oltre a ciò Pinker introduce alcuni principi di teoria dei giochi per illustrare quanto un orientamento anti violenza sia vantaggioso se avviene in un contesto in cui emerge un atteggiamento cooperativo tra soggetto o tra stati. Ciò viene illustrato attraverso il dilemma del prigioniero, via via modificato ed arricchito di forme premiali o punitive dovute alla messa in opera dei migliori angeli o dei demoni.
Le argomentazioni più convincenti di Pinker sono esposte, come detto nell’ultimo capitolo, mentre l’analisi quantitativa è stata spesso criticata da altri studiosi come affetta da un uso improprio dei metodi statistici. Si tratta a mio parere di una disputa accademica. I dati su cui si basano le estrapolazioni statistiche restano comunque impressionanti e per darne una prova riporto una tabella che riassume gli aspetti quantitativi dello studio di Pinker.
Si tratta della stima o del conteggio del numero di morti per guerre (sia morti diretti, sia morti tra i civili per fame o malattie). L’ultima colonna rielabora la classifica considerando il numero di morti in relazione alla popolazione normalizzata al XX secolo: quella che credevamo fosse la maggior tragedia della storia, la II Guerra Mondiale, scende al nono posto superata dalle guerre in estremo oriente, dalla tratta degli schiavi e dallo sterminio dei nativi nord americani.
Classifica |
Causa |
Secolo |
Totale vittime |
Totale vittime normalizzate metà XX secolo |
Classifica corretta |
1 |
II Guerra Mondiale |
XX |
55.000.000 |
55.000 |
9° |
2 |
Mao Zedong (carestia) |
XX |
40.000.000 |
40.000.000 |
11° |
3 |
Conquiste Mongole |
XIII |
40.000.000 |
278.000.000 |
2° |
4 |
Rivolta di An Lushan |
VIII |
36.000.000 |
429.000.000 |
1° |
5 |
Caduta dinastia Ming |
XVII |
25.000.000 |
112.000.000 |
4° |
6 |
Rivolta Tai Ping |
XIX |
20.000.000 |
40.000.000 |
10° |
7 |
Sterminio Indiani America |
XV-XIX |
20.000.000 |
92.000.000 |
7° |
8 |
Stalin |
XX |
20.000.000 |
20.000.000 |
15° |
9 |
Tratta Schiavi Mediorientali |
VII-XIX |
19.000.000 |
132.000.000 |
3° |
10 |
Tratta schiavi Atlantico |
XV-XIX |
18.000.000 |
83.000.000 |
8° |
11 |
Tamerlano |
XV |
17.000.000 |
100.000.000 |
6° |
12 |
Carestia India Britannica |
XIX |
17.000.000 |
35.000.000 |
12° |
13 |
I Guerra Mondiale |
XX |
15.000.000 |
15.000.000 |
16° |
14 |
Guerra civile Russa |
XX |
9.000.000 |
9.000.000 |
20° |
15 |
Caduta di Roma |
III-IV |
8.000.000 |
105.000.000 |
5° |
16 |
Stato libero del Congo |
XIX-XX |
8.000.000 |
12.000.000 |
18° |
17 |
Guerra dei Trent'anni |
XVII |
7.000.000 |
32.000.000 |
13° |
18 |
Periodo Torbidi Russia |
XVI-XVII |
5.000.000 |
23.000.000 |
14° |
19 |
Guerre Napoleoniche |
XIX |
4.000.000 |
11.000.000 |
19° |
20 |
Guerra civile Cinese |
XX |
3.000.000 |
3.000.000 |
21° |
21 |
Guerre di religione francesi |
XVI |
3.000.000 |
14.000.000 |
17° |
Steven Arthur Pinker (Montréal, 18 settembre 1954) è docente di psicologia alla Harvard University ed autore di opere di divulgazione scientifica. È stato professore al Department of Brain and Cognitive Sciences al Massachusetts Institute of Technology per 21 anni prima del suo ritorno ad Harvard nel 2003.
Steven Pinker
Il Declino della Violenza – Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca più pacifica della storia
Mondadori, Milano, 2013, 898 p., rilegato, disponibile in ebook a 9 €