I giacimenti – portare i cuccioli nella foresta – 2

Il primo pensiero formulato durante la lettura di quelle indicazioni sull'insegnamento elementare del primo 900 è una sorta di autoinvito: dovremmo (dovrei) ridare alla questione scuola uno spessore storico che provi a sfondare l’orizzonte rituale dei riferimenti che ci(mi) sono usuali e che ci(mi) ripetiamo in una sorta di giaculatoria salvifica: I programmi della Media unificata del 1979… i programmi delle elementari dell’85…le indicazioni della scuola dell’infanzia… Come se la nostra storia iniziasse da lì. O meglio come se la storia della scuola italiana fosse quella della “nostra storia” individuale, di docenti, presidi, ispettori…E vale anche per quei riferimenti che si avviano a similari mummificazioni rituali (le “nuove” indicazioni, le “competenze”… ecc..).

Naturalmente vi sono sensati motivi per giustificare tale istintiva limitazione di orizzonte: è, quella che indichiamo come la fase storica nella quale la scuola italiana è diventata “di massa” e dunque ha interessato l’universo delle giovani generazioni.

In realtà il giacimento da coltivare è assai più ampio e forse lo si può scorgere anche guardando attentamente questo libretto. Provo a riassumere i pensieri che mi suggerisce in prima battuta quella lettura.

un po' di storia

E’ ovvia l’avvertenza di “situare” storicamente questi sia pure stimolanti “programmi” di insegnamento elementare. All’epoca era appena andata in vigore le Legge Orlando (1904) che portava a sei anni la durata dell’istruzione elementare. Il libriccino citato riporta anche in parallelo programmi per il quinto e sesto anno. Fino ad allora la scuola elementare era di cinque anni e l’obbligo fino alla terza classe. (Legge Coppino 1877).

Si tenga presente che l’innalzamento dell’obbligo era comunque largamente “formale”, e certo non investiva l’universo generazionale. E così rimase per lungo tempo.

Se volessimo fare una battuta: siamo di fronte al primo tentativo di strutturare il “primo ciclo” in sei anni. Molto più tardi provò a consigliarcelo l’OCSE all’epoca del Ministero Berlinguer (la primissima ipotesi di riforma dei cicli prevedeva un 6+6). Ma come si sa ci fu la rivolta dei docenti…Mai turbare il consolidato!!

E’ un paradosso ormai comprovato: con una riforma, a prescindere dal merito, si rischia di rendere vano ciò che sembra soddisfare di più il mondo della scuola: l’eterna invocazione della necessità di riforme… La scuola, come ecclesia semper reformanda (unico spunto luterano ammesso nella nostra cattolicissima cultura ..). Se la fai, l’invocazione perde il suo scopo…

Poiché per la stragrande maggioranza (la quasi totalità) del popolo italiano quello elementare era il livello massimo di istruzione, si comprende come il fanciullo cui ci si riferisce sia guardato come un immediatamente prossimo adulto e dunque l’istruzione si carica di un insieme di contenuti essenziali al vivere quotidiano. Nulla di assimilabile alla condizione attuale.

Mi preme sottolineare qui però, la correttezza realistica del riferimento. Chi ha steso questi programmi non sta guardando ad una astrazione pedagogica, ad una sorta di idealtipo di fanciullo, con nessun rapporto con la realtà; sta invece individuando il soggetto concreto e i realistici e necessari traguardi della sua istruzione.

Rileggete invece, per favore, il profilo dello studente in uscita dal primo ciclo come è stato redatto nelle indicazioni nazionali in vigore …


Lo studente al termine del primo ciclo, attraverso gli apprendimenti sviluppati a scuola, lo studio personale, le esperienze educative vissute in famiglia e nella comunità, è in grado di iniziare ad affrontare in autonomia e con responsabilità le situazioni di vita tipiche della propria età, riflettendo ed esprimendo la propria personalità.

