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1974-1976: QdL – la grande avventura — 17 commenti

  1. Grazie Claudio. Ho letto la nuova versione, aggiornata. Grazie anche per il collegamento al ricordo di Ida Farè.
    Ho una perplessità sull'intera storia del QdL, come fosse un giochetto a ripetere l'Iskra cinquant'anni più tardi, dopo che c'era stata, addirittura, una Seconda guerra mondiale di mezzo.
    Non voglio offendere il vostro lavoro di giornalisti della carta stampata, al quale, per quel che ho potuto, ho dato una mano. Ma c'era già la televisione e noi stavamo ancora col quotidiano? Ma non raggiungevamo, già con le radio, molte più persone?
    Perché non pensare, ad esempio, a un settimanale tipo "Panorama" ma dell'estrema sinistra; a cui aggiungere un impegno nelle tante radio libere che nascevano, per poi arrivare a una rete radio privata nazionale?
    E ancora. Ed era o no, il QdL, dal punto di vista economico, un pozzo di San Patrizio? E si rischiava o no, nella più consolidata tradizione socialista, di diventare un centro di potere autonomo dal partito, come, sempre nell'esperienza socialista, era stato il gruppo parlamentare?

    • Quasi tutto giusto e condivisibile.
      1) serviva un quotidiano? . L'idea originaria di Corvisieri era di fare un giornale politico ma non un organo di partito. La scelta delle 8 pagine di cui due o tre prefabbricate per temi di approfondimento andava nella logica del QdL come primo giornale e non come secondo. AO dopo il IV congresso stava trasformandosi in Organizzazione Nazionale e si stava entrando nella fase di riorganizzazione delle forze della sinistra rivoluzionaria e nella messa in atto della "lotta rivoluzionaria per le riforme".
      Il giornale serviva per prendere un treno che non sarebbe ripassato. Se vuoi la mia opinione è stato uno dei tanti momenti di forzatura volontaristica (ma questo lo dico con il senno di poi e del senno di poi son piene le fosse).
      Ho finalmente potuto leggere il documento dei 3 della amministrazione e diffusione alla segreteria e direi che avevano ragione nell'evidenziare la forzatura volontaristica. Il mio giudizio negativo riguarda la incapacità delle 4 organizzazioni più mature della sinistra rivoluzionaria (LC, AO, PDUP-Manifesto, MLS) di parlarsi, di uscire da una logica concorrenziale e di ragionare sulla natura e sulle tappe del processo rivoluzionario.
      2) radio libere Stavano nascendo e a Milano una delle prime, canale 96, fu promossa da persone di AO attente alla innovazione degli strumenti di comunbicazione, ma le radio erano allora strumenti di tipo essenzialmente locale a differenza del quotidiano organo nazionale di costruzione di organizzazione e di identità.
      3) autonomia redazionale. Il rischio che la redazione accentui gli aspetti di autonomia è già dentro la professione giornalistica e cioè abitudine a ragionare sui fatti e a guardare i problemi a 360°. E' una esperienza che ho vissuto in prima persona e che abbiamo vissuto come collettivo redazionale.
      4) L’idea del settimanale come la proponi era impensabile nel 74. Invece nella fase finale della rottura da parte della redazione (ricordo riunioni a casa di Ida) venne fuori l’idea di dar vita ad una rivista di orientamento politico culturale e ci fu chi propose che fossi io ad occuparmene. Ma io ero completamente scoppiato e avevo bisogno di riossigenarmi facendo altro.

  2. Quello che segue, ripreso da Facebook, è il mio saluto a Severino Cesari, pubblicato nell’ottobre 2017, quando giunse la notizia della sua morte.

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    è morto Severino Cesari – uno di noi del QDL della prima ora, si occupava, ovviamente, delle pagine preconfezionate di Cultura e Spettacoli. In precedenza era stato uno dei nostri primi dirigenti di AO in Umbria insieme a Francesco Bottaccioli.
    Aveva 5 anni meno di me e io ero abbastanza giovane, dunque lui era giovanissimo, mica bamboccioni. Era dolce, pacato, con una voce lenta e dai toni bassi. Leggeva molto e parlava poco; molto diverso dallo standard del dirigente rivoluzionario di allora.
    Un po’ cagionevole di salute, lo ricordo con una sciarpa bianca di cachemire a proteggerlo dal clima pessimo di Milano.
    Ci siamo persi di vista dopo la crisi del QdL del 76/77 e lui se ne andò a Roma a lavorare al Manifesto insieme a Gigi Sullo, Astrit Dakli, Giovanna Pajetta, Carlo Parietti e Vincenzo Vita (al Pdup).
    Mi ricordo, quando ormai avevo ripreso ad insegnare ed ero in fase di studio assatanato di scienza dura e filosofia della scienza, di non aver gradito la stroncatura che fece della appena iniziata avventura della Enciclopedia Einaudi.
    Visto l’esito (che determinò il fallimento della casa editrice) forse aveva ragione ma a me sembrava così bello che qualcuno tentasse di ripetere l’avventura della Encyclopedie di Diderot.

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