Dimostra una padronanza della lingua italiana tale da consentirgli di comprendere enunciati e testi di una certa complessità, di esprimere le proprie idee, di adottare un registro linguistico appropriato alle diverse situazioni.

Nell'incontro con persone di diverse nazionalità è in grado di esprimersi a livello elementare in due lingue europee. Allo stesso modo riesce ad utilizzare una lingua europea nell'uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: posta elettronica, navigazione web, social network, blog, ecc..

Le sue conoscenze matematiche e scientifico-tecnologiche gli consentono di analizzare dati e fatti della realtà e di verificare l'attendibilità delle analisi quantitative e statistiche proposte da altri. Il possesso di un pensiero razionale sviluppato gli consente di affrontare problemi e situazioni sulla base di elementi certi e di avere consapevolezza dei limiti delle affermazioni che riguardano questioni complesse che non si prestano a spiegazioni univoche.

Utilizza in modo sicuro le tecnologie della comunicazione con le quali riesce a ricercare e analizzare dati ed informazioni e ad interagire con soggetti diversi.

Possiede un patrimonio di conoscenze e nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di ricercare e di procurarsi velocemente nuove informazioni e impegnarsi in nuovi apprendimenti anche in modo autonomo. Ha assimilato il senso e la necessità del rispetto delle regole nella convivenza civile. Ha attenzione per il bene comune e per le funzioni pubbliche alle quali partecipa nelle diverse forme in cui questa può avvenire: volontariato, azioni di solidarietà, servizio civile, ecc.

Dimostra originalità e spirito di iniziativa. Si assume le proprie responsabilità e chiede aiuto quando si trova in difficoltà. In relazione alle proprie potenzialità e al proprio talento si impegna in campi espressivi ed artistici che gli sono congenial


Io dico spesso che applicando tali indicazioni a me stesso oggi, mi sento totalmente inadeguato… Ma, al di là della battuta, è chiaro che quel profilo apollineo non ha nulla a che fare con un preadolescente reale con le sue caratteristiche dionisiache. E’ come se scegliessimo, come guida del lavoro formativo, non il soggetto reale, ma la sua ricostruzione idealtipica. Ho sviluppato il tema in Sono un portatore (sano?) di BES”  e  “La/le Geometrie del Curricolo”in   La scuola e l’uomo, n- 7/8, 2014.

portare i cuccioli nella foresta e insegnare loro a cacciare

Confesso di non essere un pedagogista né tanto meno un didatta. Quando parlo di formazione, specie a livello di base, uso sempre una metafora: portare i cuccioli nella foresta e insegnare loro a cacciare... Si tratta cioè di accompagnare la crescita del soggetto e della sua autonomia mettendolo in condizione di affrontare i problemi basilari e concreti del vivere quotidiano e di esercitare le sue prerogative di cittadino.

La propedeuticità agli studi successivi, è solo una variante aggiuntiva, e spesso impropria, se diventa principio-guida, spesso implicito.

Ma in questo accompagnare i cuccioli… ho bisogno di lavorare con loro, non con le immagini idealtipiche ricostruite da qualche estensore di programmi o indicazioni. Quel lavoro si misura con problemi reali e con “cose”. E certo, negli esempi portati di quel libriccino, l’impostazione positivista si sente proprio a partire da quel richiamo a Insegnamenti di cose e nei loro richiami a lavoro, mestieri, macchine, tecniche varie, che comunque accompagnano il vivere quotidiano.

Noi amiamo certe generalizzazioni come quella (purtroppo di successo mediatico..) di nativi digitali… Dovremmo invece (se vale la metafora dei cuccioli che devono imparare a cacciare..) misurarci in modo specifico su quella combinazione di ritardi e anticipi e decidere cosa davvero è necessario che i cuccioli imparino per “vivere” nel mondo reale che li aspetta.

il circuito mano – occhio – cervello

Per esempio il digitale rielabora un circuito mano – occhio (sensi) – cervello, mediato da una tastiera o meglio ancora da uno schermo touch, di grande potenza, ma che è attrezzato  secondo modalità specifiche. Per esempio la mano è guidata dall’indice, e, addirittura, il pollice muta funzione, da elemento di “presa” a assimilazione strisciante/indicativa dell’indice…(si preannuncia la fine del pollice opponibile?).

Un circuito siffatto rielabora intervalli stimoli-risposta sempre più ristretti e che abilitano una sovra moltiplicazione di tentativi-errori (copia – incolla – taglia – ricomincia). Quasi rendendo superflua l’analisi e “inutile”  il tempo che essa richiede.

Gli scolari del libretto avevano il medesimo circuito mano – occhio(sensi) – cervello (costrutto basilare di ogni antropologia) attrezzato però diversamente: disegnavano con attrezzi e senza, usando le mani… scrivevano impugnando e stringendo (funzione fondamentale del pollice…). Il tempo tra lo stimolo (visivo, auditivo, da lettura, da immagine…) e la risposta richiesta era mediato “obbligatoriamente” dalla riflessione (si guardi alle indicazioni relative al fare conversazioni istruttive…o a riportare riassunti orali di letture…).

Qui, non trattandosi di formare “professionisti” ma di “insegnare ai cuccioli a cacciare” occorre decidere cosa sia opportuno conservare e abilitare delle vecchie e nuove attrezzistiche del circuito mano – occhio (sensi) – cervello….

Oggi Pierino può, se vuole, disegnare i baffi alla Gioconda, come un novello Duchamp, ma senza saper tenere in mano un pennello… Può disegnare una circonferenza perfetta sullo schermo, con un solo gesto approssimato, e senza saper usare il compasso… Bene: se farà l’architetto potrà dimenticarsi di riga, compasso, squadra… Per lui saranno “fossili” di altra epoca.

Ma per un cucciolo che deve imparare a cacciare, possiamo davvero considerare tali attrezzature come fossili? So di toccare un vespaio, ma non mi interessano le risposte “teoriche” da apocalittici o integrati, da chi guarda alle sorti magnifiche e progressive della digitalizzazione o di chi pensa che provochi disturbi psichici (c’è anche questo nel dibattito…).

Se qualche cosa mi dice questo libretto di un passato inconfrontabile con l’oggi è che comunque “bisogna decidere” cosa è utile ai cuccioli… anche misurarsi con i fossili, se la loro padronanza è utile per “imparare a cacciare”.

Il pollice che stringe e getta, serve comunque, o va bene lasciare che si assimili ad un indice che sfiora e preme? L’algoritmo della radice quadrata è comunque utile impararlo ed esercitarsi  anche se lo si dimenticherà? Non c’è una “risposta teorica”: c’è da misurarsi con “le esigenze della caccia”


(2 – continua) Il precedente articolo è I giacimenti – riflessioni sull’insegnamento elementare a inizio 900 – 1


L'articolo viene linkato in diversi gruppi Faceboook e per consentire all'autore di replicare si consiglia chi volesse commentare di inserire le proprie osservazioni direttamente in coda all'articolo su Pensieri in Libertà. Grazie


 

 

 

  Il secondo elemento che balza agli occhi proprio a partire da tale realistica attenzione al soggetto di cui si parla (lo scolaro di “quella” scuola elementare che per la maggior parte del popolo era “terminale”), se confrontiamo con l’oggi e con una analoga e realistica attenzione al soggetto che abbiamo di fronte (non a quello delle “indicazioni”), è la miscela specifica di “anticipi e ritardi” che conforma gli attuali studenti, rispetto a quelli a cui guarda il libretto. Non ci sono “più avanti” o “più indietro” ma una combinazione di anticipazioni di saperi e di “padronanze” con “ritardi” rispetto ad altri saperi ed altre padronanze.
Noi amiamo certe generalizzazioni come quella (purtroppo di successo mediatico..) di “nativi digitali”… Dovremmo invece (se vale la metafora dei cuccioli che devono imparare a cacciare..) misurarci in modo specifico su quella combinazione di ritardi e anticipi e decidere cosa davvero è necessario che i cuccioli imparino per “vivere” nel mondo reale che li aspetta…
Per esempio il digitale rielabora un circuito mano-occhio (sensi)-cervello, mediato da una tastiera o meglio ancora da uno schermo touch, di grande potenza, ma che è “attrezzato” in modalità specifiche. Per esempio la mano è guidata dall’indice, e, addirittura, il pollice muta funzione, da elemento di “presa” a assimilazione strisciante/indicativa dell’indice…(si preannuncia la fine del pollice opponibile?)
Il circuito siffatto rielabora intervalli stimoli-risposta sempre più ristretti e che abilitano una sovra moltiplicazione di tentativi-errori (copia-incolla-taglia- ricomincia). Quasi rendendo superflua l’analisi e “inutile”  il tempo che essa richiede.
Gli scolari del libretto avevano il medesimo circuito mano-occhio(sensi)- cervello (è costrutto basilare di ogni antropologia) attrezzato però diversamente: disegnavano con attrezzi e senza, usando le mani… scrivevano impugnando e stringendo (funzione fondamentale del pollice…). Il tempo tra lo stimolo (visivo, auditivo, da lettura, da immagine…) e la risposta richiesta era mediato “obbligatoriamente” dalla riflessione (si guardi alle indicazioni relative al fare conversazioni istruttive…o a riportare riassunti orali di letture…).
Qui, non trattandosi di formare “professionisti” ma di “insegnare ai cuccioli a cacciare” occorre decidere cosa sia opportuno conservare e abilitare delle vecchie e nuove attrezzistiche del circuito mano-occhio (sensi)-cervello…. Oggi Pierino può, se vuole, disegnare i baffi alla Gioconda, come un novello Duchamp, ma senza saper tenere in mano un pennello… Può disegnare una circonferenza perfetta sullo schermo, con un solo gesto approssimato, e senza saper usare il compasso… Bene: se farà l’architetto potrà dimenticarsi di riga, compasso, squadra… Per lui saranno “fossili” di altra epoca. Ma per cucciolo che deve imparare a cacciare, possiamo davvero considerare tali attrezzature come fossili? So di toccare un vespaio, ma non mi interessano le risposte “teoriche” da apocalittici o integrati, da chi guarda alle sorti magnifiche e progressive della digitalizzazione o di chi pensa che provochi disturbi psichici (c’è anche questo nel dibattito…). Se qualche cosa mi dice questo libretto di un passato inconfrontabile con l’oggi è che comunque “bisogna decidere” cosa è utile ai cuccioli… anche misurarsi con i fossili, se la loro padronanza è utile per “imparare a cacciare”. Il pollice che stringe e getta, serve comunque, o va bene lasciare che si assimili ad un indice che sfiora e preme? L’algoritmo della radice quadrata è comunque utile impararlo ed esercitarsi  anche se lo si dimenticherà? Non c’è una “risposta teorica”: c’è da misurarsi con “le esigenze della caccia”
  Il secondo elemento che balza agli occhi proprio a partire da tale realistica attenzione al soggetto di cui si parla (lo scolaro di “quella” scuola elementare che per la maggior parte del popolo era “terminale”), se confrontiamo con l’oggi e con una analoga e realistica attenzione al soggetto che abbiamo di fronte (non a quello delle “indicazioni”), è la miscela specifica di “anticipi e ritardi” che conforma gli attuali studenti, rispetto a quelli a cui guarda il libretto. Non ci sono “più avanti” o “più indietro” ma una combinazione di anticipazioni di saperi e di “padronanze” con “ritardi” rispetto ad altri saperi ed altre padronanze.
Noi amiamo certe generalizzazioni come quella (purtroppo di successo mediatico..) di “nativi digitali”… Dovremmo invece (se vale la metafora dei cuccioli che devono imparare a cacciare..) misurarci in modo specifico su quella combinazione di ritardi e anticipi e decidere cosa davvero è necessario che i cuccioli imparino per “vivere” nel mondo reale che li aspetta…
Per esempio il digitale rielabora un circuito mano-occhio (sensi)-cervello, mediato da una tastiera o meglio ancora da uno schermo touch, di grande potenza, ma che è “attrezzato” in modalità specifiche. Per esempio la mano è guidata dall’indice, e, addirittura, il pollice muta funzione, da elemento di “presa” a assimilazione strisciante/indicativa dell’indice…(si preannuncia la fine del pollice opponibile?)
Il circuito siffatto rielabora intervalli stimoli-risposta sempre più ristretti e che abilitano una sovra moltiplicazione di tentativi-errori (copia-incolla-taglia- ricomincia). Quasi rendendo superflua l’analisi e “inutile”  il tempo che essa richiede.
Gli scolari del libretto avevano il medesimo circuito mano-occhio(sensi)- cervello (è costrutto basilare di ogni antropologia) attrezzato però diversamente: disegnavano con attrezzi e senza, usando le mani… scrivevano impugnando e stringendo (funzione fondamentale del pollice…). Il tempo tra lo stimolo (visivo, auditivo, da lettura, da immagine…) e la risposta richiesta era mediato “obbligatoriamente” dalla riflessione (si guardi alle indicazioni relative al fare conversazioni istruttive…o a riportare riassunti orali di letture…).
Qui, non trattandosi di formare “professionisti” ma di “insegnare ai cuccioli a cacciare” occorre decidere cosa sia opportuno conservare e abilitare delle vecchie e nuove attrezzistiche del circuito mano-occhio (sensi)-cervello…. Oggi Pierino può, se vuole, disegnare i baffi alla Gioconda, come un novello Duchamp, ma senza saper tenere in mano un pennello… Può disegnare una circonferenza perfetta sullo schermo, con un solo gesto approssimato, e senza saper usare il compasso… Bene: se farà l’architetto potrà dimenticarsi di riga, compasso, squadra… Per lui saranno “fossili” di altra epoca. Ma per cucciolo che deve imparare a cacciare, possiamo davvero considerare tali attrezzature come fossili? So di toccare un vespaio, ma non mi interessano le risposte “teoriche” da apocalittici o integrati, da chi guarda alle sorti magnifiche e progressive della digitalizzazione o di chi pensa che provochi disturbi psichici (c’è anche questo nel dibattito…). Se qualche cosa mi dice questo libretto di un passato inconfrontabile con l’oggi è che comunque “bisogna decidere” cosa è utile ai cuccioli… anche misurarsi con i fossili, se la loro padronanza è utile per “imparare a cacciare”. Il pollice che stringe e getta, serve comunque, o va bene lasciare che si assimili ad un indice che sfiora e preme? L’algoritmo della radice quadrata è comunque utile impararlo ed esercitarsi  anche se lo si dimenticherà? Non c’è una “risposta teorica”: c’è da misurarsi con “le esigenze della caccia”
  Il secondo elemento che balza agli occhi proprio a partire da tale realistica attenzione al soggetto di cui si parla (lo scolaro di “quella” scuola elementare che per la maggior parte del popolo era “terminale”), se confrontiamo con l’oggi e con una analoga e realistica attenzione al soggetto che abbiamo di fronte (non a quello delle “indicazioni”), è la miscela specifica di “anticipi e ritardi” che conforma gli attuali studenti, rispetto a quelli a cui guarda il libretto. Non ci sono “più avanti” o “più indietro” ma una combinazione di anticipazioni di saperi e di “padronanze” con “ritardi” rispetto ad altri saperi ed altre padronanze.
Noi amiamo certe generalizzazioni come quella (purtroppo di successo mediatico..) di “nativi digitali”… Dovremmo invece (se vale la metafora dei cuccioli che devono imparare a cacciare..) misurarci in modo specifico su quella combinazione di ritardi e anticipi e decidere cosa davvero è necessario che i cuccioli imparino per “vivere” nel mondo reale che li aspetta…
Per esempio il digitale rielabora un circuito mano-occhio (sensi)-cervello, mediato da una tastiera o meglio ancora da uno schermo touch, di grande potenza, ma che è “attrezzato” in modalità specifiche. Per esempio la mano è guidata dall’indice, e, addirittura, il pollice muta funzione, da elemento di “presa” a assimilazione strisciante/indicativa dell’indice…(si preannuncia la fine del pollice opponibile?)
Il circuito siffatto rielabora intervalli stimoli-risposta sempre più ristretti e che abilitano una sovra moltiplicazione di tentativi-errori (copia-incolla-taglia- ricomincia). Quasi rendendo superflua l’analisi e “inutile”  il tempo che essa richiede.
Gli scolari del libretto avevano il medesimo circuito mano-occhio(sensi)- cervello (è costrutto basilare di ogni antropologia) attrezzato però diversamente: disegnavano con attrezzi e senza, usando le mani… scrivevano impugnando e stringendo (funzione fondamentale del pollice…). Il tempo tra lo stimolo (visivo, auditivo, da lettura, da immagine…) e la risposta richiesta era mediato “obbligatoriamente” dalla riflessione (si guardi alle indicazioni relative al fare conversazioni istruttive…o a riportare riassunti orali di letture…).
Qui, non trattandosi di formare “professionisti” ma di “insegnare ai cuccioli a cacciare” occorre decidere cosa sia opportuno conservare e abilitare delle vecchie e nuove attrezzistiche del circuito mano-occhio (sensi)-cervello…. Oggi Pierino può, se vuole, disegnare i baffi alla Gioconda, come un novello Duchamp, ma senza saper tenere in mano un pennello… Può disegnare una circonferenza perfetta sullo schermo, con un solo gesto approssimato, e senza saper usare il compasso… Bene: se farà l’architetto potrà dimenticarsi di riga, compasso, squadra… Per lui saranno “fossili” di altra epoca. Ma per cucciolo che deve imparare a cacciare, possiamo davvero considerare tali attrezzature come fossili? So di toccare un vespaio, ma non mi interessano le risposte “teoriche” da apocalittici o integrati, da chi guarda alle sorti magnifiche e progressive della digitalizzazione o di chi pensa che provochi disturbi psichici (c’è anche questo nel dibattito…). Se qualche cosa mi dice questo libretto di un passato inconfrontabile con l’oggi è che comunque “bisogna decidere” cosa è utile ai cuccioli… anche misurarsi con i fossili, se la loro padronanza è utile per “imparare a cacciare”. Il pollice che stringe e getta, serve comunque, o va bene lasciare che si assimili ad un indice che sfiora e preme? L’algoritmo della radice quadrata è comunque utile impararlo ed esercitarsi  anche se lo si dimenticherà? Non c’è una “risposta teorica”: c’è da misurarsi con “le esigenze della caccia”
  Il secondo elemento che balza agli occhi proprio a partire da tale realistica attenzione al soggetto di cui si parla (lo scolaro di “quella” scuola elementare che per la maggior parte del popolo era “terminale”), se confrontiamo con l’oggi e con una analoga e realistica attenzione al soggetto che abbiamo di fronte (non a quello delle “indicazioni”), è la miscela specifica di “anticipi e ritardi” che conforma gli attuali studenti, rispetto a quelli a cui guarda il libretto. Non ci sono “più avanti” o “più indietro” ma una combinazione di anticipazioni di saperi e di “padronanze” con “ritardi” rispetto ad altri saperi ed altre padronanze.
Noi amiamo certe generalizzazioni come quella (purtroppo di successo mediatico..) di “nativi digitali”… Dovremmo invece (se vale la metafora dei cuccioli che devono imparare a cacciare..) misurarci in modo specifico su quella combinazione di ritardi e anticipi e decidere cosa davvero è necessario che i cuccioli imparino per “vivere” nel mondo reale che li aspetta…
Per esempio il digitale rielabora un circuito mano-occhio (sensi)-cervello, mediato da una tastiera o meglio ancora da uno schermo touch, di grande potenza, ma che è “attrezzato” in modalità specifiche. Per esempio la mano è guidata dall’indice, e, addirittura, il pollice muta funzione, da elemento di “presa” a assimilazione strisciante/indicativa dell’indice…(si preannuncia la fine del pollice opponibile?)
Il circuito siffatto rielabora intervalli stimoli-risposta sempre più ristretti e che abilitano una sovra moltiplicazione di tentativi-errori (copia-incolla-taglia- ricomincia). Quasi rendendo superflua l’analisi e “inutile”  il tempo che essa richiede.
Gli scolari del libretto avevano il medesimo circuito mano-occhio(sensi)- cervello (è costrutto basilare di ogni antropologia) attrezzato però diversamente: disegnavano con attrezzi e senza, usando le mani… scrivevano impugnando e stringendo (funzione fondamentale del pollice…). Il tempo tra lo stimolo (visivo, auditivo, da lettura, da immagine…) e la risposta richiesta era mediato “obbligatoriamente” dalla riflessione (si guardi alle indicazioni relative al fare conversazioni istruttive…o a riportare riassunti orali di letture…).
Qui, non trattandosi di formare “professionisti” ma di “insegnare ai cuccioli a cacciare” occorre decidere cosa sia opportuno conservare e abilitare delle vecchie e nuove attrezzistiche del circuito mano-occhio (sensi)-cervello…. Oggi Pierino può, se vuole, disegnare i baffi alla Gioconda, come un novello Duchamp, ma senza saper tenere in mano un pennello… Può disegnare una circonferenza perfetta sullo schermo, con un solo gesto approssimato, e senza saper usare il compasso… Bene: se farà l’architetto potrà dimenticarsi di riga, compasso, squadra… Per lui saranno “fossili” di altra epoca. Ma per cucciolo che deve imparare a cacciare, possiamo davvero considerare tali attrezzature come fossili? So di toccare un vespaio, ma non mi interessano le risposte “teoriche” da apocalittici o integrati, da chi guarda alle sorti magnifiche e progressive della digitalizzazione o di chi pensa che provochi disturbi psichici (c’è anche questo nel dibattito…). Se qualche cosa mi dice questo libretto di un passato inconfrontabile con l’oggi è che comunque “bisogna decidere” cosa è utile ai cuccioli… anche misurarsi con i fossili, se la loro padronanza è utile per “imparare a cacciare”. Il pollice che stringe e getta, serve comunque, o va bene lasciare che si assimili ad un indice che sfiora e preme? L’algoritmo della radice quadrata è comunque utile impararlo ed esercitarsi  anche se lo si dimenticherà? Non c’è una “risposta teorica”: c’è da misurarsi con “le esigenze della caccia”
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Informazioni su Franco De Anna

Franco De Anna, classe 1946, ora in pensione, è stato uno degli animatori del primo movimento di Scienze a Milano nel 1968 (era a Scienze Naturali). Dal 1999 sino agli anni più recenti ha fatto l'ispettore scolastico nella Regione Marche occupandosi tra le altre cose, sul piano nazionale, delle tematiche della autonomia e rendicontazione sociale della scuola. E' stato segretario milanese, regionale lombardo e poi nazionale della Cgil Scuola. Ha diretto il centro studi della Camera del Lavoro di Milano, l'IRRSAR e l'IRRE. E' autore di numerose pubblicazioni (libri e saggi su riviste specializzate).
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